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giovedì 25 gennaio 2024

13ª conferenza del Centre international d’Études liturgiques: la seconda relazione di padre can. Stéphane Drillon

A Roma, presso l’Istituto Maria Santissima Bambina, sta proseguendo la 13ª conferenza del Centre international d’Études liturgiques su La concelebrazione e le Messe private nella storia della liturgia, che la Redazione di MiL-Messainlatino.it sta seguendo per tenervi aggiornati in tempo reale.
La seconda relazione è affidata al padre can. Stéphane Drillon, che ha trattato il tema: L’aspetto canonico della concelebrazione contemporanea.
Di seguito vi proponiamo il testo integrale dell'intervento, tradotto in lingua italiana a cura degli organizzatori.

L.V.

L’aspetto canonico della concelebrazione contemporanea

Introduzione

 

1.      Limiti di questo studio.

 

      Alcuni di noi partecipano a questa conferenza;

L'Abbé Barthe ci ha parlato del

periodo romano, e vedremo anche il periodo carolingio, e molti aspetti della concelebrazione in Oriente, la storia della concelebrazione da un punto di vista teologico, i frutti sacramentali della concelebrazione, etc....

 

      Quindi, in particolare, non entrerò nella discussione "storica" sulla differenza tra concelebrazione "cerimoniale" e concelebrazione "sacramentale", né sul fatto che in una concelebrazione ci sia o meno un solo sacrificio, o che ci siano tanti sacrifici quanti sono i concelebranti (cioè 1 per persona), questione quest'ultima che, tra l'altro, è stata esclusa dal Magistero.

 

      Non mi occuperò nemmeno della natura stessa della Messa in relazione all'evento del Venerdì Santo, né dei suoi elementi essenziali: il carattere sacramentale della Messa, l'aspetto liturgico e rituale dell'atto in cui si celebra il sacramento e la funzione ministeriale del sacerdote.

 

      Limiterò quindi questo studio al diritto positivo, principalmente al suo sviluppo a partire dal Concilio Vaticano II, alla sua formulazione nel C. 902 del C.I.C. del 1983 e alla sua portata.

 

      Perché parlare del C. 902? Perché riguarda direttamente l'attuale diritto positivo che regola questa materia di concelebrazione.

Ma sarebbe incompleto, in diritto canonico, vedere solo questo canone del Codice, e tralasciare gli altri canoni del CIC che, indirettamente, sono interessati o in relazione con il C. 902. Vedremo che questi rapporti possono essere considerati problematici.

 

* * *

 

 

I)                   LE FONTI DEL CANONE 902.

 

 

a)      Ricordiamo brevemente la legislazione precedente, cioè quella del Codice precedente, il Codice Pio-Benedettino del 1917.

Il canone 803 dell'epoca non permetteva a più sacerdoti di concelebrare (sacramentalmente), tranne in due casi specifici:

-       La Messa di ordinazione sacerdotale,

-       e la Messa di consacrazione dei vescovi.

 

Perché questo "Non licet"?

 

Perché al momento della sua promulgazione, era stabilito in diversi testi del Magistero:

 

che è un'ottima cosa che si moltiplichi il numero delle Messe per la Gloria di Dio e il bene dei fedeli, tenendo presente il seguente principio tomistico:

"Multiplicata causa, multiplicatur effectus" cioè "moltiplicando la causa, si moltiplicano gli effetti" (cfr. Sum. Theol. IIIa , Q 79, art 7, 3 ).a

 

Questo semplice principio ha portato San Tommaso a dire:

"In pluribus vero missis, multiplicatur sacrificii oblatio. Et ideo, multiplicatur effectus sacrificii et sacramenti", cioè "in più Messe si moltiplica l'oblazione del sacrificio. In più Messe si moltiplica l'oblazione del sacrificio. E di conseguenza si moltiplica l'effetto del sacrificio e del sacramento" (cfr. Sum. Theol. IIIa , Q 79, art. 7, 3 ).m

Il pensiero di San Tommaso è molto chiaro e vedrà applicazioni molto concrete: l'uso del "Triduo delle Messe", le "Novene delle Messe", le "Trentine gregoriane", ecc...

 

Ma notiamo che era anche una cosa eccellente per la Chiesa manifestare l'UNITÀ del Sacerdozio: unità tra Cristo e il Sacerdote, unità tra Cristo e il Vescovo, unità tra i Vescovi, unità tra il Vescovo e i suoi sacerdoti, unità tra i sacerdoti stessi. E tra i monaci, idem!

Da qui le due eccezioni previste dal canone 803 del Codice del 1917: "la Messa di ordinazione dei sacerdoti e la Messa di consacrazione dei vescovi" - in breve, l'unità gerarchica e teologica.

 

Si noti che queste due eccezioni che autorizzano la concelebrazione avvengono sempre alla presenza del Vescovo: nessuna concelebrazione senza il Vescovo.

 

Si noti anche che allora era impossibile sostenere che il numero dei concelebranti da solo moltiplica il numero delle Messe in una concelebrazione. (cfr. P. JOUNEL "La célébration et la concélébration de la messe" in "La Maison-Dieu" n. 83, 1965, pag. 175) (cfr. anche il cardinale JOURNET, con la qualità che lo caratterizza, cioè la capacità di dire molto semplicemente cose che sono tuttavia complicate e profonde, che ha scritto a questo proposito: "Immaginate che più persone si riuniscano contemporaneamente per battezzare un bambino. Ci saranno diversi battezzatori, ma una sola azione battesimale, plures baptizantes, una baptizatio. Nella concelebrazione, allo stesso modo, ci saranno diversi consacratori, plures ex quo consacrantes, ma una sola azione consacratoria, una consecratio" (cfr. Charles JOURNET, "le Sacrifice de la Messe", in "Nova et Vetera" (Friburgo) 46, 1971, 241-250.

A questo proposito rimandiamo anche al testo del Sant'Uffizio dell'8 marzo (23 maggio) 1957, DS 3928: l'obbligo di pronunciare le parole di consacrazione "ex institutione Christi".

 

b)      Ricordiamo ora cosa è successo al Concilio Vaticano II in merito alla concelebrazione.

 

1)       La fase preparatoria (17 maggio 1959 - 14 settembre 1960)

-   Un'esigua minoranza di voti (provenienti da vescovi, religiosi, Curia romana e università) ha chiesto di includere la concelebrazione nei lavori del Concilio (una quarantina di voti su 2109, pari all'1,9%).

Un terzo di queste richieste prevedeva l'estensione della concelebrazione a circostanze eccezionali, mentre praticamente nessuna chiedeva l'estensione quotidiana e generale della concelebrazione.

 

2)      La fase preparatoria (14 settembre 1960 - 11 ottobre 1962)

-   La Commissione per la Liturgia ha elaborato un primo schema che comprendeva: la libertà per ogni sacerdote di celebrare la Messa individualmente e il desiderio "generale" (non dimostrato!) di estendere maggiormente questa concelebrazione;

-   Questo primo schema non ha ricordato la condanna dello Pseudo Concilio di PISTOIA, nei suoi articoli sulla concelebrazione, da parte di Papa Pio VI nel 1794, e anche il gran numero di Chiese orientali che rifiutano la concelebrazione.

Questo schema intendeva promuovere l'unità della Chiesa che si manifesta nell'unità del sacerdozio, ma potrebbe aver trascurato la natura sacrificale della Messa e aver fatto riferimento solo all'"utilità dei fedeli", cioè a un motivo soggettivo.

Infine, secondo questo schema, la disciplina della concelebrazione doveva essere regolata dall'Ordinario locale o dal Vescovo, che si riteneva in grado di valutare la convenienza pratica della concelebrazione in certi casi e in certi luoghi (questo valeva anche per le Messe conventuali).

In breve, non si trattava di affrontare il principio teologico e canonico della concelebrazione (un dato di fatto), ma solo la sua applicazione, cioè la frequenza delle concelebrazioni autorizzate.

3)      La Costituzione sulla Liturgia nel Concilio Vaticano II.

 

Ai Padri sono stati proposti due schemi, uno dopo l'altro.

Nel corso delle discussioni sono stati sollevati diversi argomenti.

Si noti: la scomparsa del Vescovo al centro della concelebrazione, la scomparsa, come moderatore dell'uso della concelebrazione, dell'Ordinario del luogo, per non parlare dell'Ordinario in generale, che era ovviamente di interesse primario per i religiosi "esenti"...

 

Da notare anche che:

-       una tendenza verso una maggiore apertura;

-       l'emergere di due categorie di casi:

·    un primo caso in cui il Consiglio darà una facoltà generale di concelebrare,

·    e un secondo caso in cui la facoltà di concelebrare sarà concessa dall'Ordinario.

Insomma, sì alla concelebrazione, ma in casi limitati.

 

Una bozza finale è stata sottoposta al voto dei Padri, che ha prodotto solo 1417 "placet" e molti emendamenti, in particolare sul ruolo del Vescovo nell'applicazione disciplinare della Concelebrazione. Modi che non sono stati discussi per mancanza di tempo.

 

Infine: ecco il testo approvato dai Padri il 4 dicembre 63, cioè il n. 57 della Costituzione sulla Sacra Liturgia:

 

" (Celebrazione)

§ 1 La concelebrazione, che manifesta felicemente l'unità del sacerdozio, è rimasta in uso nella Chiesa fino ad oggi, sia in Occidente che in Oriente. Il Concilio ha pertanto deciso di estendere la facoltà di concelebrazione ai seguenti casi:

1.      a) Giovedì Santo, sia alla Messa crismale che alla Messa serale;

b) nelle Messe celebrate nei Concili, nelle Assemblee episcopali e nei Sinodi;

c) alla Messa di benedizione di un abate.

 

2.      Inoltre, con il permesso dell'Ordinario, che è responsabile di giudicare l'opportunità della concelebrazione:

a)      alla Messa conventuale e alla Messa principale nelle chiese in cui le esigenze dei fedeli non richiedono che tutti i sacerdoti presenti celebrino individualmente;

b)      alle Messe per le assemblee di sacerdoti di ogni tipo, sia laici che religiosi.

 

§ 2.

1)   Spetta al vescovo dirigere e regolare la concelebrazione nella sua diocesi.

2) Tuttavia, ogni sacerdote sarà sempre libero di celebrare la Messa individualmente, ma non alla stessa ora nella stessa chiesa, né il Giovedì Santo.

 

Per brevità, non ci soffermeremo sugli altri testi conciliari che fanno anch'essi riferimento alla concelebrazione: il decreto sull'ecumenismo (per le Chiese orientali), il decreto sul ministero e la vita dei sacerdoti (Presbyterorum Ordinis), che cita esplicitamente la famosa formula liturgica: "perché ogni volta che si celebra questo rito, si compie l'opera stessa della nostra redenzione" (cfr. Missale Romanum, II  domenica per annum, offertorio). Missale Romanum, IIème  Domenica per Annum, offertorio).

D'altra parte, il decreto sulle Chiese cattoliche orientali tace totalmente sulla concelebrazione, così come il decreto sull'ufficio pastorale dei vescovi, e anche il decreto sulla vita religiosa, anch'esso tace totalmente sulla questione!

 

* * *

 

            Infine, concludiamo questa sezione sulla concelebrazione nel Concilio Vaticano II:

 

-1-       nessuna costrizione persacerdote a concelebrare. La libertà di ogni sacerdote di celebrare la Messa da solo deve essere salvaguardata.

 

-2-       uso della concelebrazione e la sua pratica devono essere limitati e regolati in due modi:

a) prevedendolo in casi specifici (n°57§1, 1 della "Sacrosanctum Concilium");

b) rendendo possibili altri casi, consentiti e regolati dall'Ordinario e dal Vescovo locale. (n° 57, §1, 2 e §2,1 di "Sacrosanctum Concilium").

 

-3-                   La pratica della concelebrazione non può mai sminuire il valore delle Messe private (S.C., n. 57 §2 e P.O. n. 13).

 

Possiamo già vedere che il Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983, che vuole essere un'attuazione dello spirito del Concilio:

-   rispetta, nel Canone 902, la libertà di ciascun sacerdote di celebrare individualmente ("POSSUNT" e non "DEBUNT" per quanto riguarda la concelebrazione);

-   rispetta la possibilità di concelebrare l'Eucaristia nel canone 902;

-   rispetta, nel suo Canone 904, l'esortazione fatta a ogni sacerdote di celebrare la Messa quotidianamente, anche in assenza di fedeli, e quindi il valore delle cosiddette Messe "private". (cfr. anche il Canone 246 §1 sulla formazione dei seminaristi, il Canone 276 §2, 2° sugli obblighi e i diritti dei chierici).

-   Ma non applica, per disposizioni legislative, la doppia limitazione alla pratica della concelebrazione; si noti che non esiste alcun Canone per questo.

-   E poiché il canone 902 prevede una possibilità generale e illimitata di concelebrare (oltre che a beneficio dei fedeli), sembra non valere la teologia sulla concelebrazione insegnata dal Vaticano II e la prassi che questo stesso Concilio ha voluto stabilire, che era ampia ma sempre limitata.

 

C) Il Magistero dopo il Concilio Vaticano II fino al Codice del 1983.

            Le due tendenze presenti all'epoca delle discussioni conciliari sulla concelebrazione persistevano:

-       un incentivo ad estendere la Celebrazione, da un lato;

-       dall'altro, tre testi magisteriali che riprendevano la teologia sacramentale tradizionale e che professavano l'unicità del Sacrificio eucaristico offerto a Dio nella concelebrazione (un unico sacrificio), per cui, in questa prospettiva, la moltiplicazione delle Messe diventava auspicabile, essendo allora limitato l'uso della concelebrazione.

 

Questi tre testi sono :

-       Il decreto generale "Ecclesiae Semper" del 7 marzo 1965, che ricorda che la concelebrazione è un unico atto sacramentale, un'unica causa strumentale sacramentale. (in altre parole, indipendentemente dal numero di sacerdoti presenti alla concelebrazione).

-       Il secondo testo è il n. 47 dell'Istruzione "de Cultu mysterii eucharistici" del 25 maggio 1967, che richiama la nostra attenzione sul carattere soggettivo della Concelebrazione (il numero di sacerdoti uniti in un unico Sacrificio).

-       Il terzo testo è la "Declaratio de Concelebratione" del 7 agosto 1972, di cui vale la pena citare un paragrafo:

"Sebbene la concelebrazione sia da considerarsi un modo eccellente di celebrare l'Eucaristia nelle comunità, la celebrazione senza la partecipazione dei fedeli "rimane tuttavia il centro della vita di tutta la Chiesa e il cuore dell'esistenza sacerdotale". Per questo motivo ogni sacerdote deve essere lasciato libero di celebrare la Messa individualmente: per favorire questa libertà, si deve prevedere tutto ciò che può facilitare questa celebrazione: tempo, luogo, l'aiuto di un servitore e altri elementi della celebrazione" (la sottolineatura è nostra).

 

Va notato che questo passaggio è l'unico caso, per quanto ne sappiamo, in cui l'esercizio della libertà di celebrare individualmente è descritto in forma CONCRETA e "REALISTICA".

Il canone 902, come vedremo, afferma certamente questa libertà, ma senza specificare le condizioni giuridiche e concrete in cui può essere esercitata. Sappiamo bene che, in certe situazioni locali, questa libertà può essere "ostacolata" da alcune condizioni "in concreto" (per esempio, a causa degli orari, della mancanza di altari o cappelle, della pressione dei superiori sulle coscienze e sui comportamenti, ecc.)

Infine, per quanto riguarda l'"Institutio Generalis Missalis Romani" (dal n. 153 al 159), il n. 153 ribadisce che la concelebrazione "manifesta felicemente l'unità del Sacerdozio, del Sacrificio e "del popolo cristiano"", e poi ripete, quasi parola per parola, il n. 57 della Costituzione sulla Liturgia del Vaticano II:

-       Il rituale prevede alcuni casi di concelebrazione;

-       alcuni casi in cui il suo uso è possibile, ma che sono elencati in modo esaustivo (ad esempio, la Messa crismale).

-       Anche in altri casi, ma con "il permesso dell'Ordinario", che è il giudice dell'opportunità di concelebrare.

Il n. 155 precisa che "spetta al Vescovo", a norma del diritto, regolare la disciplina della concelebrazione nella sua diocesi, anche nelle chiese degli esenti...

 

* * *

 

II - Canone 902 del C.I.C. 1983 preso da solo.

 

Per mancanza di tempo, non ci addentreremo nella stesura della C. 855; c'è solo una pagina delle "Communicationes" che riproduce gli ACTA COMMISSIONIS (COMM. Vol. XV, 1983, n° 2, pag. 191) su questo argomento, e che riassume la discussione tra i membri di questa commissione sulla stesura della C. 855, che diventerà la nostra C. 902.

 

Diamo un'occhiata ai vari componenti della Canon 902.

 

A)    "Nisi utilitas christifidelium aliud requirat aut suadæt".

Questo è l'unico limite che il diritto positivo pone alla possibilità di concelebrare: la preoccupazione pastorale deve sempre prevalere. Tutti i commentatori si riferiscono qui al "bene dei fedeli". Questa nozione era già presente nei testi che hanno esteso la facoltà di concelebrare nel periodo post-conciliare. Ma notiamo l'abbandono di tutte le limitazioni previste dal testo conciliare. (S.C. n°57), essendo il canone basato sui documenti successivi che abbiamo già citato. Il commento di Navarra precisa che "la necessità o l'opportunità di facilitare ai fedeli la possibilità di partecipare alla Santa Messa in luoghi e tempi diversi, o per altre sollecitazioni pastorali" può rendere obbligatoria la celebrazione individuale.

 

B)      "Sacerdotes Eucharistiam concelebrare possunt".

I sacerdoti possono concelebrare. Nessun obbligo. Nessun incoraggiamento è previsto dalla lettera del testo, che sembra quindi, oggettivamente, un passo indietro rispetto al progetto iniziale (il canone 855 iniziale raccomandava la concelebrazione), e anche un passo indietro rispetto a "Eucharisticum Mysterium" n. 47, ma molto più fedele al contenuto della Costituzione conciliare sulla liturgia (n. 57), che prevedeva un'estensione limitata della facoltà di concelebrare, senza raccomandarla.

Così il "possunt" latino del canone esprime una flessibilità, una possibilità, ma non una raccomandazione che avrebbe potuto essere espressa con l'uso di un verbo al congiuntivo. È quindi andare oltre il significato del canone affermare, come fa padre Mazanares nel commento di Salamanca, che "in linea di principio, la concelebrazione dovrebbe essere la modalità raccomandata (72) quando non c'è bisogno di celebrare individualmente per il bene dei fedeli". Il canone non dice nulla di tutto ciò, e non stabilisce in alcun modo una "gerarchia" dei modi di celebrare l'Eucaristia, né una preferenza per la concelebrazione rispetto alla Messa privata. "POSSESSO" e nient'altro.

Padre Mazanares giustifica la sua posizione con due riferimenti: il primo a "Eucharisticum Mysterium" n. 47, e il secondo al canone 837.

 

1)    Se è vero che il primo testo (Eucharisticum Mysterium n. 47) "raccomanda" e "incoraggia" la pratica della concelebrazione, il Concilio Ecumenico Vaticano II la limita. Considerare l'Istruzione come uno sviluppo armonico della SC n. 57 non potrebbe essere più discutibile, e interpretare il "possunt" con l'uso della E.M. n. 47 e il rifiuto della SC n. 57 è molto rischioso.

Se il legislatore avesse voluto fare della concelebrazione la modalità normale e "raccomandata", avrebbe usato un verbo molto più forte del nostro "possunt" e sarebbe stato molto più vicino al testo dell'E.M. n. 47 (73).

Infine, "POSSUNT" è obiettivamente arretrato rispetto alla disciplina e al testo dell'E.M. n. 47.

 

2)    Quanto al riferimento al canone 837, non ci sembra giustificato: il fatto che "le azioni liturgiche non siano azioni private, ma celebrazioni della Chiesa stessa e che "comportino una celebrazione comunitaria (...) con l'assistenza e la partecipazione attiva dei fedeli, ove possibile" non significa che, in assenza di fedeli, si debba preferire una concelebrazione a più Messe individuali. In primo luogo, perché il Magistero ha ripetutamente dimostrato che la celebrazione individuale della Messa è un'azione eminentemente comunitaria e pubblica.

È l'azione, sempre, di TUTTA la Chiesa. Il canone 904 lo ricorda con forza. In secondo luogo, perché la Chiesa non è mai tornata indietro sul suo insegnamento circa i benefici della moltiplicazione delle Messe, perché sono "atti di Cristo" e "opere di redenzione". È abbastanza chiaro che la partecipazione attiva dei fedeli deve essere incoraggiata... Il fatto di offrire diversi momenti possibili per andare a Messa (piuttosto che ridurre il numero di Messe offerte durante il giorno con una concelebrazione) non è forse un modo migliore di applicare il canone 837? Infine, va notato che gli altri commentari, in particolare quelli di Urbaniana e Navarra, non deducono dal canone 902 che, in assenza di fedeli, il metodo raccomandato sia la concelebrazione della Messa. Se i sacerdoti "POSSONO" concelebrare, questo non è assolutamente un principio, ma una facoltà.

 

C)           "integra tamen pro singulis libertate manente Eucharistiam individuali celebrandi, non vero eo tempore, quo in eadem ecclesia aut oratorio concelebratio habetur".

 

La libertà di celebrare individualmente è qui chiaramente affermata e non limitata, se non da una prescrizione liturgica.

Innanzitutto, la traduzione francese presenta due punti deboli:

 

-       1) Il latino "tamen" non è reso in francese. (e nemmeno tradotto). L'italiano, ad esempio, si traduce con "tuttavia". Avremmo potuto dire in francese "cependant, étant respectée la liberté....", che avrebbe accentuato la forza della proposizione che segue.

 

-       2) il "eo tempore, quo (...) concelebratio habetur" è tradotto come "quando c'è una concelebrazione". Avrebbe potuto essere tradotto in modo più preciso, per meglio significare i due elementi richiesti e cumulativi: lo stesso tempo e lo stesso luogo (espressi dal relativo quo).

 

Il Commento di Salamanca non dice nulla su questa libertà. Preferisce indicare le opzioni aggiuntive per concelebrare a beneficio di chi ha già celebrato o sta per celebrare un'altra Messa (per il bene dei fedeli), richiamando le prescrizioni del n. 158 della Presentazione generale del Messale Romano, e la Dichiarazione del 7 agosto 1972, e precisando la regola del non accumulo di onorari, stabilita dal canone 951 §2.

 

Il commento di Navarra ha il merito di sviluppare un po' di più questa nozione di libertà, ripetendo la stessa dichiarazione del 7 agosto 1972, che chiedeva realisticamente che questa libertà fosse verificata e resa realmente possibile dall'attuazione di tutte le strutture necessarie in termini concreti.

Così, dice E. TEJERO, la pietà personale del sacerdote sarà così alimentata da ciò che costituisce il "cuore della vita sacerdotale", cioè la celebrazione dei Santi Misteri (cfr. Sinodo dei Vescovi del 1971, "De Sacerdotio ministeriali", pars altera, n. 41, AAS 63, 1971, p. 914). Questa esigenza di "pietà sacerdotale" sembra essere all'origine del rispetto della libertà individuale in materia di modalità di celebrazione, sancita dal canone 902. La "Declaratio de concelebratione" faceva già riferimento al testo del Sinodo dei Vescovi per fornire una base a questa libertà. Una generalizzazione imposta della concelebrazione potrebbe portare a un'alterazione della pietà personale di ciascun sacerdote, perché, come osservano molto opportunamente i padri RAHNER, s.j., e HAUSSLING: "la sua (del sacerdote) collaborazione all'azione liturgica difficilmente va oltre la comune pronuncia di qualche parola". In realtà, la libertà posta dal canone 902 è un'estensione della domanda fondamentale sulla "spiritualità" e la "pietà" sacerdotale: in quale modo il sacerdote si santifica meglio? Celebrando da solo all'altare o concelebrando? La concelebrazione rafforza indubbiamente il senso di appartenenza a una comunità in quel momento, ma priva il sacerdote di una serie di gesti e parole che gli sono propri e che lo configurano in modo sensibile a Cristo Sacerdote. Invece, quando concelebra, risponde a molte delle preghiere del primo celebrante, riceve la comunione e la benedizione, ecc.... I sacerdoti hanno bisogno di "sentirsi sacerdoti" e di esprimere la loro "identità sacerdotale" concretamente, in modi diversi da poche parole. Da qui la prudenza della Chiesa nello stabilire la libertà di essere soli all'altare.

 

Nella realtà, nella vita di tutti i giorni, questa libertà è rispettata? Ci sembra una domanda legittima. La violazione giuridica, l'assenza di norme concrete che avrebbero potuto essere dettate dal Codice circa l'esercizio pratico di questa libertà, favorisce una "pressione" psicologica da parte di molti superiori nei confronti dei sacerdoti, soprattutto di quelli giovani. La generalizzazione, ovunque, sempre e per tutti, della concelebrazione rende i sacerdoti che desiderano celebrare da soli all'altare, di fatto estranei e tagliati fuori dalla "comunità" e dal "presbiterio". Nelle piccole comunità di sacerdoti secolari o religiosi, per salvaguardare le relazioni fraterne e la vita in comune, sono spesso "obbligati" a concelebrare.

 

Inoltre, il pluralismo teologico non facilita la comprensione tra coloro che concelebrano quotidianamente e coloro che concelebrano solo in alcune occasioni.

Infine, per quanto riguarda la proibizione che definiamo "liturgica", cioè l'impossibilità di celebrare individualmente, se nello stesso tempo e nello stesso luogo c'è concelebrazione, possiamo notare che il canone non tratta il caso di più Messe individuali celebrate nello stesso luogo, contemporaneamente su altari diversi. Inoltre, nell'Enciclica "MEDIATOR DEI", Pio XII condannò l'opinione di coloro che "affermano che i sacerdoti non possono offrire l'ostia divina su più altari contemporaneamente, perché così facendo dividono la comunità e ne mettono in pericolo l'unità".

 

 

CONCLUSIONE

 

Cosa possiamo concludere sull'aspetto canonico della concelebrazione oggi?

 

Il canone 902, tuttora in vigore, legifera sulla disciplina (uso) della concelebrazione senza accennare alla teologia e alla giustificazione di questa pratica.

 

L'elemento che, fin dai tempi preconciliari, è rimasto costante (salvo rari autori della Dottrina Canonica) è quello della LIBERTA', per i sacerdoti, di celebrare individualmente (salvo la restrizione "liturgica" quando c'è concelebrazione nello stesso tempo e nello stesso luogo).

Questo rispetto della libertà deve poter essere attuato "in concreto", altrimenti, di fatto, questo rispetto scompare. Da qui un gran numero di possibili abusi (numero limitato di altari, orari mal organizzati, cappelle troppo poche, pressioni ideologiche, ecc.) E quindi, in questo contesto, c'è un'innegabile lacuna legislativa e disciplinare che deve essere colmata.

 

Per quanto riguarda la possibilità di concelebrazione, il C. 902 elimina e tace la tradizionale presenza del Vescovo in una concelebrazione, e anche il ruolo che gli è stato devoluto, cioè quello di "regolatore" della pratica della concelebrazione.

Lo stesso canone parla della POSSIBILITÀ di concelebrare ("Possunt") e non dell'obbligo di concelebrare ("debunt"). Ancora una volta, questo è rispettato nella pratica? Possiamo legittimamente dubitarne!

Dobbiamo anche riconoscere che i ricorsi amministrativi sono un po' i "cugini poveri" del Codice attuale, e che quindi è molto difficile nella pratica applicare le disposizioni del canone 902 "in concreto"....

Allo stesso modo, dobbiamo riconoscere che l'invocazione del canone 1378 sugli abusi di potere, che li classifica come reati (e che quindi potrebbe essere invocata in un procedimento penale), è stata "dimenticata" e non attuata. Per quanto ne sappiamo, non esiste una giurisprudenza in merito.... Quale sacerdote, costretto a concelebrare, ha portato il suo Vescovo in tribunale in una causa penale? Quale Promotore di Giustizia è stato coinvolto in un abuso di potere su questo tema?

 

Ci sembra quindi che si debba legiferare maggiormente sulla pratica della concelebrazione, in cui si esprime da un lato l'unità gerarchica della Chiesa, l'unità del Sacerdozio, e dall'altro quella della celebrazione individuale della Messa, che permette di offrire e immolare sacramentalmente l'unico Sacrificio redentore di Cristo.

Legiferare ulteriormente tenendo conto di queste due realtà complementari da tradurre canonicamente permetterebbe di essere più fedeli al testo conciliare che si suppone "tradotto" giuridicamente dal nostro C. 902.

È innegabile che il C. 902 racchiude molto più il cosiddetto "spirito del Concilio" e una prassi spontanea non necessariamente in linea con la Dottrina cattolica tradizionale, che un autentico rispetto del Testo conciliare...

 

Dovremmo anche essere più precisi sui FRUTTI del Sacrificio della Messa: ogni Messa è il Sacrificio di Cristo, ha un valore infinito, ma le disposizioni degli uomini a riceverne i frutti sono sempre imperfette e, in questo senso, limitate. Da qui l'importanza del numero di Messe celebrate.

 

Sarebbe anche auspicabile che venisse chiarito il regime canonico delle "offerte" della Messa, cioè delle quote pagate e accettate, soprattutto nel caso di una concelebrazione. Si tratta di un "obbligo di giustizia". Questa ricerca deve essere combinata con quella della natura delle intenzioni della Messa e dei frutti particolari ottenuti dalla celebrazione dei Santi Misteri.

Penso che tali prospettive siano urgentemente necessarie!

 

La situazione attuale nella Chiesa e nel mondo basta a dirlo, se si ha l'onestà e la lucidità di guardare la situazione "in concreto". Si pensi, ad esempio, a tutti i defunti (soprattutto in Francia) che vengono privati di una Messa funebre, a favore di una "benedizione", di una semplice assoluzione o di una "liturgia della Parola"...

La Chiesa di Dio possiede un tesoro: la Redenzione, che permette al Sangue di Cristo Gesù di scorrere sulla Chiesa e sul mondo intero ad ogni Messa.

 

"quoties hujus Hostiæ commemoratio celebratur, opus nostræ redemptionis exercetur". (Dominica II per Annum Missale Romanum)

In modo diverso, già sant'Agostino diceva: "Semel immolatus in semetipso Christus, et tamen quotidie immolatur in sacramento".

"Immolato una volta per tutte in se stesso, Cristo è tuttavia immolato ogni giorno nel Sacramento" (Ept. 98, PL 33, p 363).

 

 

 

 

Sulla questione teologica della concelebrazione, raccomandiamo vivamente la lettura dell'opera fondamentale del Rev. Père Joseph de Sainte-Marie, o.c.d., intitolata: "l'Eucharistie, Salut du Monde", (che ha fortemente ispirato questo studio) pubblicata dalle Editions du Cèdre, 13 rue Mazarine, PARIS VIe , 1982, 464 pagine e distribuita dalle Editions Dominique Martin Morin, BOUERE, 53290 en BOUÈRE. (Francia)