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lunedì 31 luglio 2023

L’arte di vestire: cosa ci possono insegnare le suore

Vi – in nostra traduzione – questo interessante articolo di Anna Kalinowska, scrittrice ed artista cattolica, pubblicato sul sito OnePeterFive il 28 luglio.
In esso l’autrice traccia con efficacia le linee della semplice leganza «cattolica» nell’abito femminile e ne sottolinea l’importanza, perché «vestirsi in modo semplice significa vestirsi onestamente, cioè esprimere la verità nel proprio aspetto visibile».
E «affinché una donna possa dire la verità attraverso il suo abbigliamento, deve vestirsi con femminilità, ordine e grazia», quindi l’autrice propone una delicata riflessione sull’abito delle suore, che oggi, «invece di confondersi nella folla, […] si distinguono come perle che la marea si è lasciata alle spalle. Non esitano ad abbracciare quegli abiti […] che cantano veramente la parola della bellezza; li abbracciano come il modo più sicuro per esprimere il loro status di spose di Cristo stesso».

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L.V.


In una soleggiata giornata d’aprile, al primo anno di università, desideravo indossare un abito bianco di cotone per andare a lezione. Ho cercato di trovare il coraggio, ma alla fine non ci sono riuscita. Cosa mi ha fermato?

Semplicemente un esercito di ragazze senza parole con cappellini da baseball e t-shirt, leggings, calzini bianchi alti e Sperry [scarpe da barca: N.d.T]. Mi sembravano ridicole, come se avessero fatto il bagno nei cassonetti delle donazioni, ma non riuscivo comunque a sopportare di avere un aspetto nettamente diverso. La stessa bellezza del mio vestito mi avrebbe distinto troppo. È sicuramente un grande sfregio alla natura umana e un risultato della caduta che ci dà agio con la bruttezza finché è diffusa e disagio con la bellezza finché è rara; perché non dovrebbe essere vero il contrario?

La maggior parte delle donne desidera vestirsi in modo più bello, ma la maggior parte di esse si oppone alla prospettiva di distinguersi dalla massa. La trama si infittisce per le donne cattoliche devote. Hanno letto di santi che raccomandavano la massima semplicità nel vestire, e si chiedono se la semplicità ai giorni nostri significhi conformarsi all’imperativo «athleisure» [ibrido di abbigliamento sportivo indossato come abbigliamento quotidiano: N.d.T]

Ma cos’è la semplicità? E l’abbigliamento postmoderno è davvero semplice? La semplicità, descritta dal Webster [il più utilizzato dizionario americano: N.d.T.], è «non complicata», «priva di astuzia» e «diretta nell’espressione».² Ciò corrisponde alla discussione di San Tommaso d’Aquino sulla semplicità divina di Dio e mette in evidenza il rapporto della semplicità con l’onestà e la verità.³ Vestirsi in modo semplice significa vestirsi onestamente, cioè esprimere la verità nel proprio aspetto visibile.

Le magliette aderenti, i pantaloni da yoga e i jeans richiamano così tanto l’attenzione su aree specifiche del corpo di una donna da sminuire la sua personalità (espressa nel suo viso) e negare la presenza della sua anima immortale. D’altra parte, le versioni larghe e larghe dei suddetti capi parlano così fortemente di sciatteria, utilità e comodità animale che contraddicono la bellezza ordinata del corpo umano e il destino eterno dell’anima. In breve, che si tratti di abiti aderenti o larghi, erotici o comodi, la maggior parte dei modi di vestire attuali nega la verità su chi e cosa siano realmente gli esseri umani e quindi manca di semplicità.

Affinché una donna possa dire la verità attraverso il suo abbigliamento, deve vestirsi con femminilità, ordine e grazia. In questo modo, scopre la vera semplicità e segue le fila delle sante che l’hanno preceduta. Tuttavia, mentre la maggior parte delle sante godeva di climi culturali con costumi sicuri che promuovevano la bellezza adatta a ogni classe e stato di vita, le donne moderne si trovano in un’anarchia sociale che promuove sempre e solo la bruttezza. Le donne devono ora riscoprire, riassemblare e creare di nuovo ciò che nelle generazioni precedenti veniva tramandato di madre in figlia come un fatto scontato.

Poiché attualmente sono poche le donne disposte a impegnarsi in questo compito, quelle che lo faranno si distingueranno inevitabilmente. Non è che il loro abbigliamento sarà innaturale o stravagante, anzi, sarà molto più naturale e più decisamente umano di tutto ciò che si vede oggi nel mainstream. Ciononostante, farà girare la testa per la sua sorprendente rarità. Prima della caduta della Cristianità, nessuno si sarebbe innamorato di una gonna a cerchio di lana o si sarebbe fermato ad esclamare per un cappello di paglia. Ora chi indossa questi articoli si trova ad essere avvicinato da estranei ammirati. Ed è questo che fa riflettere le donne di buona volontà. Non vogliono attirare l’attenzione, essere delle celebrità al parco o al supermercato. Devono abbandonare la bellezza della vera semplicità in nome dell’autoefficacia?

Un po’ a sorpresa, la risposta può essere trovata in una breve considerazione sulle suore e sulle religiose. Nelle case religiose più recenti, dove prevale l’amore per la Tradizione, si trovano esempi per eccellenza di giovani donne che cercano la santità attraverso l’auto-effettuazione; sono tutt’altro che vanitose. Eppure, in questi stessi ordini, si assiste a un fenomeno sorprendente: una cura meticolosa e un tempo considerevole sono dedicati alla progettazione, alla produzione e alla manutenzione di un particolare oggetto materiale: l’abito, quel segno inconfondibile delle religiose che tende a fermare il traffico e ad attirare l’attenzione ovunque vada. Queste suore di solito scelgono di procurarsi da sole i materiali (conosco un ordine che utilizza un misto lana di alta qualità, tipicamente usato per le uniformi della polizia!). Poi cuciono i loro abiti a mano o con semplici macchine da cucire. Questi conventi hanno sempre lunghe liste di articoli che devono essere fatti o riparati, e prima di un’investitura, quando le nuove novizie ricevono l’abito, le sale da cucire sono in fermento.

Ci si potrebbe chiedere se non sarebbe più semplice ed economico per le suore acquistare delle uniformi secolari già pronte. O meglio ancora, perché non dovrebbero mescolarsi alla società e indossare pantaloni da yoga e magliette come tutti gli altri? Non sarebbe forse il massimo dell’abnegazione? Basta guardare ai disastri che hanno colpito le case religiose dopo il Concilio Vaticano II per capire che questi esperimenti sbagliati sono già stati tentati e, senza eccezioni, sono falliti miseramente.

Sono falliti per tre motivi. In primo luogo, optare per la convenienza e il «basso costo» non significa in realtà abbracciare la povertà, ma piuttosto la parsimonia. In secondo luogo, il mercato di massa raramente produce qualcosa con la qualità bella e senza tempo che ogni abito religioso dovrebbe possedere. Infine, le suore che hanno rinunciato al lavoro di cucito sull’abito hanno perso un aspetto profondamente nutriente della loro vita, qualcosa che le aveva aiutate ad abbracciare il loro voto di povertà, ossia l’opportunità di incanalare quella propensione ultra-femminile a rendere belle le cose semplici. Come dice madre Mary Francis nel suo classico A right to be merry [Un motivo per essere allegri: N.d.T.]:

Non dipingiamo di nero le cose che potremmo dipingere di bianco. Piantiamo tamerici fiorite intorno al nostro inceneritore fatto in casa, perché non c’è motivo per cui svuotare la spazzatura non debba essere fatto con bellezza e grazia. Cuciamo i nostri soggoli notturni in sacco di farina con una precisione e una cura che altri potrebbero riservare alla seta e al raso. Se la povertà ci fosse stata imposta, forse qualsiasi cosa sarebbe stata sufficiente. Ma noi l’abbiamo scelta, l’abbiamo sposata. E intendiamo rivestirla di bellezza.⁴

Nel Medioevo, l’abito delle monache assomigliava a quello delle vedove povere o delle donne sposate di ceto inferiore e rappresentava quindi una possibilità di vivere in modo ancora più nascosto. Ma oggi, proprio l’antichità del loro abbigliamento le fa risaltare brillantemente in contrasto con i modi della post-modernità. Notando questo fenomeno nella sua opera storica, The Culture of Clothing [La cultura dell'abbigliamento: N.d.T.], Daniel Roche scrive:

L’abbigliamento ecclesiastico sia maschile che femminile costituisce un museo di pratiche antiche; l'’bito delle Figlie della Carità, una congregazione del XVII secolo, era ancora, nel XX secolo, l’abito femminile dell’epoca del giovane re Luigi XIV; le vesti dei monaci ci portano ancora più indietro nel tempo.⁵

Così, invece di confondersi nella folla, le religiose e le suore di oggi si distinguono come perle che la marea si è lasciata alle spalle. Non esitano ad abbracciare quegli abiti – la tunica lunga fino al pavimento, il lungo velo, il soggolo universalmente lusinghiero e il manto regale del coro – che cantano veramente la parola della bellezza; li abbracciano come il modo più sicuro per esprimere il loro status di spose di Cristo stesso.

Stanno cercando di ottenere ammirazione e lode? Non è questo il caso. Ma l’umile gradino della società in cui si sono inserite un tempo si è allontanato dalla semplice bellezza del Medioevo fino a raggiungere il caos e la bruttezza. Anche se, nella loro umiltà, le religiose potrebbero desiderare di non attirare tanta ammirazione, riconoscono che non possono scendere con la società in una falsa semplicità. Comprendono che, per uno di quegli strani paradossi della Divina Provvidenza, l’attuale triste stato del vestire porta a far risaltare le persone più umili, modeste e semplici come gemme scintillanti; e lo abbracciano come abbracciano tutte le parti della misteriosa Volontà di Dio che getta i potenti dai troni e innalza gli umili (Lc 1, 52).

Come le religiose, le donne cattoliche nel mondo devono dare priorità alla verità e alla bellezza rispetto alla normalità. Se da un lato la loro posizione nel mondo richiede che si vestano in modo da non apparire totalmente separate dal mondo (solo le religiose hanno questa grande libertà), dall’altro possono legittimamente adornarsi in modi non consentiti alle donne riservate solo a Cristo. Per esempio, possono avere una maggiore varietà di abiti, esprimere gioia attraverso colori e rifiniture festose, e valorizzare le belle linee del loro corpo con una sartoria modesta ma lusinghiera. Vestendosi bene, riceveranno attenzioni (di ammirazione o di disprezzo), ma questo non deve turbarle, se solo, come le loro sorelle in religione, lo accettano come una misteriosa caratteristica della Provvidenza divina che agisce nell’epoca attuale.

¹ Esempi notevoli di santi in materia di abbigliamento sono: San Paolo (1 Timoteo 2, 9), San Tommaso d’Aquino (Summa Theologica, IIa-IIae, q. 169, a. 1. Modestia negli abiti esteriori) e San Francesco di Sales (Introduzione alla vita devota, capitolo 25).
² «Simplicity», Merriam-Webster, 9 settembre 2022, merriam-webster.com/dictionary/simplicity.
³ Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, trad. Padre Laurence Shapcote, OP (Green Bay: Aquinas Institute, Inc. 2012 - 2018), Ia, q. 3, a. 1.
⁴ Madre Mary Francis P.C.C., A Right to Be Merry. (Providence, Rhode Island: Cluny Media, 2021) 44.
⁵ Daniel Roche, The Culture of Clothing, trad. Jean Birrell (Cambridge: Cambridge University Press, 1996) 74.
⁶ Alice von Hildebrand, "La maternità spirituale", Plough. 8 maggio 2022. Pubblicato originariamente il 5 maggio 2015. plough.com/en/topics/life/parenting/spiritual-motherhood

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