Continuiamo le meditazioni liturgiche tratte dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger (Le Mans 1841-1866) per il tempo di Natale: la Messa dell’aurora.
L.V.
IL SANTO GIORNO DI NATALE
MESSA DELL’AURORA
Terminato l’Ufficio delle Lodi, i cantici di gioia con i quali la Chiesa ringrazia il Padre dei secoli per aver fatto spuntare il suo sole di giustizia sono finiti: è tempo di offrire il secondo sacrificio, il sacrificio dell’aurora. La santa Chiesa ha glorificato, con la prima Messa, la nascita temporale del Verbo, secondo la carne; ora onorerà unaseconda nascita dello stesso Figlio di Dio, nascita di grazia e di misericordia, quella che si compie nel cuore del cristiano fedele.
Ecco che, in questo stesso istante, i pastori invitati dagli angeli arrivano frettolosi a Betlemme; si stringono nella stalla troppo angusta per contenere la loro folla. Docili all’avvertimento del cielo, sono venuti a riconoscere il Salvatore la cui nascita fu loro annunziata. Trovano tutto come gli angeli avevano detto. Chi potrebbe descrivere la gioia del loro cuore, la semplicità della loro fede? Non stupiscono di trovare, sotto le sembianze d’una povertà simile alla loro, colui la cui nascita commuove gli angeli stessi. I loro cuori hanno compreso tutto; adorano, amano quel bambino. Sono già cristiani: la Chiesa cristiana comincia in essi; il mistero di un Dio che si è umiliato è ricevuto nei cuori umili. Erode cercherà di far morire il bambino, la sinagoga fremerà, i suoi dottori si leveranno contro Dio e contro il suo Cristo, manderanno a morte il liberatore d’Israele; ma la fede rimarrà ferma e incrollabile nell’anima dei pastori, nell’attesa che i sapienti e i potenti si prostrino a loro volta davanti al presepio e alla croce.
Che cos’è dunque avvenuto nel cuore di quegli uomini semplici? Vi è nato il Cristo e vi abita ormai con la fede e l’amore. Sono i nostri padri nella Chiesa; e tocca a noi imitarli. Chiamiamo dunque a nostra volta il divino Bambino nelle anime nostre; facciamogli posto e nulla gli arresti più l’entrata nei nostri cuori. È anche per noi che parlano gli angeli, è a noi che annunciano la lieta novella; il beneficio non deve fermarsi ai soli abitanti delle campagne di Betlemme. Ora, per onorare il mistero della silenziosa venuta del Salvatore nelle anime, il sacerdote salirà nuovamente l’altare e presenterà per la seconda volta l’Agnello senza macchia agli sguardi del Padre celeste che lo manda.
Che i nostri occhi siano dunque fissi sull’altare, come quelli dei pastori sulla mangiatoia; cerchiamo, come essi, il neonato bambino, avvolto nelle fasce. Entrando nella stalla, essi ignoravano ancora colui che avrebbero visto; ma i loro cuori erano preparati. D’un tratto lo vedono e i loro occhi si arrestano su quel sole divino. Gesù dalla mangiatoia manda loro uno sguardo d’amore; essi sono illuminati e la luce risplende nei loro cuori. Meritiamo che si compiano anche in noi le parole del principe degli Apostoli: «la lampada [che] brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori»¹.
Siamo arrivati a questa aurora benedetta; è apparso il divino Oriente che aspettavamo e non tramonterà più sulla nostra vita: d’ora in poi vogliamo temere soprattutto la notte del peccato da cui egli ci libera. Siamo figli della luce e figli del giorno², non conosceremo più il sonno della morte, ma veglieremo sempre, ricordandoci che i pastori vegliavano quando l’angelo parlò loro e il cielo si aprì sul loro capo. Tutti i canti della Messa dell’aurora ci narreranno ancora lo splendore del Sole di giustizia; gustiamoli come prigionieri per lungo tempo rinchiusi in un carcere tenebroso ai cui occhi una dolce luce ridarà la vista. Il Dio della luce risplende dentro la mangiatoia; i suoi raggi divini abbelliscono ancora i dolci lineamenti della Vergine madre che lo contempla con tanto amore; il volto venerabile di Giuseppe ne riceve un nuovo splendore. Ma sono raggi che non si fermano nello stretto recinto della grotta. Se lasciano nelle meritate tenebre l’ingrata Betlemme, si lanciano però attraverso il mondo intero e accendono in milioni di cuori un amore ineffabile per quella luce che viene dall’alto, che strappa l’uomo ai suoi errori e alle sue passioni e lo eleva verso il fine sublime per il quale è stato creato.
Ora la santa Chiesa, in mezzo a tutti questi misteri del Dio incarnato, ci presenta, nel seno stesso dell’umanità, un altro oggetto d’ammirazione e di letizia. Al ricordo così caro e glorioso della nascita dell’Emmanuele essa unisce, in questo sacrificio dell’aurora, la memoria solenne d’una di quelle anime coraggiose che hanno saputo conservare la luce di Cristo, a dispetto di tutti gli assalti delle tenebre. Essa onora, in questa stessa ora, sant’Anastasia che, nel giorno della nascita del Redentore, nacque alla vita celeste, mediante la croce e la sofferenza, sotto la persecuzione di Diocleziano³.
EPISTOLA (Tt 3, 4-7) – Carissimo, è apparsa la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini; egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante un’acqua di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, Salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, secondo la speranza, eredi della vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.
Il sole che si è levato su di noi è un Dio salvatore, in tutta la sua misericordia. Noi eravamo lontani da Dio, nelle ombre della morte; è stato necessario che i raggi divini scendessero fino al fondo dell’abisso in cui il peccato ci aveva precipitati; ed ecco che ne usciamo rigenerati, giustificati, eredi della vita eterna. Chi ci separerà ora dall’amore di questo bambino? Vorremmo forse rendere inutili le meraviglie di un amore così generoso e ridiventare ancora gli schiavi delle tenebre della morte? Conserviamo piuttosto la speranza della vita eterna, alla quale questi alti misteri ci hanno iniziato.
VANGELO (Lc 2, 15-20) – In quel tempo, i pastori dicevano tra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato detto loro.
Imitiamo la sollecitudine dei pastori nel visitare il neonato. Hanno appena sentito le parole dell’angelo, che partono senza frapporre indugi e si recano alla stalla. Giunti davanti al bambino, i loro cuori già preparati lo riconoscono; e Gesù, con la sua grazia, nasce in essi. Gioiscono di essere piccoli e poveri come lui, sentono che ormai sono uniti a lui e tutta la loro condotta renderà testimonianza del cambiamento che si è operato nella loro vita. Infatti, essi non tacciono, parlano del bambino, se ne fanno gli apostoli; e la loro parola rapisce d’ammirazione quelli che li sentono. Glorifichiamo con essi il gran Dio che, non contento di chiamarci alla sua mirabile luce, ne ha posto il focolaio nel nostro cuore, unendosi a esso. Conserviamo caramente in noi il ricordo dei misteri di questa grande notte, dietro l’esempio di Maria, che medita senza posa nel suo Cuore santissimo i semplici e sublimi eventi che si compiono per essa e in essa.
Terminato il secondo sacrificio e celebrata la Nascita di grazia con questa nuova offerta della vittima immortale, i fedeli escono dalla chiesa e vanno a ristorare le proprie forze con il sonno, aspettando la celebrazione del terzo sacrificio.
PREGHIAMO
Concedici, Dio onnipotente, che, come siamo inondati dalla nuova luce del tuo Verbo incarnato, così facciamo risplendere nelle nostre opere la luce della fede che ci brilla nell’anima.
¹ Cfr. 2Pt 1, 19.
² 1Ts 5,5.
³ È nel V secolo che si introdusse una messa che aveva per oggetto di celebrare il Natale di sant’Anastasia, vergine e martire di Sirmio, il cui corpo era stato trasportato a Costantinopoli sotto il patriarca Gennadio (458-471) e deposto nella chiesa chiamata l’Anastasi. La somiglianza del nome fece scegliere a Roma, per la celebrazione di questa messa, il titulus Anastasiae, così chiamato dal nome della fondatrice della chiesa che era la chiesa parrocchiale della Corte. Sant’Anastasia fu inserita, alla fine del V secolo o all’inizio del VI, nel Canone della Messa. Contemporaneamente si formò la leggenda di una sant’Anastasia romana, ma che aveva subito il martirio a Sirmio. Quando la festa di Natale acquistò maggiore solennità, la devozione alla santa diminuì: al posto della messa in suo onore non si ebbe più che una memoria della martire e la Messa fu consacrata a onorare la nascita spirituale del Salvatore nelle anime.
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