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sabato 16 dicembre 2023

L’incanto dell’Albero di Natale, occasione per un’infanzia perenne

"Eliot dice che l’incanto dell’albero di Natale, per cui ci si è stupiti quando si era davvero bambini, non si perde. Rimane lì: come occasione di un’infanzia perenne, che mai svanisce. Anche quando la vita è consolidata nei suoi problemi, rimane lì. Anzi, diventa l’occasione della speranza. Ecco il paradosso: il Natale, cioè l’inizio, ricorda la fine. Ma non una fine assurda, nell’abisso del vuoto e del nulla, bensì una fine che è un nuovo inizio. Il Natale è un inizio che ricorda la fine, ma è anche la convinzione che la fine è apertura verso un nuovo inizio: “Perché l’inizio, ci ricorderà la fine / e la prima venuta, la seconda venuta”.
QUI un altro bell'articolo de Il Cammino dei Tre Sentieri sul tema
Luigi C.

Il Cammino dei Tre Sentieri, 12 DICEMBRE 2023

di Corrado Gnerre

C’è una bellissima poesia, La coltura degli alberi di Natale, di Thomas Stearn Eliot (1889-1965) che esprime chiaramente quanto il Natale, proprio perché legato al fatto inconcepibile di un Dio che si fa uomo, sia un trionfo di stupore e di meraviglia, dove ogni uomo è preso da un atteggiamento infantile, cioè non astrattamente intellettuale, ma che il poeta inglese tiene a sottolineare non sia quello di un semplice bambino. 
Leggiamola:

Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale,
e alcuni li possiamo trascurare:
il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,
il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),
e l’infantile – che non è quello del bimbo
che crede che ogni candela sia una stella, e l’angelo dorato
che spiega le ali alla cima dell’albero
non sia solo una decorazione, ma anche un angelo.
Il fanciullo stupisce di fronte all’albero di Natale:
lasciatelo dunque in spirito di meraviglia
di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto;
così che il rapimento splendido, e lo stupore
del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l’incanto
dei primi doni ricevuti (ognuno con un profumo inconfondibile
ed eccitante),
e l’attesa dell’oca o del tacchino, l’evento
atteso e che stupisce al suo apparire,
e reverenza e gioia non debbano
essere mai dimenticate nella più tarda esperienza,
nella stanca abitudine, nella fatica, nel tedio,
nella consapevolezza della morte, della coscienza del fallimento,
nella pietà del convertito
che si potrebbe contaminare di vanagloria
spiacente a Dio e irrispettosa verso i fanciulli
(e qui ricordo con gratitudine anche Santa Lucia, con la sua canzoncina e la sua corona di fuoco):
così che prima della fine, l’ottantesimo Natale
(significando qui per “ottantesimo” l’ultimo, qualunque esso sia)
le accumulate memorie dell’emozione annuale
possano concentrarsi in una grande gioia
simile sempre a un grande timore, come nell’occasione
in cui il timore giunse ad ogni anima;
perché l’inizio ci ricorderà la fine
e la prima venuta la seconda venuta.

Eliot dice che l’incanto dell’albero di Natale, per cui ci si è stupiti quando si era davvero bambini, non si perde. Rimane lì: come occasione di un’infanzia perenne, che mai svanisce. Anche quando la vita è consolidata nei suoi problemi, rimane lì. Anzi, diventa l’occasione della speranza. Ecco il paradosso: il Natale, cioè l’inizio, ricorda la fine. Ma non una fine assurda, nell’abisso del vuoto e del nulla, bensì una fine che è un nuovo inizio. Il Natale è un inizio che ricorda la fine, ma è anche la convinzione che la fine è apertura verso un nuovo inizio: “Perché l’inizio, ci ricorderà la fine / e la prima venuta, la seconda venuta”.