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giovedì 8 giugno 2023

Roma Pride, l’utero in affitto è solo la punta dell’iceberg

E se gli organizzatori del Gay Pride fossero contro l'utero in affitto, la Regione Lazio darebbe il patrocinio ad una manifestazione POLITICA che negli anni scorsi si è distinta per atti blasfemi e nudità?
QUI e QUI dei brevissimi, ottimi, video di Mazza e Senaldi.
Luigi

07-06-2023, La Nuova Bussola Quotidiana, Ermes Dovico

La Regione Lazio revoca, a seguito dell’attivismo di Pro Vita, il patrocinio concesso al gay pride di Roma. Il nodo: l’utero in affitto. Ma i temi controversi del pride sono tanti altri. E se li si accettano, la maternità surrogata legale sarà la prossima tappa.
Cominciamo dalla buona notizia: la Regione Lazio ha revocato il patrocinio inizialmente concesso al Roma Pride, in programma sabato 10 giugno. La decisione è arrivata a stretto giro dalla denuncia fatta due giorni fa da Pro Vita & Famiglia che si chiedeva giustamente se il centrodestra non fosse «in preda ad una schizofrenia», a motivo del fatto che da un lato, a livello nazionale, manda avanti un disegno di legge che si propone di dichiarare l’utero in affitto reato universale e dall’altro, nella regione della capitale, patrocina un’iniziativa che - tra le varie amenità - chiede esplicitamente quella stessa barbarie, presentata sotto il nome più accattivante di gestazione per altri.
Per l’appunto, la buona notizia è che lunedì stesso la giunta guidata da Francesco Rocca ha comunicato che non patrocina più il gay pride romano: «La decisione si è resa necessaria e inevitabile - afferma la nota ufficiale della Regione Lazio - a seguito delle affermazioni, dei toni e dei propositi contenuti nel manifesto dell’evento intitolato “Queeresistenza”, consultabile pubblicamente sul sito della kermesse». Quel manifesto, pubblicato già il 28 maggio, «rivendica l’imposizione della legalizzazione di azioni illegali e vietate dall’ordinamento italiano», «con specifico riferimento - aggiunge il comunicato - alla pratica del cosiddetto utero in affitto». La nota esprime quindi «rammarico per il fatto che il patrocinio, concesso in buona fede da Regione Lazio, sia stato strumentalizzato». Dal comunicato si capisce dunque che il patrocinio non è un’eredità della giunta Zingaretti ma è stato concesso sulla “fiducia” dall’attuale giunta di centrodestra, in carica da marzo.
Altrettanto problematiche sono le righe conclusive della stessa nota,  secondo cui «quanto avvenuto rappresenta un’occasione persa per costruire un dialogo maturo e scevro da ogni ideologia - fortemente voluto e sentito da questa Amministrazione - per promuovere una reale inclusione e combattere ogni forma di stigma e discriminazione. La Giunta del Lazio ribadisce il proprio impegno sui diritti civili, come dimostra, del resto, l’operato pluriennale del Presidente Francesco Rocca su temi fondamentali che però nulla hanno a che vedere con la maternità surrogata».

Insomma, l’unica presa di distanza riguarda l’utero in affitto, concetto ribadito dallo stesso Rocca in un’altra dichiarazione, in cui il governatore del Lazio si è detto pronto a ridare il patrocinio qualora il portavoce del Roma Pride e presidente del controverso Circolo Mario Mieli, Mario Colamarino, dovesse scusarsi «per la strumentalizzazione e la manipolazione». Cosa che Colamarino non è proprio intenzionato a fare, visto che, sempre ieri, ha definito «pretestuose» le motivazioni di Rocca: «La Regione Lazio - afferma il comunicato del Roma Pride - conosceva le rivendicazioni e i contenuti politici della manifestazione». Ulteriore chicca di questo teatrino è l’affermazione dell’ex presidente della Croce Rossa Italiana, secondo cui Pro Vita e Colamarino «sono due facce di una stessa medaglia: l’ideologizzazione della libertà». Curioso che un governatore eletto con il centrodestra metta sullo stesso piano il portavoce di una manifestazione che vota da tutt’altra parte e un’associazione che invece rientra nella sua base elettorale.

Ma al di là di questa stranezza politica, la nota con cui la Regione ha revocato il patrocinio merita qualche considerazione aggiuntiva. È chiaro che è giusto dissociarsi dall’utero in affitto, ma evidentemente non è solo questo il problema del gay pride. La manifestazione romana, come tante altre in Italia, chiede infatti non solo la legalizzazione dell’utero in affitto e la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero, ma anche il matrimonio egualitario, le adozioni per coppie dello stesso sesso, la carriera alias nel lavoro e nella scuola, i corsi sul gender (presentati come «educazione affettiva, sessuale e alle differenze»), una legge sui crimini d’odio fondati sulla presunta omobilesbotransfobia, la difesa del sex work, forestierismo più accattivante per indicare la prostituzione. Eccetera.

Esplicitare solo il no all’utero in affitto nel complesso dei «comportamenti illegali» cui accenna il comunicato, significa che la finestra di Overton si è già allargata a dismisura. Innanzitutto, perché è palese che i gay pride servono ad espandere i cosiddetti diritti Lgbt e quindi a legalizzare ciò che oggi è illegale: perché dunque, a monte, era stato concesso il patrocinio? Nota a margine: è più che plausibile ritenere che senza l’attivismo di Pro Vita il patrocinio sarebbe rimasto.

Poi, se dopo aver digerito le unioni civili, si digeriscono anche le adozioni per coppie arcobaleno, la carriera alias, la propaganda sull’omofobia, eccetera, si potrà - magari per qualche tempo ancora - continuare a negare o revocare un patrocinio a dei gay pride che chiedono anche l’utero in affitto, ma la resistenza non durerà a lungo, perché culturalmente e antropologicamente monca: accettate le premesse che due maschi o due femmine possono sposarsi, che avere figli è un diritto, che posso nascere maschio ma “diventare” femmina e viceversa, che l’essere umano è un mezzo e gli embrioni sono sacrificabili, che la vendita del proprio corpo è un lavoro come gli altri, allora la logica residua per opporsi all’utero in affitto diventa estremamente traballante ed è destinata a soccombere.

Anche l’idea, espressa dalla nota della Regione, di «combattere ogni forma di stigma e discriminazione» si basa sull’ipotesi di un’“emergenza omofobia”, che non esiste, e che nei fatti è un modo per dire che debbano essere colpiti tutti coloro che difendono la legge morale naturale, dunque gli stessi contenuti del Catechismo. Il che si accorda con gli atti di cristianofobia che si vedono nei gay pride.

Si è già insomma fatto proprio, e ciò sta succedendo anche a livello di governo nazionale (vedi la solerzia nel celebrare la “Giornata contro l’omofobia” e non solo), il linguaggio dell’agenda Lgbt. Di questo passo, senza una vera presa di coscienza, anche l’utero in affitto diventerà normalità.

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