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sabato 30 settembre 2023

Don Barthe. "Dei vescovi per rifiutare la Chiesa sinodale" #sinodo

La battaglia sul Sinodo continua.
Da leggere tutto.
QUI Franca Giansoldati su Il Messaggero: "Vaticano, dalla Germania i vescovi premono per cancellare il divieto dei gay nei seminari". Questo è quanto stanno preparando per il Sinodo.
Luigi


Tutti constatano, per rallegrarsene o per esserne inorriditi, come il progetto di Chiesa sinodale, che verrà esaminato dalla XVI assemblea del Sinodo dei Vescovi, comporti un cambiamento della divina costituzione della Chiesa in senso democratico. Ma tale innovazione giunge da lontano. La modifica nel modo d’essere del magistero, operata nell’ultimo concilio, ovvero la pastoralità era già gravida della democratizzazione proposta oggi col nome di sinodalità. L’insegnamento debole del Concilio poteva, in effetti, divenire in modo del tutto naturale un insegnamento sinodale, inteso come una sorta di auto-ammaestramento ad opera dei fedeli di Cristo.

Che cos’è la sinodalità?

L’aggettivo sinodale, come del resto l’aggettivo pastorale, rimandano a realtà ecclesiali tradizionali, quella, quanto al termine sinodale, delle riunioni dei vescovi, i sinodi, destinate a trattare di dottrina, disciplina o ancora dell’armonizzare il governo di un insieme di Chiese particolari. Questa è la prassi in Oriente, dove esiste un’organizzazione sinodale dell’episcopato, nel quadro della quale si procede in particolare all’elezione dei nuovi vescovi, che vengono in seguito confermati dal papa.

Ma nel corso del presente pontificato questo termine ha ricevuto un’accezione nuova, molto specifica: quella di un’amplificazione del tema della collegialità presente nel Vaticano II. Il termine sinodalità è stato forgiato, utilizzando del resto il nome della principale manifestazione di questa collegialità, il Sinodo dei Vescovi, istituito da Paolo VI, Sinodo le cui assemblee si riuniscono regolarmente a Roma. Si intende dunque passare dalla collegialità conciliare, che riguardava solo i vescovi, alla sinodalità, che riguarderà invece l’intero popolo cristiano. La collegialità voleva imitare, da lontano (le assemblee non sono che consultive) e senza ammetterlo, il parlamentarismo della democrazia liberale. La sinodalità invece vuole in qualche modo imitare, pure da lontano e senza ammetterlo, una sorta di suffragio universale per il Popolo di Dio.

La pubblicazione del documento preparatorio della prima sessione (ce ne saranno due) della XVI assemblea del Sinodo, che tratterà della sinodalità, detto Instrumentum laboris (“Instrumentum laboris” della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (vatican.va)) ha rivelato in maniera cruda in cosa consista la realtà del progetto di Chiesa sinodale.

Allo scopo d’aiutare i membri della gerarchia a reagire di conseguenza, abbiamo da parte nostra isolato, all’interno di detto Instrumentum laboris, cinque proposizioni, come si faceva un tempo per individuare chiaramente l’eterodossia di un documento: Sull’ordinazione degli uomini sposati 
– È possibile, come propongono alcuni continenti, aprire una riflessione sulla possibilità di rivedere, almeno in alcune aree, la disciplina sull’accesso al Presbiterato di uomini sposati? (IL, B 2.4 questione 9).
Nella Chiesa latina, gli uomini sposati avrebbero così accesso al presbiterato non solo in rare eccezioni, ciò che costituisce l’abbandono di una delle più sante discipline della Chiesa, basata sugli insegnamenti di Cristo concernenti il celibato.
Magistero dei laici – Come rendere l’ascolto del Popolo di Dio la forma abituale per realizzare i processi decisionali nella Chiesa a tutti i livelli della sua vita? (IL B 3.4 questione 1 a).
La consultazione dei fedeli di una Chiesa particolare o della Chiesa universale dovrebbe dunque abitualmente precedere gli atti di governo o di magistero dei pastori della Chiesa.
Laicizzazione della Chiesa – È possibile che, in particolare in luoghi in cui il numero di Ministri ordinati è molto scarso, i Laici possano assumere il ruolo di responsabili della comunità? (IL B 2.4 questione 8).
A causa della carenza di preti, i laici potrebbero quindi esercitare, in loro vece, funzioni di governo e di insegnamento.
Diaconato femminile – La maggior parte delle Assemblee continentali e le sintesi di numerose Conferenze episcopali chiedono di considerare nuovamente la questione dell’accesso delle donne al Diaconato. È possibile prevederlo e in che modo? (IL B 2.3 questione 4).
Il diaconato, parte del sacramento dell’Ordine, potrebbe essere conferito alle donne.
Sottomissione del Papa al consenso delle Chiese – In che misura la convergenza di più raggruppamenti di Chiese locali (Concilii particolari, Conferenze Episcopali, ecc.) sulla medesima questione impegna il Vescovo di Roma ad assumerla per la Chiesa universale? (IL B 3.4 questione 4 c).
Le decisioni giuridiche o dottrinali assunte dalle unioni di Chiese locali potrebbero obbligare in qualche misura il papa ad adottarle.

Tutte queste proposizioni provocano scandalo. Le ultime due almeno sono chiaramente non cattoliche.

La chiave di lettura di tali proposizioni e, di fatto, del progetto sinodale sta proprio nella democratizzazione della costituzione della Chiesa[1]: declericalizzazione, «magistero» di consultazione e di consenso.

Intendiamoci bene, tuttavia: questa democratizzazione, sotto papa Francesco, assume la forma di un dispotismo illuminato, poiché mai il potere pontificio è stato esercitato in maniera tanto autoritaria. I vescovi, ad esempio, costretti obbligatoriamente a dimettersi all’età di 75 anni, spesso trasferiti, ricevendo, in occasione delle proprie nomine, da parte dei nunzi del papa degli autentici «fogli di viaggio» da eseguire, revocati nel caso non seguano una buona condotta, rassomigliano sempre più a funzionari del papa.

Inoltre, questa democratizzazione della Chiesa non vuole dire che si stia andando verso l’elezione dei vescovi e del papa a suffragio universale. In realtà, si avrebbero molte sorprese, se si desse la scheda elettorale al popolo cristiano! Questo sistema sinodale, che rientra nell’ambito del cattolicesimo liberale, come spiegheremo più avanti, mantiene necessariamente delle sembianze cattoliche, specialmente quella di un’organizzazione gerarchica. Per ricorrere ad un’immagine davvero alquanto imperfetta, si può dire che la Chiesa post-conciliare sia entrata nella democrazia come la Cina comunista nell’economia di mercato, pur restando intrinsecamente autoritaria. La democratizzazione della Chiesa si trova, in realtà, nel fatto che la sua dottrina venga adattata, tendenzialmente, con molto ritardo e grande prudenza, ad una sorta di «volontà generale», un relativismo ampiamente condiviso dai cristiani (da qui l’ecumenismo o l’ammorbidimento della morale del matrimonio, ad esempio). Insomma, della democrazia moderna, la Chiesa d’oggi conserva l’essenza del funzionamento – ancora una volta in lontananza – e cioè l’ispirazione del governo ad opera di laboratori ideologici, incaricati di tradurre o di fabbricare le idee nello spirito del tempo, la «volontà generale».

Un magistero debole

Occorre tenere sempre presente cosa sia il cattolicesimo liberale, da cui deriva il Vaticano II. Esso, fin dai tempi della Rivoluzione, nella speranza di dare alla Chiesa un posto riconosciuto nella società post-rivoluzionaria, ha voluto adattare in parte il cattolicesimo al mondo moderno, non con l’intenzione di distruggere la Chiesa, bensì affinché, con un volto rinnovato, potesse trovare un ambito accettato all’interno della società moderna e potesse qui continuare la propria missione in tono minore (pretendendo di darle un «supplemento d’anima»). Questa speranza di un riconoscimento è andata sempre delusa, in ogni caso a termine.

Molti cattolici sinceri, a priori non liberali, non hanno provato di fronte alle innovazioni conciliari lo stesso rifiuto provato per le innovazioni dell’attuale pontificato. Tali innovazioni conciliari venivano, in effetti, moderate e inquadrate sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI da ciò che quest’ultimo aveva definito «l’ermeneutica del rinnovamento nella continuità». D’altra parte, l’insegnamento morale, praticamente in continuità col magistero precedente, ch’era proseguito dopo Humanæ vitæ, compensava queste innovazioni ecclesiologiche (libertà religiosa, ecumenismo, principi di dialogo con le religioni).

Al contrario, ciò che oggi sta accadendo, in modo molto più violento, li scandalizza. Ma l’attuale pontificato non è nient’altro che un’apocalisse in senso letterale, vale a dire una rivelazione, nello specifico una rivelazione della grande svolta che avevano operato volens nolens i Padri del Vaticano II. Papa Francesco sta portando al massimo grado questo evento assolutamente unico o, in tutti i casi, ne sta rendendo la natura molto più tangibile.

Quando si legge la storia dei primi giorni del Vaticano II nell’ottobre 1962, si può fare il confronto, certo lontano ma illuminante, col ribaltamento da un antico ad un nuovo regime, descritto da Emmanuel de Waresquiel, nei Sept Jours. 17-23 juin 1789. La France entre en révolution[2] [Sette giorni. 17-23 giugno 1789. La Francia entra nella rivoluzione]: un nuovo organico, ispirato da una nuova ideologia, ha preso le redini. Allo stesso modo, col Vaticano II, nel giro di qualche giorno o di poche settimane, il potere magisteriale è passato di mano ed i testi preparati per la Curia sulla linea di Pio XII sono stati spazzati via.

Questo, in quanto, a differenza delle precedenti manifestazioni del cattolicesimo liberale, durante il Vaticano II, esso si è né più né meno impadronito del potere magisteriale. Nel merito si è trattato di un nuovo avatar, più perfezionato teologicamente, se si vuole, del cattolicesimo liberale, la «nouvelle théologie» [nuova teologia], degli Anni Cinquanta. Beninteso, la nuova teologia, come il liberalismo di Montalembert e di Lamennais così come il modernismo ecc., portava con sé allo stesso tempo, oltre ai propri indebolimenti dottrinali (per il Vaticano II, la libertà religiosa, ad esempio), anche una serie di questioni vere e di riflessioni interessanti (sui rapporti tra Scrittura e tradizione, ad esempio). Nei suoi aspetti nocivi, la nuova teologia è stata condannata dall’enciclica Humani generis di Pio XII nel 1950. Ed ecco che dodici anni più tardi, gli appartenenti alle nuove correnti che la componevano, in particolare in Francia la scuola domenicana del Saulchoir o la scuola gesuita detta de Fourvière, sono giunti ad esserne gli ispiratori in sede di Concilio. Per dirla brutalmente, dopo esser stato condannato per due secoli dal magistero, il cattolicesimo liberale è divenuto «magistero» col Vaticano II. «Magistero» nuovo nel contenuto e nella forma.Nuovo nel contenuto. Per dare quale contenuto? Essenzialmente un contenuto ecclesiologico, poiché la novità del Vaticano II consisteva nell’indebolire la necessità di appartenere alla Chiesa per conseguire la salvezza. L’ecumenismo, con la sua «comunione imperfetta» dei separati, col dialogo interreligioso, col suo «rispetto sincero» verso le altre religioni, la libertà religiosa, che rende antiquato lo Stato cattolico come difensore della Chiesa, poneva come principio il fatto che ogni uomo si presume che avanzi sulla via della salvezza. Il che equivaleva a dire che una qual certa forma d’appartenenza alla Chiesa si presumesse esistere in ogni essere umano.
E nuovo nella forma. È il motivo per cui mettiamo le virgolette a magistero, in quanto questo insieme di innovazioni relativistiche (un relativismo, che si voleva moderato) non può esserlo, parlando in senso stretto. Ciò ha fatto sì che quest’innovazione nel contenuto dell’insegnamento venisse supportata da un’innovazione anche nel contenente, innovazione che consiste in questo: tale insegnamento del Papa o dei vescovi in comunione col Papa, benché venga dato come insegnamento pubblico e non come insegnamento di teologi privati, che esprimono un’opinione, non possiede per questo una forza definitiva (Lumen Gentium, n. 25 § 1). A differenza di ciò che dice Humani generis, che voleva che il magistero del papa restasse costantemente aperto all’infallibilità[3], tale insegnamento è rimasto sempre in sé (rispettosamente) discutibile. Può così essere dispensato da una stretta continuità col magistero precedente. Lo stesso dicasi per le ambiguità ecclesiologiche del Vaticano II e per le ambiguità morali d’Amoris lætitia.

L’innovazione nel contenuto e nel contenente sono dunque intrinsecamente legate, ma la seconda, richiesta dalla prima (per enunciare ciò che non è ortodosso, lo si esprime pastoralmente), è molto più radicale. È per questo ch’essa specifica essere l’ultimo concilio un concilio pastorale, distinguendolo per ciò stesso da tutti i concili del passato o in ogni caso dai concili, che si sono espressi per precisare il Credo.

Da qui l’incertezza intrinseca, che genera una guerra di interpretazioni, come testimonia il celebre discorso di Benedetto XVI alla Curia romana, senza per questo che la «giusta» interpretazione difesa dal papa, quella della «riforma nella continuità», non voglia essa stessa imporsi come magistero, ciò che sarebbe nondimeno il vero modo per liquidare il dibattito. Si potrebbe parlare di magistero debole, alludendo al Pensiero debole della modernità secondo Gianni Vattimo, in questo caso magistero debole in quanto non rivendica per sé l’autorità magisteriale in quanto tale, debole inoltre per il contenuto relativista ch’esso fornisce, per l’appunto debole.

Dalla pastoralità alla sinodalità

Il Vaticano II, un concilio che non insegna, propriamente parlando. È questo il concetto, che non smette di sviluppare nei propri scritti Christoph Theobald del Centro Sèvres, a Parigi. Lo fa da un’altra angolatura, che ha il vantaggio di collegare ancor di più contenente e contenuto del Vaticano II. La teologia di Theobald è una sorta di quintessenza del cattolicesimo liberale nei suoi sviluppi più attuali. Fa parte del gruppo di teologi gesuiti, cui dà retta papa Francesco, e parteciperà ai lavori della prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi. Per lui, la pastoralità del Vaticano II è intimamente legata al fatto che si sia trattato di un concilio, che, anziché insegnare alla vecchia maniera, si è posto alla scuola del mondo, mondo che oggi ha questa particolarità, di essere irrimediabilmente diversificato[4]. L’ambito pastorale non è più, quindi, un messaggio dato con autorità dalla Chiesa agli uomini, bensì un messaggio aggiustato in funzione di ciò che gli uomini d’oggi apprendono dalla Chiesa: l’autorità «magisteriale» ha cambiato campo. È ciò che Christoph Theobald sviluppa in un recente articolo, «L’Église au sein de l’histoire messianique de l’humanité. Pour une vision polyédrique de la Communio Ecclesiarum à l’âge de l’anthropocène»[5]. In esso spiega come la pastoralità introdotta da Giovanni XXIII nel Vaticano II continui sempre a sviluppare le proprie virtualità: essa permette di congiungere meglio gli uomini di un mondo oggi intrinsecamente e profondamente differenziato e di proseguire, per poter loro parlare adeguatamente, ad apprendere da loro (cioè ad apprendere anche dai cristiani, che son parte interessata del mondo moderno) e soprattutto ad apprendere dalla loro diversità.

Si arriva così ad un grado estremo di cattolicesimo liberale, grado in cui massime divengono le concessioni fatte alla modernità. Tuttavia si presume ch’esse siano ancora in grado di dare la possibilità ai cristiani (ai cristiani più che alla Chiesa) di consegnare un messaggio, che diviene a sua volta minimo. La missione dei cristiani, secondo Christoph Theobald, si riassume nel dare al mondo una «visione messianica». Tale «visione messianica», che, dopo il Vaticano II, costituisce la Chiesa in «popolo messianico» all’interno della rete ecumenica del giudaismo, dell’islam, delle altre religioni e componenti spirituali dell’umanità, spinge la Chiesa a far concordare il suo modo di profetizzare, d’esprimere il proprio messaggio, col mondo, con cui intende condividerlo. Questa maniera di profetizzare è inseparabile dal messaggio stesso, nella misura in cui tale profezia rappresenta un’interpretazione delle Scritture. Si tratta, in definitiva, per il cristianesimo di far prendere coscienza al mondo di ciò che è, grazie a questa chiave ermeneutica ch’è il messaggio di pace di Cristo. In estrema sintesi: i cristiani devono sostenere negli uomini la consapevolezza d’esser fatti per la pace.

Profezia diffusa dai cristiani, in quanto uomini tra gli uomini, in comune. Per questo bisogna «dare al modus pastoralis il posto che gli spetta come interpretazione delle Scritture, vissuto da tutti [nostra evidenziazione]», vale a dire «adeguare la forma interna della Chiesa» alla sua presenza nel mondo. I cristiani possono farlo, perché sono come loro, uomini che si esprimono alla pari. E per questo nella Chiesa stessa, per essere credibili, i cristiani devono anche vivere ed esprimersi alla pari. Essi hanno, in effetti, da proporre agli uomini una presenza «ospitale e fraterna, basata sull’uguaglianza tra tutti gli esseri umani». Tale uguaglianza deve dunque essere «il principio fondamentale dell’esistenza ecclesiale». Pertanto è importante che, in seno ad una «Chiesa costitutivamente sinodale», i ministeri ritrovino la propria «identità diaconale» ed il proprio «radicamento carismatico», che hanno perso in quanto indebitamente resi sacri. La sinodalità procede quindi di pari passo con la declericalizzazione.

Al termine della pastoralità conciliare c’è dunque la sinodalità democratica. In effetti, se ci pensiamo bene, l’insegnamento della tipologia pastorale, che noi qualifichiamo come magistero debole, non ha alcun bisogno, in sé, d’esser gerarchico. Cerca anzi di stabilire una sorta di condizione presente di consenso circa l’eredità cristiana.

Ma occorre insistere su questo punto, come abbiamo fatto sopra, questa democratizzazione della costituzione della Chiesa non può essere che virtuale, se non si vuole che esploda l’intero quadro istituzionale, come accaduto tra i protestanti. Ecco perché le novità non devono essere troppo violente, ciò che ha perfettamente capito papa Francesco. Si può esser certi, ad esempio, che le proposizioni radicali del Cammino sinodale della Chiesa tedesca saranno oggetto di negoziazioni moderatrici: che, anziché adottare il sacerdozio femminile, ci si dirigerà verso una via di mezzo come presenza all’altare, predicazione; e così via.

Dei vescovi per un ritorno dogmatico

Il contenuto particolarmente scioccante dell’Instrumentum laboris ha già provocato delle reazioni di rifiuto da parte di vescovi. Ad esempio:del cardinale Müller (Il cardinale Müller accusa il Sinodo di voler distruggere la Chiesa – FSSPX.Actualités / FSSPX.News): «Ciò dà l’impressione che sia davvero possibile che la Chiesa possa cambiare e che lo Spirito Santo non sia che una funzione per gli organizzatori del sinodo. È un modo per minare la fede cattolica e la Chiesa cattolica».
di mons. Strickland, vescovo di Tyler, negli Stati Uniti, in una lettera pastorale del 22 agosto 2023 (Lettera pastorale del Vescovo Strickland, Agosto 2023 – Osservatorio Card. Van Thuân (vanthuanobservatory.com)): «La base più sicura che possiamo trovare è rimanere fermamente sugli insegnamenti perenni della fede. Purtroppo, può darsi che alcuni etichetteranno come scismatici coloro che non sono d’accordo con i cambiamenti proposti. Siate certi, tuttavia, che nessuno che rimane fermamente sul filo a piombo della nostra fede cattolica è uno scismatico. Dobbiamo rimanere sfacciatamente e veramente cattolici, indipendentemente da ciò che può essere portato avanti».
del cardinale Burke: «La sinodalità ed il suo aggettivo corrispondente, sinodale, sono diventati slogan dietro i quali si cela una rivoluzione per cambiare radicalmente l’autocomprensione della Chiesa[6]».
o ancora di mons. Schneider (MiL – Messainlatino.it: Mons. Athanasius Schneider: una nuova «Chiesa sinodale» mina la Chiesa cattolica): «Questo documento di lavoro sembra minare la costituzione divina e il carattere apostolico della vita e della missione della Chiesa cattolica, sostituendovi una «Chiesa sinodale» inventata, ispirata prevalentemente a categorie protestanti, sociali e antropocentriche».

Altri seguiranno. Contro i pericoli, che minacciano il popolo dei fedeli, l’unica cosa che conta è, in effetti, la reazione dei membri della gerarchia. A questo proposito, l’Instrumentum laboris costituisce una provvidenziale opportunità, per provocare una risposta adeguata (si veda il nostro articolo su l’Homme nouveau: https://hommenouveau.fr/document-preparation-synode-sur-la-synodalite/ ).

Adeguata al modo d’agere contra, andando in senso opposto al magistero debole, da cui dipende l’impresa sinodale. Devono obbligare ad un dibattito dogmatico, per sollecitare infine anche un ritorno dogmatico. Intervento indispensabile, per riprendere la nostra distinzione prima utilizzata:Nel merito, isolando con precisione le proposizioni dottrinali biasimevoli riguardanti la dottrina cattolica nel testo dell’Instrumentum ed in altri simili, come si faceva un tempo in presenza di documenti, che si allontanavano dalla fede cattolica, come abbiamo suggerito sopra con le nostre cinque proposizioni.

In particolare la quarta, che considera la possibilità di conferire alle donne un grado del sacramento dell’Ordine, il diaconato, e la quinta, che raccomanda il ricorso al consensus Ecclesiæ di tipo gallicano per l’elaborazione degli atti del Sovrano Pontefice. Esse sembrano particolarmente adatte a vedersi opporre la tradizione della Chiesa ed il magistero precedente. La quarta, avendo oltre tutto il vantaggio, se così si può dire, di contraddire la Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II del 22 maggio 1995, nella misura in cui ciò che vale per una parte del sacramento dell’Ordine, il presbiterato, vale anche per quell’altra parte del sacramento, che è il diaconato. Se questa Lettera del 1995 non rappresentava un atto infallibile del papa, come sembrava indicare curiosamente la risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede del 28 ottobre 1995[7], vi sarebbe l’occasione per chiedere che venga elevata alla condizione di atto in sé definitivo.E a proposito della forma, militando a favore del ritorno ad un magistero all’antica, vale a dire ad un magistero infallibile o fondato sull’infallibilità.

Quand’anche non fossimo seguiti nelle nostre argomentazioni circa lo stato a-magisteriale attuale, nulla impedirebbe d’esigere comunque una soluzione alla presente crisi sinodale attraverso un intervento magisteriale.

Ed anche qualora si ritenesse tale intervento non possibile o non opportuno al momento, resterebbe altamente auspicabile, senza attendere le riunioni sinodali dell’ottobre 2023 e dell’ottobre 2024, che i cardinali ed i vescovi, che non accettano la sinodalità così come viene presentata per la riflessione nell’Instrumentum laboris, intervenissero per esprimere la loro non-accettazione di tale sinodalità. Sarebbe peraltro un appuntamento per l’avvenire ossia in vista del prossimo conclave ed in vista della posta in gioco.

Don Claude Barthe


[2] Tallandier, 2020.

[3] «Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l’intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi».

[4] «La «pastoralité» de l’enseignement du concile Vatican II. Bilan d’une réception controversée» [«La “pastoralità” dell’insegnamento del concilio Vaticano II. Bilancio di un’accoglienza controversa»], in Angelo Maffeis (dir.), Una Chiesa « Esperta in Umanità ». Paolo VI interprete del Vaticano II. Colloquio internazionale di Studio, Brescia, Edizioni Studium, Roma, 2019, pp. 73-85; e «Le Concile et la forme «pastorale» de la doctrine» [«Il Concilio e la forma “pastorale” della dottrina»], in Bernard Sesbouë (dir.), Histoire des dogmes, t. IV, DDB, 1996, pp. 471-510.

[5] [«La Chiesa nella storia messianica dell’umanità. Per una visione poliedrica dalla Communio Ecclesiarum all’età dell’antropocene»], Recherches de Science Religieuse, luglio-settembre 2023, pp. 405-419.

[6] Prefazione a Julio Loredo, José Antonio Ureta, Processo sinodale: un vaso di Pandora (Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, 2023).

[7] Essa precisava trattarsi «di un atto di magistero pontificio ordinario, in sé non infallibile, [che] attesta il carattere infallibile dell’insegnamento di una dottrina già in possesso della Chiesa».