Vedremo se "il Regista di tutto" permetterà di fare giustizia o assolverà di nuovo l'abusatore seriale Rupnik
QUI Aciprensa che fa una cronologia completa del caso Rupnik, da leggere tutta (QUI un'altra cronologia di Edward Pentin).
QUI Golias: "Il Papa cede alle pressioni".
QUI Catholic Rewiev: "Santità, il reperto A del clericalismo non sono i clienti di Gammarelli. Sono Marko Rupnik".
Rileviamo infine che nell'ultima - delle ormai centinaia - intervista a Francesco al TG1 (QUI) nessuna domanda è stata fatta sul tema, ma si è dilettati in "temi fondamentali" come le vacanze al mare del Papa e le sue fidanzate.
Possibile che nessun giornalista (eccetto - lodevolissima per il suo coraggio - Nicole Winfield di AP, QUI) abbia il coraggio di fare qualche domanda su Rupnik e su chi ha tolto la scomunica all'ex gesuita?
Possibile che neppure un quotidiano italiano mainstream o le trasmissioni di inchiesta TV non dedichino un articolo o una puntata al tema? Formigli o Ranucci, possono battere un colpo se esistono?
QUI i post pubblicati sul caso Rupnik da MiL.
Luigi
Lorenzo Prezzi, Settimana News, 1-11-23
Papa Francesco ha tolto la prescrizione all’accusa di abusi compiuti dall’ex gesuita Marko Rupnik; la comunità Loyola, luogo originario delle violenze, potrebbe essere chiusa; il processo amministrativo cede il passo al processo penale. Sono gli eventi che hanno rovesciato il giudizio prevalente di una chiusura favorevole a Rupnik della complessa vicenda che lo riguarda (qui).
L’udienza pontificia accordata a Maria Campatelli, direttrice del Centro Aletti, l’esito della visita canonica al Centro da parte di don Giacomo Incitti (canonista, docente presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma) e l’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria (Koper, Slovenia) avevano infatti convinto i più che la protezione papale avrebbe garantito l’artista e la sua opera. Depositando un’ombra seria sul pontificato.
La Commissione per la tutela dei minori
In un breve comunicato della Sala stampa vaticana si legge che la Commissione vaticana per la tutela dei minori ha segnalato gravi problemi nella gestione del caso e denunciato la mancata vicinanza alle vittime. «Di conseguenza il santo Padre ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento del processo» (27 ottobre 2023).
La decisione ha raccolto un ampio consenso, confermando tuttavia lo stupore per un cambiamento tanto repentino. Le domande si susseguono: Rupnik prenderà parte al processo? Sarà un processo trasparente e definitivo? Si chiariranno finalmente tutti i passaggi dei due processi precedenti (il primo chiuso con la scomunica, subito tolta, il secondo con il ricorso alla prescrizione)? Come reagiranno le consacrate del Centro Aletti?
«Siamo molto sorprese – hanno scritto cinque vittime – del comunicato della Santa Sede nel quale il santo Padre chiede di esaminare il caso Rupnik al dicastero della dottrina della fede e deroga alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo che possa rendere giustizia alle vittime. Speriamo che questo sia un passo idoneo per vedere riconosciuta la verità. Siamo in attesa di ulteriori sviluppi» (Domani, 30 ottobre).
In un comunicato stampa del 30 ottobre, l’associazione Italychurchtoo («Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica»), auspica: «Il processo canonico a Rupnik, alla cui istruzione il papa si è impegnato, non si trasformi in un processo alle vittime; la loro credibilità di donne adulte dovrà essere rispettata e tutelata; dovranno potersi avvalere di avvocati di loro scelta; essere informate debitamente sulle procedure e coinvolte direttamente; in caso contrario, non faranno che rivivere un ulteriore abuso».
Il 29 settembre la Commissione per la tutela dei minori scrive ai sinodali per sollecitare l’attenzione agli abusi da parte dell’assemblea. L’8 ottobre un suo membro, Patricia Espinosa, si indirizza alle vittime di Rupnik ammettendo di non poter modificare le sentenze, ma di essere decisa a controllare l’attenzione alle vittime e la correttezza delle procedure. Il 21 ottobre c’è stato un incontro tra la commissione e alcune vittime. All’indomani del comunicato del 27 ottobre la Commissione ne sottolinea l’importanza «per tutta la Chiesa».
Incardinazione e dubbi sulle procedure
Il 26 ottobre esce la notizia dell’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Koper (Capodistria, Slovenia). Il vescovo Jurij Bizjak dichiara di non disporre di alcun documento probatorio che Rupnik sia oggetto della condanna di un tribunale, senza la quale egli «beneficia degli stessi diritti e doveri di ogni altro prete». La decisione è condivisa dal nunzio, Jean-Marie Speich. Già in marzo il vescovo aveva ricevuto tutte le informazioni del caso dai gesuiti e, in giugno, una lettera di Rupnik per essere ammesso nel presbiterio.
Il 18 settembre ha fatto molto rumore la nota del vicariato di Roma (card. De Donatis) al termine della visita canonica di mons. Giacomo Incitti al Centro Aletti. Il visitatore segnala una vita comunitaria sana e priva di criticità, una piena disponibilità alla prova e l’opportunità di una qualche modifica statutaria.
«Il visitatore ha doverosamente esaminato anche le principali accuse che sono state mosse a p. Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il visitatore ha potuto riscontrare, e ha quindi segnalato, procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica».
Il giudizio netto si rovescia come un’accusa di incompetenza al dicastero della dottrina della fede e ai procedimenti condotti dalla Compagnia di Gesù. Cresce il malumore nell’episcopato sloveno, che aveva preso una posizione molto critica verso l’artista, e nello stesso governo che gli aveva ritirato un prestigioso premio nazionale.
Quali sarebbero le procedure anomale? La «complice» nell’assoluzione avrebbe parzialmente modificato il suo racconto in una lettera successiva; il «reo» sarebbe apparso in tribunale senza avvocato e senza sapere che poteva, seduta stante, ricorrere all’istanza superiore; il processo «amministrativo» (comune in molti casi di abuso e molto più rapido) non garantirebbe i diritti fondamentali dell’accusato come il processo «penale», non utilizzato nel caso in esame.
Un confronto molto duro avviene in vicariato fra il card. A. De Donatis e il vescovo ausiliare Daniele Libanori. Quest’ultimo era stato visitatore alla comunità Loyola e autore di una valutazione assai critica sulla fondatrice, Ivanka Hosta e sull’operato di Marko Rupnik.
Da quasi cardinale a impunito
Sull’immagine pubblica di Rupnik si depositano accuse sempre più gravi: «È un violentatore di coscienze, un predatore, un molestatore sessuale e ora, per opera e grazia di un cardinale di nome angelico (Angelo De Donatis – ndr) è diventato un protetto. Rupnik può fare quello che vuole a Roma, è impunito» (Cristina I. Sanz).
Fino a pochi mesi prima dello scoppio del caso (2022) diverse autorevoli voci lo davano come candidato al cardinalato. Si sapeva del suo influsso in ordine alla scelta di vescovi «amici», dei vescovi sloveni e alla gestione del dossier «Stepinac» in attesa di beatificazione da molti anni.
Oltre alla nota del vicariato e alla notizia dell’incardinazione, ha fatto impressione la visita al papa di Maria Campatelli, presidente del Centro Aletti (15 settembre). Un appuntamento a cui si è dato ampia diffusione sui media, ma non da parte dell’interessata.
Con la nota del vicariato e l’udienza papale esplode la sofferenza delle vittime. Cinque di loro (con nome e cognome) scrivono: «In questi due avvenimenti non casuali, anche nella loro successione nel tempo, riconosciamo che alla Chiesa non interessa nulla delle vittime e di chi chiede giustizia; e che la “tolleranza zero sugli abusi nella Chiesa” è stata solo una campagna pubblicitaria, a cui hanno invece fatto seguito solo azioni spesso occulte, che hanno invece sostenuto e coperto gli autori di abusi… Non abbiamo altre parole perché tutta la sofferenza delle vittime l’abbiamo esposta come una ferita aperta e certo disgustosa… E le vittime sono perciò state censurate per non essere state discrete, ma avere esposto qualcosa di ripugnante: il loro dolore, la manipolazione di chi le ha circuite in nome di Cristo, dell’amore spirituale, della Trinità. Hanno esposto il loro dolore, perché la manipolazione e gli abusi ne hanno ferito per sempre la dignità».
Il papa c’entra o no?
Nel frattempo la situazione della comunità Loyola (circa 50 suore) diventa sempre più difficile. Dopo la visita di mons. Libanori (2020-2022), un rapporto è presentato al dicastero dei religiosi e un decreto (21 giugno 2023) impone alla fondatrice di rinunciare ad ogni posizione di governo, di trasferirsi a Braga (Portogallo), di fare un pellegrinaggio una volta al mese per pregare «per le vittime del comportamento di p. Marko Ivan Rupnik e per tutte le suore della Comunità Loyola». A breve dovrebbe arrivare la decisione del dicastero. Non viene esclusa la chiusura della comunità.
Ma papa Francesco c’entra o no? In un paio di risposte ai giornalisti ha detto di essere sostanzialmente estraneo alla questione, dicendo di Rupnik: «Ci si accorge di trovarsi di fronte a una persona molto limitata, che però è potente, a volte» (Associated Press 25 gennaio).
Nondimeno sono continuate le voci, alcune autorevoli, di un interventismo sistematico. Tanto da indurre R. Zbinden a tre ipotesi: il papa non sa effettivamente nulla del caso; conosce il caso, ma blocca le procedure perché non è convinto della sua colpevolezza; lo difende in ragione della sua amicizia e della salvaguardia dell’istituzione.
«Qualunque sia la verità, il fatto che le informazioni date dalle istanze vaticane siano, come d’abitudine, particolarmente lacunose, ermetiche e imprecise non contribuiscono in niente ad appianare i rumori, le speculazioni e l’appetito giornalistico per i sospetti di intrighi e complotti» (www.cath.ch).
La scelta compiuta da Francesco di togliere la prescrizione per permettere che le denunce delle 25 vittime trovino conferma o meno nell’aula di un tribunale ha rasserenato il clima e avviato quella che, forse, sarà la conclusione di un dramma ecclesiale.