Post in evidenza

MiL è arrivato a 20.000 post, ad maiorem Dei gloriam! #messainlatino #blogmil #sonosoddisfazioni #20000

Con piacere, ed una punta di sana soddisfazione (per il traguardo che ripaga i tanti nostri sacrifici) avvisiamo i nostri lettori che il blo...

martedì 10 ottobre 2023

No all'aborto! C’è un vescovo a Vibo Valentia! #noaborto #prolife #dottrina

Un altro vescovo con la schiena dritta.
Luigi

Il Timone, 7 Ottobre 2023, Valerio Pece

A Vibo Valentia accade che a fine omelia il celebrante inviti i fedeli, una volta fuori dalla Chiesa, a firmare per la proposta di legge Un cuore che batte. È un pastore cattolico, è normale. Succede anche che un politico locale gridi allo scandalo («Occorre continuare a garantire alle donne la massima libertà di autodeterminazione sul proprio corpo»), e che identica cosa faccia un attivista amico («Il diritto all’aborto è e rimane alla base del corollario dei diritti a disposizione di ogni donna, cattolica o meno che sia!»). Ma anche questo è normale, se è vero che il primo è il segretario provinciale del PD e il secondo è il segretario locale dell’Anpi. La novità sta nel fatto che il 30 settembre scorso a celebrare la Messa e a esortare i fedeli alla firma è stato il vescovo in persona, Sua Eccellenza Mons. Attilio Nostro, coraggioso pastore della Diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea.
Forse perché abituato a pedalare in salita («San Mattia – ha confidato il giorno della sua ordinazione episcopale riferendosi alla parrocchia romana appena lasciata – ha dentro di sé un desiderio ancora incompiuto che ho espresso già al Santo Padre: vedere riconosciute le virtù eroiche di Gino Bartali a cui noi abbiamo dedicato l’oratorio. Mi piace il ciclismo, sappiatelo»), sta di fatto che un gesto così chiaramente cattolico è da salutare con estremo favore. Oggi più che mai.

UNA PROPOSTA DI LEGGE FINALMENTE “ENTUSIASMANTE”

La verità è che la proposta di legge di iniziativa popolare Un cuore che batte sta iniziando ad allarmare più di qualcuno per l’entusiasmo con cui viene appoggiata e rilanciata. Il recente capovolgimento della sentenza Roe v. Wade, la forza contagiosa del passaparola, le numerose iniziative di contorno, tutto concorre a far sì che nel mondo pro life italiano si respiri una frizzantissima aria nuova (nella mattinata di oggi, tra i posti in cui è possibile sottoscrivere la petizione, si aggiunge un banchetto-firme in un luogo tutto speciale: il Santuario di Rosa Mistica a Montichiari).

La logica della proposta di legge, depositata alla Corte Suprema di Cassazione il 16 Maggio 2023 da 15 associazioni, è tanto semplice quanto stringente: si tratta di introdurre nell’art. 14 della legge 194 il comma 1 bis, ovvero l’obbligo di mostrare alla madre la realtà della vita che porta in grembo. Ciò affinché il suo consenso possa essere realmente consapevole e quindi autenticamente informato. Il comma aggiuntivo reciterebbe così: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

«MOSTRARTI IL BAMBINO È CONTRO LA NOSTRA POLITICA»

Laddove sia stata adottata questa prassi (ad esempio in alcuni Stati degli USA) il numero di aborti è diminuito radicalmente. È un fatto. Ed è parimenti indicativo che centri di potere e lobby guardino alla pratica come fumo negli occhi. La multinazionale abortista Planned Parenthood (tra i maggiori finanziatori del Partito Democratico americano) è arrivata a rifiutare la visione dell’ecografia del bambino alle gestanti che la chiedevano. Wanda Massa, vicepresidente dell’Associazione Ora et Labora in difesa della Vita, riporta un passaggio di Life At All Costs, saggio in cui ventuno donne di colore raccontano il loro doloroso risveglio dall’inganno dell’aborto. Tegra Little, attuale leader prolife, scrive: «Le chiesi di poter vedere lo schermo, lei [l’operatrice di Planned Parenthood, ndr] mi rispose: “No”. Le chiesi ancora: “Perché no?”. Mi rispose: “È contro la nostra politica”. E aggiunse: “Non c’è niente da vedere, è solo tessuto”. In quel momento avrei dovuto rivestirmi e andarmene. Non mi parlò dello sviluppo del feto, del battito cardiaco del bambino, neanche della possibilità che potesse essere adottato…».

È COLPA DI ORBAN (COME SEMPRE)

Nell’ultima settimana il vescovo Attilio Nostro ha dovuto prendere atto non solo dello stato comatoso della sinistra italiana (a cui manca il coraggio di guardare con un minimo di serenità una proposta che, lungi dall’impedire l’aborto, si limita a dissotterrare quel consenso informato che è principio cardine della sanità moderna), ma ha dolorosamente toccato con mano anche lo stato confusionale di non pochi fedeli, ormai imbrigliati in un pensiero unico che impigrisce la ragione e fa perdere lucidità. Lo testimonia una lettera riportata dal quotidiano Il Vibonese a firma di un insegnante del posto. Questi si dice «credente e praticante», per anni «impegnato nel volontariato religioso in ambito parrocchiale», presente perfino «alle riunioni del Consiglio Pastorale Diocesano». In un procedere tonico, tra citazioni evangeliche improbabili il fedele vibonese non nasconde il suo «turbamento e smarrimento» per l’azione del vescovo, che accusa di «far politica dal Suo pulpito», e a cui ricorda – attenzione al fortissimo argomento logico – che «la paternità primigenia di questa legge è del governo liberticida e autoritario ungherese di Viktor Orban».

UN VESCOVO CHE FA BATTERE IL CUORE

La verità è che le immagini del bambino nel grembo materno, che si muove o che si succhia il dito, superano qualsiasi retorica. Siccome poi «è necessario che gli scandali avvengano» (Mt 18,7), l’invito del pastore della Diocesi calabrese a firmare per Un cuore che batte, nonché gli attacchi alla sua figura, permetteranno probabilmente alla proposta di legge di fare un enorme passo in avanti. Ai rumorosi detrattori andrebbe almeno spiegato come della Sindrome Post Aborto (PAS) soffra oltre il 60% delle donne che hanno abortito, le quali finiscono per riportare conseguenze psico-fisiche anche gravi (un elemento che, già da solo, mette in crisi il mantra di una legge 194 finalizzata a «salvaguardare la salute delle donne»).

L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori – molti di più delle 15 sigle che per legge è il numero massimo di firmatari – è quello di raggiungere 50 mila firme entro il 7 novembre 2023 (tutti i Comuni italiani hanno dovuto attivare la raccolta firme). Dopo l’audace gesto del vescovo Nostro (e nostro vescovo) nessuno potrà più dire “non sapevo”, si tratta del futuro dell’Italia. Niente di meno