Un'intervista tutta da leggere.
"La teologia morale ha perso tutti i suoi punti di riferimento. È urgente considerare l’atto morale nella sua interezza e non solamente nel suo aspetto soggettivo. Il prossimo anniversario della pubblicazione della Veritatis Splendor può aiutarci in questo. Accolgo con favore le iniziative, che ho potuto veder organizzate su questo tema, e le incoraggio. I comandamenti del Decalogo sono validi e resteranno validi come lo sono sempre stati in qualsiasi epoca, semplicemente perché indissociabili dalla natura umana".
Luigi
Per gentile concessione de L’Homme nouveau, pubblichiamo quest’intervista rilasciata dal cardinale Burke a Philippe Maxence. Su questo stesso argomento, si veda anche l’intervento del cardinale in occasione del convegno dello scorso 3 ottobre, organizzato a Roma presso il teatro Ghione dalla rivista la Nuova Bussola Quotidiana di Riccardo Cascioli, sul tema «La Babele sinodale».
Philippe Maxence – In un’intervista rilasciata ad ACN lo scorso 10 agosto, Lei ha dichiarato che gran parte dell’attuale bufera è associata ad una retorica populista sulla Chiesa, ivi compresa la sua disciplina. Cosa intendeva dire?
Cardinale Burke – Purtroppo osserviamo come numerosi membri della Chiesa (a volte con responsabilità alquanto elevate nella gerarchia ecclesiastica ed a questo titolo garanti in modo particolare della conservazione e della diffusione del dogma della Fede) non proclamino più chiaramente la Fede, ma al contrario affermino in modo ambiguo ciò che una frangia della società e dei media vorrebbe sentirsi dire. È precisamente, questa, una forma di populismo, nel senso che l’obiettivo sta nel compiacere questa minoranza e non più nel proclamare la Fede – vale a dire il Credo, i Comandamenti, la disciplina della Chiesa costante fin dagli Apostoli, ecc. – e spiegarla.
Lei scrive nella prefazione, che ha preparato per il libro di Julio Loredo e José Antonio Ureta, Processo sinodale: Un Vaso di Pandora (TFP, 2023), che la «sinodalità» e l’aggettivo «sinodale» sono divenuti veri e propri slogan. Non è forse, questa, una procedura tipicamente rivoluzionaria applicata alla dottrina della Chiesa, quella di proporre slogan in luogo ed al posto di concetti teologici per portare avanti uno sconvolgimento ecclesiologico?
La confusione in cui viviamo in materia di teologia, di morale ed anche di filosofia elementare è alimentata da una grande mancanza di chiarezza nel vocabolario utilizzato e questo è probabilmente intenzionale da parte di taluni. Noi assistiamo ad uno slittamento semantico di certe parole o espressioni, ciò che rende l’insegnamento della Chiesa incomprensibile su alcuni punti. Potrei citare a questo proposito l’espressione misericordia di Dio, ad esempio. Ma a volta nuove parole vengono introdotte o estremizzate senza una chiara definizione, com’è il caso del termine sinodalità.
Nel momento in cui questi concetti divengono centrali e non vengono chiaramente definiti, la porta è aperta a chiunque voglia interpretarli in modo tale da rompere con l’insegnamento costante della Chiesa su questi temi. La Storia della Chiesa ci insegna che la risoluzione delle peggiori crisi, come la crisi ariana, ad esempio, parta sempre da una grande precisione nel vocabolario e nei concetti impiegati.
Molti laici restano sconcertati per il metodo impiegato, che consiste nel porre domande, in modo tale da sembrare che determinino in anticipo la direzione delle risposte e che ricorda stranamente i metodi utilizzati per manipolare le assemblee… Si tratta di una percezione distorta, troppo politica e molto mondana di questo testo?
Sembra che i risultati del Sinodo siano noti in anticipo, malgrado tutto ciò che ha potuto esser detto in senso contrario. È chiaro come una percezione distorta e politica sia all’opera in modo appena appena dissimulato. I responsabili del sinodo hanno indicato nelle interviste ai giornali che il lavoro verrà portato avanti da piccoli gruppi linguistici e che l’insieme dei lavori non verrà molto probabilmente sottomesso al voto dei partecipanti, almeno durante questa sessione. È stato inoltre annunciato che il segreto pontificio coprirà l’insieme di tutti i dibattiti. I membri di questa assemblea non potranno sapere se il contenuto della relazione generale sia fedele a ciò che è stato detto all’interno degli stessi gruppi linguistici. Sarebbe pertanto estremamente facile manipolare una simile assemblea, in effetti.
Un punto che ha particolarmente colpito i semplici fedeli è quello relativo alla volontà manifesta di accogliere tutte le derive sessuali in quanto tali, anziché accogliere le persone per invitarle alla conversione a Cristo ed alla Sua Chiesa. Che è successo, a Suo giudizio?
La teologia morale ha perso tutti i suoi punti di riferimento. È urgente considerare l’atto morale nella sua interezza e non solamente nel suo aspetto soggettivo. Il prossimo anniversario della pubblicazione della Veritatis Splendor può aiutarci in questo. Accolgo con favore le iniziative, che ho potuto veder organizzate su questo tema, e le incoraggio. I comandamenti del Decalogo sono validi e resteranno validi come lo sono sempre stati in qualsiasi epoca, semplicemente perché indissociabili dalla natura umana.
Mentre un’accoglienza priva di discernimento fa parte delle parole d’ordine del testo, i cattolici, che cercano di vivere secondo le esigenze della fede, nel rispetto della legge della Chiesa e della legge morale, non sembra che vengano tenuti in considerazione. I giovani sposati, le giovani famiglie, che intendono costituire dei focolari cristiani con figli in un ambiente sempre più ostile, vengono messi da parte. Non rappresentano forse, essi, uno degli aspetti dell’avvenire della Chiesa?
Dobbiamo guardare a questa ingiustizia con uno sguardo sovrannaturale. Noi sappiamo che il Bene è tenuto in conto agli occhi di Dio e che verrà ricompensato secondo giustizia, allo stesso modo in cui il male verrà punito. Un gran numero di giovani ne è cosciente e cerca di vivere, col sostegno dei sacramenti, un’autentica vita di Fede, di Speranza e di Carità. È evidentemente questo il vero avvenire della Chiesa, il solo che porterà realmente dei frutti (cfr. Mt 7, 15-17). Oggi, i buoni Cristiani devono essere pronti a soffrire il martirio bianco dell’incomprensione, del rifiuto e della persecuzione e, talvolta, il martirio rosso dell’effusione del sangue per essere fedeli testimoni e cooperatori di Cristo.
Che analisi può fare del fatto che i laici abbiano diritto di voto in un sinodo di vescovi? I sinodi delle Chiese orientali, cui si è detto di volersi ispirare, danno un simile spazio ai laici?
Ho contatti alquanto regolari con i vescovi ed i sacerdoti orientali, cattolici e ortodossi, e mi hanno tutti confidato come il modo, in cui il sinodo viene organizzato, non ha niente a che vedere con i sinodi orientali. Ciò vale per il posto dei laici in queste assemblee, ma anche in maniera più generale per i criteri di funzionamento e per le questioni affrontate. C’è una confusione costante attorno alla parola sinodalità, che si cerca artificialmente di assimilare ad una pratica orientale, ma che in realtà ha tutte le caratteristiche di un’invenzione recente, tra l’altro proprio in ciò che concerne i laici.
Dalla lettura del testo emerge un certo disagio, la volontà marcata di costruire una «Chiesa sinodale» dà l’impressione di voler giungere sino al rovesciamento della gerarchia della Chiesa nondimeno stabilita da Cristo. Questa percezione è un errore?
In effetti, ci viene detto che la Chiesa che noi professiamo, in comunione con chi ci ha preceduto nella fede sin dai tempi degli Apostoli, è una, santa, cattolica e apostolica, cattolica e apostolica, deve ora esser definita dalla sinodalità, un termine privo di storia nella dottrina della Chiesa e per il quale non v’è una definizione ragionevole. È evidentemente una costruzione artificiale, che somiglia più ad una elaborazione umana che alla Chiesa costruita sulla Pietra, che è Cristo (cfr. 1 Cor 10, 4).
A questo proposito, l’Instrumentum laboris per la prossima assemblea del Sinodo non contiene vere e proprie eresie nelle «tracce» che dischiude (ad esempio: fare dell’ascolto del popolo di Dio la forma abituale per assumere decisioni nella Chiesa; il convergere delle Chiese particolari impegnerebbe il papa a farsene carico). Quali forme potrebbe assumere l’attestazione di fede della pars sanior del collegio cardinalizio e dell’episcopato?
L’Instrumentum laboris contiene certamente delle affermazioni, che si allontanano in modo impressionante e grave dall’insegnamento perenne della Chiesa. Prima di tutto, dobbiamo riaffermare pubblicamente la nostra Fede. In questo, i vescovi hanno il dovere di confermare i loro fratelli. I Vescovi ed i Cardinali hanno bisogno di molto coraggio al giorno d’oggi per affrontare i gravi errori, che provengono dall’interno della Chiesa stessa. Le pecore dipendono dal coraggio dei pastori, che devono proteggerle dal veleno della confusione, dell’errore e della divisione.
È per questa ragione che, insieme ad altri Cardinali, proveniente ciascuno da diversi continenti, abbiamo presentato al Sovrano Pontefice durante l’estate dei dubia per chiarire un certo numero di punti appartenenti al deposito della Fede, punti che oggi vengono rimessi in discussione. Molti fratelli nell’episcopato e persino del Collegio Cardinalizio sostengono tale iniziativa, benché non siano nella lista ufficiale dei firmatari.
Ma ognuno può ed anzi deve, secondo le sue competenze, sempre rispettando e pregando per l’autorità legittima (cfr. CIC 1983, 212 §3), far professione della propria Fede, specialmente in questi tempi, in cui questa sembra oscurata.
Si ha l’impressione che questo pontificato compia azioni destinate a creare una situazione irreversibile di confusione. Lei ha buone speranze circa una reazione in futuro?
Sebbene la confusione attuale sia particolarmente grande ed anche storicamente importante, non penso ch’essa sia irreversibile. Le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa (Mt 16, 18). Il Signore ci ha promesso di restare con noi nella Chiesa fino all’Ultimo Giorno (Mt 28, 20). Possiamo sempre confidare nel Signore attraverso la Chiesa. E certamente non dobbiamo mai abbandonare il Signore, restando nella Chiesa. Tuttavia, siamo costretti ad osservare come molte anime imbocchino il cammino della perdizione a causa di questa confusione, motivo per cui occorre pregare molto ed agire per dissiparla al più presto.
Traditionis custodes non è stata compresa ben oltre coloro che fruiscono della liturgia tradizionale. Lei sarebbe favorevole ad una liberalizzazione pura e semplice di questa liturgia, quando possibile?
Traditionis custodes non ha certo contribuito a diminuire la confusione, ma al contrario un grandissimo numero di fedeli, sinceramente legati alla Chiesa, è rimasto alquanto turbato da questo documento pontificio, percepito come duro ed ingiustamente severo. Occorre rapidamente restituire loro la libertà di vivere dei sacramenti secondo l’Usus Antiquior, che ha nutrito nella Fede decine di generazioni di cristiani.
Mi dispiace, tra gli altri problemi giuridici posti da questo testo, che i risultati della consultazione preliminare dei vescovi non siano stati pubblicati, almeno in sintesi. Osservo a questo proposito come un piccolo gruppo di persone possa influenzare fortemente il risultato di una larga consultazione, il che purtroppo ricorda anche l’esperienza del Sinodo sulla famiglia.
A quanti non siano convinti dell’importanza della questione liturgica, è urgente ricordare il consiglio di Gamaliele negli Atti degli Apostoli (5, 38-39): Ecco ciò che vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta, ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!
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