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Luigi
Tommaso Scandroglio, La Nuova Bussola Quotidiana, 16-8-23
Con un autorevole editoriale, il quotidiano dei vescovi italiani boccia la proposta di legge popolare che vuole limitare la portata letale della Legge 194. E ripropone la vecchia strategia rivelatasi fallimentare.
- Ancora più convinto di firmare per la legge, di Benedetto Rocchi
Spiace tornare a parlare di Avvenire a così breve distanza. Questa volta il quotidiano della Cei si scaglia contro una proposta di legge tesa a limitare la portata letale della 194. Si chiama Un cuore che batte e mira a modificare la 194 nel modo seguente: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria della gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso». Di questa proposta avevamo già parlato in due occasioni (clicca qui e qui).
Giuseppe Anzani, dalle colonne del quotidiano dei vescovi italiani, cassa la proposta per più motivi. In primis sottolinea che «non si trova purtroppo negli archivi che una proposta, dico una, di iniziativa popolare abbia ottenuto il placet delle due Aule e sia finita in Gazzetta Ufficiale». In secondo luogo, tale proposta verrebbe sicuramente bocciata dalla Corte costituzionale come è accaduto, ricorda Anzani, nel 1997. L’obiezione è facilmente superabile rammentando che i proponenti dell’iniziativa sono ben consapevoli che tale proposta non potrebbe mai realisticamente veder la luce. Il loro intento è invece di carattere culturale: smuovere le acque, non dare per scontato che la 194 possa rimanere in eterno, rinvigorire gli slanci pro-life, giocare d’attacco contro la 194 e non in sua difesa, come pare faccia Anzani, che, seppur non condividendone la ratio, indica nella 194 gli strumenti per smontare la stessa 194. È un vecchio cavallo di battaglia, più somigliante ad un ronzino, di certi cattolici: applicare le presunte parti buone della 194 per svuotare dall’interno la legge. Un vizietto caro anche ad Avvenire, come abbiamo documentato nel passato.
Anzani mette l’accento sull’art. 5: «È proprio nel colloquio pre-abortivo che la legge esige di “promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. L’offerta potrà essere rifiutata, è vero. Ma deve esserci». Innanzitutto questo onere ricade solo sul consultorio e sull’ospedale, non sul medico a cui la donna potrebbe rivolgersi per abortire. In secondo luogo questo obbligo è talmente generico che può essere facilmente soddisfatto a termine di legge in molti modi.
Ma, come appuntavamo in un articolo del 2018, «detto tutto ciò, due sono i punti che annullano la cogenza di questi obblighi. Il primo: è impossibile sanzionare chi non ottempera a tali doveri, perché è impossibile venire a conoscenza della loro infrazione. Infatti alla donna che ha avuto il suo aborto non verrà mai in mente di trascinare in giudizio il medico perché non l’ha informata a dovere sulle alternative all’aborto.
Medico abortista e donna che vuole l’aborto stanno dalla stessa parte. Ciò è comprovato da un dato inoppugnabile: a fronte di 6 milioni di procedimenti abortivi, ad oggi si sono celebrati in Italia, a motivo della non ottemperanza degli obblighi di cui sopra, zero processi. Zero. Secondo: la donna chi incontrerà nel colloquio pre aborto? Solo personale abortista, perché l’obiettore di coscienza è estromesso da tutto l’iter abortivo, compreso il colloquio con la donna. E volete che un medico pro-choice faccia “tutto il possibile” […] per persuadere la donna a non abortire?».
La prova provata che la strategia indicata da Anzani è fallimentare è data da un fatto inoppugnabile: è da decenni che si indica questa strada e nulla è cambiato. Di contro è ugualmente fatto inoppugnabile quello che far vedere il bambino e far ascoltare il suo battito alla mamma fanno crollare gli aborti. Nel 2011 il Texas licenziò una legge che obbligava la donna a queste due procedure (nel 2022 una nuova legge vieterà l’aborto dopo che è possibile ascoltare il battito fetale): nel 2005 gli aborti furono 85mila, nel 2008 84mila, nel 2011 (anno del varo della legge) 73mila, nel 2014 55mila e poi si stabilizzarono (qui i dati ufficiali). Contra facta…
Poi Anzani appunta: «Anche in questa iniziativa trovo negletti principi costituzionali: ogni medico sa che nessun atto diagnostico o terapeutico può essere praticato senza il consenso del soggetto, e mai contro il suo volere». Ci permettiamo di sospettare che il dott. Anzani non abbia letto con attenzione la proposta di legge. Quest’ultima impone un dovere al medico, non alla gestante. Dunque la donna a fronte della richiesta del medico di visionare l’ecografia e sentire il battito cardiaco – richiesta che per il medico è doverosa da fare – potrebbe legittimamente rifiutare di vedere e ascoltare. Nessuna imposizione per la donna, dunque. Ed è per questo motivo che in un nostro articolo avevamo suggerito di prevedere nella proposta lo speculare obbligo di vedere e ascoltare in capo alla donna, obbligo che, di suo, non è incostituzionale: qualsiasi paziente se vuole sottoporsi a certi interventi deve sottostare ad un relativo iter clinico fatto di analisi, accertamenti diagnostici, protocolli di natura terapeutica, etc. Il paziente può rifiutarsi di percorrere tale iter, ma la conseguenza sarebbe rinunciare agli interventi conseguenti.
Così avviene anche per l’aborto: tu donna vuoi l’aborto? Ex lege 194 devi sostenere un colloquio e ti devi sottoporre ad un’ecografia per datare la gravidanza, almeno nel primo trimestre. Seguendo la logica di Anzani anche queste condizioni potrebbero essere vissute come costrizioni dalla donna. E qui, infatti, emerge tutto il paradosso dell’articolo del Nostro, il quale afferma che sarebbe incostituzionale la richiesta di far vedere il piccolo e far ascoltare il suo battito cardiaco perché limiterebbe la libertà della persona.
E che dire del colloquio, anch’esso doveroso e così tanto invocato dall’Autore, a cui dovrebbe sottoporsi la donna? Egli parla di «tormento emotivo» nel prendere visione dell’eco e nell’ascoltare il battito cardiaco del feto, ma lo stesso non potrebbe avvenire durante quel colloquio, che Anzani spera sia di natura dissuasiva? Dissuadere allora è far violenza quando si usa un’ecografia e perde il suo carattere violento quando si usa lo strumento della parola. Perché la dissuasione tramite la parola va bene e quella tramite la visione e l’ascolto del feto non va bene? E ancora: far vedere il feto per l’articolista di Avvenire rappresenterebbe un «ricarico del dolore» in capo alla madre. Ma non accade già, seppur in grado minore, quando la donna si deve sottoporre all’eco per datare la gestazione?
Anzani poi aggiunge: «Le spine della maternità difficile non stanno nel figlio, ma nelle difficoltà vissute come soverchianti il dolore di perderlo. Aiuto alla vita è intervenire sulle difficoltà, soccorrere, risolvere. Chi pensa di lasciare intatto il carico di spine e di confidare nel ricarico del dolore non aiuta la vita». Innanzitutto una cosa non esclude l’altra: far vedere il feto e far ascoltare il battito cardiaco non preclude di «intervenire sulle difficoltà, soccorrere, risolvere». Inoltre chi sostiene questa proposta di legge vuole togliere le spine del dolore di aver ucciso un figlio dal cuore della madre. Il dolore si “ricarica” se si sceglie l’aborto, non se si salva una vita, se si decide di tenere il bambino anche a seguito di una visione imposta (al medico) che si benedirà successivamente perché ha impedito di perdere un proprio figlio.