Le recenti vicende di cronaca relative alle elargizioni erogate da alcune diocesi italiane (con l’avallo dei vertici della Conferenze Episcopale Italiana) a favore di Mediterranea Saving Humans – APS (guidata dal noto Luca Casarini indagato, stando alle notizie di stampa, dalla Procura di Ragusa, assieme ad altre cinque persone, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione) presso la quale opera quale cappellano don Mattia Ferrari nonché il periodo Natalizio che stiamo vivendo, stimolano una breve riflessione che sviluppiamo in 300 denari (presentazione della rubrica e link social) sul lemma “carità” che – come noto – nel linguaggio comune (e, oramai, anche in quello ecclesiale delle omelie) ha subito una progressiva degradazione e secolarizzazione, descrivendo soltanto l’atto materiale ed esteriore dell’azione umana mediante la quale si aiuta il prossimo, senza pretesa di corrispettività.
La carità viene quindi apprezzata in una dimensione orizzontale come vicenda esclusivamente “umana” che promana da un sentimento interiore, scevra di qualsiasi connotazione religiosa e suscita apprezzamento sociale (tant’è che non manca chi fa pubblicità della carità praticata).
Ne viene, all’evidenza, sempre più spesso tradita la dimensione verticale, dimentichi che Carità è il predicato descrittivo di Dio («Dio è Carità» - 1Gv 4, 8.16), è la principale delle virtù teologali «per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per sé stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio» (CCC n. 1822) e «dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo» ed «è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, § 2).
Due sono i punti di attenzione su cui si ritiene porre l’accento per farne memoria soprattutto a chi scrive.
Co-essenziale alla carità è la verità la quale «dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme «Agápe» e «Lógos»: Carità e Verità, Amore e Parola» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, § 3).
La carità origina e si nutre della relazione con il Dio creatore divenendo co-azione con Dio, tant’è che i più importanti Santi dediti alla carità nei confronti dei fratelli più bisognosi hanno dedicato lunghi spazi di tempo delle loro giornate in preghiera e in adorazione del Santissimo. Vivida conferma e testimonianza di ciò si ricava da un aneddoto narrato da S.Em. Angelo Comastri nel suo libro “Dio scrive diritto” in cui riferisce dell’incontro che ebbe quando era giovane sacerdote con Madre Teresa di Calcutta (che qui di seguito citiamo dalla trascrizione tratta dal testo di S.Em. Robert Sarah, La forza del silenzio, Siena, 2017, p. 57 ss.): «telefonai alla Casa Generalizia delle Suore Missionarie della Carità per poter incontrare Madre Teresa di Calcutta, ma la risposta fu categorica: “Non è possibile incontrare la Madre; i suoi impegni non lo permettono”. Ci andai lo stesso. La suora che venne ad aprirmi mi chiese gentilmente: “Che desidera?”. "Vorrei soltanto incontrare Madre Teresa per qualche istante”. Sorpresa, la suora rispose: “Mi dispiace, non è possibile!”. Non mi spostai e feci capire alla suora che non me ne sarei andato senza aver incontrato Madre Teresa. La suora allora si allontanò per qualche minuto e tornò in compagnia di Madre Teresa…Ebbi un sussulto e rimasi senza fiato. La Madre mi fece sedere in una piccola stanza vicina alla cappella. Nell’attesa, mi ero un po' ripreso e quindi riuscii a dire: “Madre, sono un giovane prete: sono i miei primi passi! Sono venuto per chiederle di accompagnarmi con la sua preghiera!”. La Madre mi guardò con tenerezza e dolcezza e poi, sorridendo, mi rispose: “Prego sempre per i sacerdoti. Pregherò anche per te”. Poi mi donò una delle medaglie miracolose di Maria Immacolata, la mise nelle mie mani e mi chiese: “Quante ore preghi al giorno?”. Io rimasi un po' imbarazzato e sorpreso e poi, cercando di ricomporre i miei pensieri, risposi: “Madre, celebro ogni giorno la Santa Messa, recito ogni giorno il breviario; sa, in questo momento, è un atto eroico (eravamo nel 1969)! Recito anche ogni giorno il Rosario e lo faccio volentieri perché l’ho imparato da mia madre”. Madre Teresa strinse nelle sue mani rugose la corona del rosario che portava sempre con sé. Poi mi fissò con i suoi occhi pieni di luce e di amore e mi disse: “Non basta, figlio mio! Nell’amore non si può vivere al minimo indispensabile. L’amore esige il massimo!”. Non compresi subito le parole di Madre Teresa e, quasi per giustificarmi, risposi: “Madre, da lei mi aspettavo che mi chiedesse: quanta carità [n.d.r. da intendersi nell’accezione del linguaggio comune] fai?”. All’improvviso il volto di Madre Teresa era ritornato molto serio e disse con voce decisa: “E tu credi che potrei fare la carità se non chiedessi ogni giorno a Gesù di riempire il mio cuore del suo amore? Credi che potrei andare per le strade a cercare i poveri se Gesù non comunicasse il fuoco del suo amore alla mia anima?”. In quel momento mi sono sentito molto piccolo… Ho guardato Madre Teresa con grande ammirazione e con il desiderio sincero di entrare nel mistero della sua anima così ripiena della presenza di Dio. Scandendo bene ciascuna parola, aggiunse: “Leggi bene il Vangelo: Gesù per la preghiera sacrificava anche la carità. E sai perché? Per insegnarci che, senza Dio, siamo troppo poveri per aiutare i poveri!”. In quell’epoca si vedevano tanti sacerdoti e tanti religiosi abbandonare la preghiera per impegnarsi – come dicevano loro – nel campo sociale. Le parole di Madre Teresa mi sono sembrate un raggio di sole, per cui ripetevo lentamente nel mio foro interiore: “Senza Dio, siamo troppo poveri per aiutare i poveri!”».
Filippo
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Che poi questa fissazione di voler aiutare i poveri in concreto cosa vuol dire ? Si può aiutare il povero ,alcuni poveri ma tutti i poveri non è possibile.Faccio un piccolissimo esempio: a Gaza i poveri sono la stragrande maggioranza della popolazione.Nello specifico gli abitanti di quel disgraziato territorio ricevono ogni anno fra donazioni dell'UE,FAO,ONU ,emirati arabi e stati europei miliardi di dollari .Al popolo arrivano le briciole ,tutto il resto serve ad ingrassare un gruppo ristretto di capi ed a comprare armi.Mandare soldi a paesi come questo è semplicemente inutile.E non stiamo parlandi di un caso isolato perchè gli esempi sarebbero tantissimi.Nessun paese può vivere di elemosine .Nessun paese europeo è così ricco da poter mantenere all'infinito un paese anche se piccolo.
RispondiEliminaSanta donna e Sante parole. Nei nostri squallido seminari s insegna altro e fuori dalla porta non c'è l indigenza che ci scuote.
RispondiElimina"Riscattando il pensiero di Benedetto si toglie anche un supporto a questo 'indietrismo', come lo chiama Francesco, che non può essere giustificato da papa Ratzinger. È ignoranza che intende la vera Chiesa come tradizione senza neanche capire cos'è la tradizione. Quando, per esempio, mi dicono che è il ritorno alla lingua latina, allora rispondo che se per tradizione dobbiamo tornare alla lingua di Gesù, dobbiamo ricordare che i vangeli sono stati scritti in greco e che lui parlava l'aramaico. È l'ignoranza che crea l'idea che la tradizione sia il latino e noi dobbiamo rompere questa ignoranza. L'ignoranza è la migliore compagnia del totalitarismo, degli estremismi, di questa mancanza di dialogo anche tra i politici. Il primo problema è l'ignoranza della storia e l'incapacità di leggere la complessità" (Rosanna Virgili, Famiglia Cristiana n°53 2023, pag. 60)
RispondiEliminaAnche in senso non cristiano l'altruismo sentimentalista è spesso una fuga da se stessi. Chi può veramente aiutare gli altri? Ho spesso sentito dire "aiutati che Dio ti aiuta", altre varianti: Proverbi italiani (O. Pescetti). "Dio dice aiutati, che t'aiuterò ancor io". Questa locuzione è presente anche all'interno de "Promessi sposi" di Alessandro Manzoni: "Dio dice: aiutati, che ti aiuterò. Al padre racconteremo tutto dopo il fatto". Varianti Italia: "Chi si guarda, Dio lo guarda" "Chi non s'aiuta, s'annega". Anche nella mia esperienza personale mi sono reso conto che ogni volta che chiedevo consiglio a qualcuno, se mi stavo lamentando, era una fuga dal dolore, ovvero da quella intensità che avrebbe potuto portarmi alla meditazione o alla preghiera, se avessi accettato la solitudine della responsabilità. Un altro esempio grave dell'aiuto orizzontale, sul piano esclusivamente materiale, è quello della medicina moderna. Si è dimenticato che la materia apparente è un derivato delle cause spirituali ed è scomparsa la medicina tradizionale, tra cui la medicina sacerdotale, che sarebbe bello riscoprire, per una guarigione profonda.
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