E Rupnik che gira tranquillamente per Roma e, sembra, predica ancora esercizi spirituali.
Ancora due articoli sul caso Rupnik.
QUI i post pubblicati sul caso Rupnik da MiL.Luigi C.
Nico Spuntoni, Il Giornale, 28-1-24
Una nuova testimonianza getta ulteriori ombre sulla figura di don Marko Rupnik, teologo ed artista sloveno famoso in tutto il mondo per i suoi mosaici e cacciato nella scorsa estate dalla Compagnia di Gesù dopo che i superiori hanno ritenuto il grado di credibilità delle accuse di abusi mosse contro di lui "molto alto". Nonostante ciò, ad ottobre la diocesi di Capodistria ha accettato di incardinare l'ex gesuita. Le polemiche conseguite a questa decisione hanno portato il Papa, su pressione della pontificia commissione per la tutela dei minori, a concedere la deroga alla prescrizione per permettere un processo del dicastero per la dottrina della fede sui casi di abusi contestati a Rupnik ai tempi della sua permanenza nella Comunità Loyola, negli anni Novanta.
"Arrogante e narcisista, mi ruppe il dito"
Proprio un'ex suora della Comunità Loyola, fondata a Lubiana alla fine degli anni Ottanta da suor Ivanka Hosta e che un mese fa è stata chiusa dal dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica per "gravi problemi riguardanti l’esercizio dell’autorità e della convivenza comunitaria", ha puntato l'indice sul comportamento di Rupnik ai tempi in cui faceva da direttore spirituale della comunità di ispirazione ignaziana. Alla giornalista Federica Tourn del quotidiano Domani la donna ha raccontato: "Una volta, seduti a tavola uno di fronte all'altra, Rupnik mi disse: 'ora vediamo chi è più forte!'. Mi afferrò le mani sul tavolo e, palmo su palmo, cominciò a premere con grande forza. Io gridavo che mi faceva male, ma lui non smise". Alla fine, l'allora gesuita avrebbe fatto una pressione tale sulla mano della novizia al punto da romperle un indice. Continua la presunta vittima: "Rupnik non si scusò. Rimase calmo e disse: 'ora hai il sigillo permanente della Compagnia di Gesù'. E aggiunse: 'L'ho fatto per amore'.
I fatti risalirebbero ai primi anni Novanta, quando l'artista sloveno avrebbe svolto anche l'incarico di confessore di tutte le novizie, provocando il terrore dell'allora novizia che a Tourn ha raccontato: "Rupnik era estremamente arrogante e narcisista (...)io non volevo che fosse il mio confessore, ma non avevamo libertà di scelta. Una volta, durante la confessione, chiuse a chiave la stanza del Centro Aletti in cui eravamo e si mise la chiave in tasca". Il Centro Aletti è la creatura che Rupnik ha fondato a Roma nel 1991 e dove si trasferì portando con sé tre sorelle della Comunità Loyola. Questo luogo è stato al centro di altre testimonianze di presunte vittime: a fine 2022 un'altra ex suora aveva raccontato sempre a Tourn che l'artista le avrebbe chiesto di fare sesso a tre con un'altra religiosa della Comunità nella sua stanza romana sostenendo che "la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità". Questa ex religiosa ha riferito, inoltre, di "una masturbazione molto violenta" e di essere stata condotta due volte, sempre da Rupnik, in alcuni cinema porno della periferia della Capitale.
Il mistero della scomunica
Nonostante le diverse testimonianze di donne che hanno denunciato di essere state vittime di abusi psicologici ed anche sessuali da parte dell'ex gesuita, il Centro Aletti non ha preso le distanze dal suo fondatore e in un comunicato del 17 giugno 2023, pochi giorni dopo la notizia della dismissione dalla Compagnia di Gesù, ha contestato l'operato dei gesuiti ed ha bollato lo scandalo emerso come parte di una "campagna mediatica basata su accuse diffamanti e non provate". Il comunicato porta la firma di Maria Campatelli, direttrice del Centro, poi ricevuta in udienza da Francesco, solamente tre mesi dopo quella difesa. Tre giorni dopo quell'incontro in Vaticano, il vicariato di Roma ha chiuso la visita canonica condotta nel Centro a seguito delle rivelazioni su Rupnik rese pubbliche per primi dai siti Messainlatino.it e Silere non possum. In una nota dal contenuto piuttosto inusuale, il Vicariato non solo ha elogiato l'associazione nella quale sarebbe "presente una vita comunitaria sana e priva di particolari criticità" ma si è spinto persino a mettere in discussione il lavoro della congregazione per la dottrina della fede che nel maggio 2020 aveva scomunicato Rupnik per l'assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento. Una scomunica durata poco e su cui aleggia il mistero legato alla responsabilità della sua revoca.
Un prete potente
Rupnik, d'altra parte, non è un prete qualunque. La sua è una delle figure più conosciute della Chiesa contemporanea, non solo per i suoi mosaici realizzati in tutto il mondo. Nella Quaresima del 2020, poco prima che venisse scomunicato e quindi mentre era già in corso il processo su di lui all'ex Sant'Uffizio, il teologo sloveno fu chiamato a tenere gli esercizi spirituali alla Curia romana. Nel 2016 concelebrò con papa Francesco la messa nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico in Vaticano per il 25 esimo anniversario del Centro Aletti che fu inaugurato dal predecessore Giovanni Paolo II come ponte con l'ortodossia orientale attraverso l'arte. La Santa Sede, proprio in virtù della posizione preminente e dei contatti ad alto livello che l'ex gesuita sloveno ha avuto in questi anni all'interno delle gerarchie ecclesiastiche, non può permettersi ulteriori vaghezze nella gestione del caso. L'occasione per dimostrare che l'atteggiamento della Chiesa sul dossier abusi, al di là dei proclami, è cambiato definitivamente può arrivare dalla trasparenza che si vedrà nel processo a Rupnik permesso dalla deroga alla prescrizione. Ma dopo l'annuncio dello scorso ottobre, nulla si sa dell'esame del caso che spetta al dicastero per la dottrina della fede.
«Una volta, mentre eravamo seduti a tavola uno di fronte all'altra, Rupnik mi disse: "Ora vediamo chi è più forte!". Mi afferrò le mani sul tavolo e, palmo su palmo, cominciò a premere con grande forza. Io gridai che mi faceva male ma lui non smise. Cercai di allontanarmi e lo pregai di fermarsi. Continuò a spingere, piegandomi il dito in modo così violento che il mio indice destro si ruppe. Ero sconvolta dal dolore ma padre Rupnik non si scusò. Rimase calmo e disse: "Ora hai il sigillo permanente della Compagnia di Gesù". E aggiunse: "L'ho fatto per amore"».
A parlare è Pia (nome di fantasia), entrata a far parte della Comunità di Loyola in Slovenia nel 1990, all'età di 24 anni. Questa scena, che si è svolta quando la ragazza era ancora una novizia della comunità religiosa fondata dall'ex gesuita Marko Rupnik e da Ivanka Hosta, è un'altra testimonianza degli abusi che il famoso artista ha commesso ai danni di diverse religiose e di cui dovrà rispondere in un processo canonico, ora che papa Francesco ha tolto la prescrizione ai fatti avvenuti negli anni '90.
Pia racconta a Domani che in quell'occasione Rupnik le impedì di ricevere cure mediche e le proibì di parlare di quello che era successo, e lo stesso fece la superiora Ivanka Hosta. «Rupnik era estremamente arrogante e narcisista. Mi diceva ripetutamente: "Sono il più grande artista e il più grande poeta di questa terra"», ricorda Pia. «Durante il noviziato, abbiamo anche trascorso alcuni mesi a Roma nel 1992 – racconta ancora Pia – Don Rupnik era stato nominato unico direttore spirituale e confessore di tutte le novizie. Io non volevo che fosse il mio confessore ma non avevamo libertà di scelta. Una volta, durante la confessione, chiuse a chiave la stanza del Centro Aletti in cui eravamo e si mise la chiave in tasca. Ero arrabbiata e spaventata e gli dissi che non avevo nulla da dirgli: rimasi in silenzio per così tanto tempo che alla fine mi fece uscire».
A causa della sua resistenza a Rupnik, suor Pia viene ripetutamente sminuita e messa sotto pressione, sia dal gesuita che dalla superiora. Nonostante tutto, prende i voti insieme ad altre sorelle il 1° gennaio 1993; poco tempo dopo, avviene la rottura fra Rupnik e Hosta, ufficialmente per un disaccordo sulla fondazione della Comunità, in realtà perché un'altra religiosa, Gloria Branciani, aveva detto di essere stata ripetutamente abusata da Rupnik (lo abbiamo raccontato qui: https://www.editorialedomani.it/fatti/abusi-sessuali-rupnik-gesuiti-sesso-chiesa-vaticano-q3youohh). Rimasta sotto la guida di Ivanka Hosta, suor Pia sperimenta ogni sorta di violenze spirituali, compresa un'istigazione al suicidio - «dovevo essere disponibile, obbediente e sottomessa: non potevo più seguire la mia coscienza perché solo lei sapeva quale era la volontà di Dio per me», ricorda Pia – finché, nel marzo 1998, l'allora arcivescovo di Lubiana Franc Rodé accoglie la sua richiesta di uscire dalla comunità.
Il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha sciolto la Comunità Loyola lo scorso 20 ottobre «a causa di gravi problemi riguardanti l’esercizio dell’autorità e della convivenza comunitaria». La superiora generale Ivanka Hosta è stata rimossa a giugno di quest'anno dal suo ruolo e, tra le altre cose, le è stato proibito di contattare le ex suore per tre anni.
Dove è finito nel frattempo don Marko Rupnik? In attesa del processo ecclesiastico, l'ex gesuita sembra avere per il momento rinunciato a comparire in pubblico. Non lo si vede dire messa, nè presenziare a convegni o guidare esercizi spirituali aperti a tutti, anche se continua ad accompagnare gli amici in visita ai suoi mosaici nel Pontificio Seminario Maggiore di Roma e quindi è probabile che graviti sempre intorno al Centro Aletti, nonostante la sua parrocchia sia ora in Slovenia. Il vescovo di Capodistria Jurij Bizjak, infatti l'ha accolto a fine agosto 2023, senza curarsi delle accuse a carico del sacerdote e delle conseguenti restrizioni che gli erano state imposte dalla Compagnia di Gesù. «Il vescovo Bizjak ha emanato il decreto di incardinazione senza consultare nessuno, con l'appoggio del nunzio apostolico in Slovenia Jean-Marie Speich», rivela una fonte interna al clero sloveno. Il nunzio, insiste il sacerdote (che preferisce rimanere anonimo), è un uomo difficile e poco apprezzato dai vescovi (con l'eccezione di Bizjak e di Maksimilijan Matjaž, vescovo di Celje, diocesi suffraganea dell'arcidiosi di Maribor), ed esercita una forte influenza nella chiesa slovena. Una versione dei fatti che pare confermata dall'imbarazzo del presidente della Conferenza episcopale Andrej Saje, che ha preso subito le distanze dalla decisione di monsignor Bizjak con un comunicato ufficiale in cui dichiarava che la conferenza dei vescovi era estranea al processo di incardinazione di Rupnik.
A Zadlog, paese natale di Rupnik, una manciata di case ai piedi delle montagne, nessuno parla volentieri. Don Iztok Mozetič, il parroco del centro più vicino, Črni Vrh, si sottrae imbarazzato alle domande: è preso in mezzo fra il vescovo di Capodistria e la gente del posto, che serra le fila intorno al prodigio locale, il sacerdote che è diventato un artista e un teologo di fama mondiale: «è un grande», commenta un suo ex compagno di scuola incontrato nel bar sulla piazza del paese. Nessuna solidarietà per le religiose che l'hanno denunciato, che vengono liquidate con toni sprezzanti. La sorella di Rupnik, che abita ancora nella casa di famiglia, non rilascia dichiarazioni.
Se è vero che ogni vescovo è sovrano nella propria diocesi, è anche vero che certe decisioni non condivise suonano forzate e non possono che portare scontento. Un altro sacerdote sloveno, che si firma con il nome di Karel Fulgoferski, ha diffuso una lettera aperta in cui denuncia l'ipocrisia che circonda il caso Rupnik. A dispetto della tolleranza zero promessa da papa Francesco, scrive il prete, «nei giorni scorsi i superiori religiosi hanno fatto formazione sulla prevenzione degli abusi nella Chiesa all'ombra dei dipinti di Rupnik». Una gestione ambigua che continuerebbe anche con la decisione di papa Francesco di riaprire il processo al sacerdote: la notizia dell'incardinazione di Rupnik, spiega Fulgoferski, è arrivata come «un'onda d'urto nell'Ufficio Comunicazioni del Vaticano», e l'improvviso voltafaccia di Francesco su Rupnik sarebbe quindi «solo una manovra per salvare un'immagine pubblica del papa gravemente appannata». Per inciso, ricordiamo che nella Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede lavora come direttrice della Direzione Teologico-Pastorale Nataša Govekar, che fa parte dell'équipe del Centro Aletti ed è fra le fedelissime di Rupnik. Il papa stesso, durante l'udienza ai vaticanisti del 22 gennaio, ha ringraziato i giornalisti presenti per «la delicatezza» con cui trattano il tema degli abusi: «un silenzio quasi “vergognoso”», ha sottolineato Francesco. Parole che suonano come una richiesta a essere indulgenti nel trattare un problema che per la Chiesa sta diventando sempre più scottante.
Almeno sul fronte dei mosaici del Centro Aletti, però, qualcosa si muove. Jean-Marc Grand, parroco di Saint Joseph-Saint Martin aTroyes, in Francia, ha deciso, dopo un processo di discernimento con testimoni e vittime di abusi, di rimuovere un trittico di Rupnik, realizzato e installato nella cappella del presbiterio nel 1994 «senza consultare la comunità», come si legge in una nota della parrocchia. È la prima volta che si decide di togliere un'opera di Rupnik da una chiesa: un caso che può diventare un precedente per tutte le commissioni che stanno valutando cosa fare dei mosaici del discusso artista.
In Vaticano, intanto, tutto tace. Non c'è dubbio, però, che a Roma l'ex gesuita conservi ancora potere e appoggi: il 10 gennaio è stato diffuso in rete un video della Cei in cui don Fabio Rosini, direttore dell'Ufficio diocesano per la pastorale delle vocazioni della diocesi di Roma, tiene la sua relazione sullo sfondo del Pontificio Seminario Maggiore, con lunghe panoramiche dei mosaici del suo maestro e mentore Marko Rupnik. È sempre Rosini che, nel pieno delle rivelazioni sugli abusi, aveva pubblicato un libro con in copertina un'opera di Rupnik, a condurre questa settimana gli esercizi ignaziani del Centro Aletti a Santa Severa.
Nessun commento:
Posta un commento