Una pagina di storia della Chiesa in Piemonte.
Luigi
Cristina Siccardi , Schola Palatina, 10 Gennaio 2023
San Giovanni Damasceno, in Esposizione della fede ortodossa (2,29), così definisce l’intervento della Divina Provvidenza: «Consiste nella cura esercitata da Dio nei confronti di ciò che esiste. Essa rappresenta, inoltre, quella volontà divina grazie alla quale ogni cosa è retta da un giusto ordinamento».
Ci sono dei momenti in cui la Divina Provvidenza esercita nella storia dell’umanità una più evidente presenza e forza: è esattamente quanto accadde nella Torino sabauda dell’Ottocento.
Nel secolo in cui in Europa prendevano il potere governi liberali e massonici, in cui la Rivoluzione Francese aveva portato nella cultura la scristianizzazione, in cui la Chiesa veniva ferocemente perseguitata, in cui Casa Savoia si apprestava a perdere i suoi millenari e solidi caratteri cattolici con Vittorio Emanuele II (1820-1878), la Provvidenza stabilì che proprio in Piemonte dovesse esserci una formidabile fioritura di santità. Una santità, favorita dalla collaborazione dalle stesse autorità civili: il Regno sociale di Gesù Cristo Nostro Signore era davvero visibile a tutti nella terra subalpina di quel tempo.
Re Carlo Alberto e la riforma del clero
Re Carlo Alberto (1798–1849), in comune accordo con Papa Gregorio XVI (1765-1846), dispose nei suoi dominii la riforma del clero.
Era salito al trono del Regno di Sardegna il 27 aprile 1831 e, animato da una fervente fede cattolica, in accordo con la Santa Sede, si propose di migliorare la situazione ecclesiale del territorio e accrescere lo zelo religioso. Nell’annunciare al Papa la sua assunzione al trono scrisse: «Proponiamo di far, coll’aiuto dell’Altissimo, quanto per noi si può, affinché rispettata e fiorente nelle nostre contrade si rimiri la santa Chiesa». I primi anni albertini espressero, quindi, un originale e attivo riformismo religioso, pressoché unico nel panorama europeo del tempo.
Il Sovrano stese un memoriale per il Sommo Pontefice, nel quale indicava la necessità di una riforma del clero, affinché esso potesse divenire dotto, virtuoso, esemplare. Condizionò tutto all’assenso del Papa, chiedendogli di nominare una commissione di Vescovi per mettere in pratica un concreto indirizzo di riforma, speculare a tutte le Diocesi. In questo memoriale Carlo Alberto fece presenti tutti i problemi e lo stato deplorevole in cui versavano molti seminari sia per gli studi, sia per le idee politiche in essi penetrate, sia per la scadente moralità.
In primo luogo il Re auspicò un regime uniforme proprio nei seminari, sull’esempio di quelli sorti grazie a san Carlo Borromeo (1538-1584) durante la Controriforma, ma anche di quelli contemporanei francesi; inoltre, sollecitò un maggior coinvolgimento ed impegno dei Vescovi.
Uno dei punti che Carlo Alberto approfondì particolarmente fu quello riguardante i religiosi, che dovevano essere altamente virtuosi per il bene della religione e per l’educazione pubblica. Indicò nei Gesuiti e nei Cappuccini le due realtà più accreditate e di valore. Altro desiderio fu quello di fondare collegi di Gesuiti in tutte le Diocesi del Regno, nonché di potersi giovare dei Fratelli delle Scuole Cristiane e delle Suore vincenziane della Carità per l’istruzione del popolo.
Se, dunque, nell’Ottocento piemontese emersero tante figure di santi fu per una particolare e felice concomitanza provvidenziale di fatti e persone. L’accordo sulla riforma del clero stabilito fra Carlo Alberto e Gregorio XVI non tardò a dare i suoi frutti, così come l’azione di Pio Brunone Lanteri (1759-1830) e del teologo Luigi Guala (1775-1848) prepararono la strada all’opera di formazione di santi sacerdoti realizzata da don Giuseppe Cafasso (1811-1860).
Il rimedio a liberalismo e indifferentismo religioso
Un anno dopo l’intronizzazione di Carlo Alberto, il 15 agosto 1832, venne emanata l’enciclica Mirari Vos, con la quale Gregorio XVI condannò tutti i principii del liberalismo religioso e politico, i cattolici liberali e l’indifferentismo religioso.
Anche se non venne nominato espressamente, fu soprattutto respinto il tentativo di Hugues-Félicité Robert de Lamennais (1782-1854) e del suo giornale l’Avenir di introdurre nell’alveo della Chiesa le tesi liberali.
Il Cardinale Bartolomeo Pacca (1756-1844), Pro-Segretario di Stato dal 1808 al 1814, inviò a Lamennais, Henri-Dominique Lacordaire (1802-1861) e Charles de Montalembert (1810-1870) una lettera in cui si dichiarava che il Papa intendeva colpire con l’enciclica la linea di pensiero dell’Avenir.
In Piemonte venne dunque ad aprirsi un’esaltante stagione di riforme volute dal Re, studiate dai Vescovi e benedette dal Sommo Pontefice. Fu così che venne a crearsi un humus propizio alla creazione di ambienti formativi di alto valore spirituale, morale e intellettuale.
Non va allo stesso modo dimenticato che i santi dell’Ottocento subalpino – impropriamente definiti «santi sociali» (si trascura il fatto che tutti i santi che hanno espresso la loro vocazione caritativa, dettata dall’amore per Dio che si è riflesso consequenzialmente sull’amore per il prossimo, hanno abbracciato, per forza di cose, la causa sociale) – hanno potuto agire con un’incidenza massiccia sul territorio, aprendo strutture sanitarie, educative, riabilitative, offrendo anche efficaci riforme carcerarie, grazie alle patenti regie che Carlo Alberto firmava continuamente, azione che avrà una battuta d’arresto sotto il regno di Vittorio Emanuele, contro il quale tanto avrà da ridire san Giovanni Bosco e al quale profetizzerà i castighi che cadranno sul casato dei Savoia.
FONTE: Radici Cristiane n. 87
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