Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 936 bis pubblicata da Paix Liturgique il 16 maggio 2023, in cui – con incisiva sintesi – si riflette sul significato della parola «restaurazione» per un fedele cattolico, una parola sempre più spesso usata (anche da papa Francesco) con una sfumatura negativa.
Ma osservando i risultati «dell’implacabile sequenza di rotture imposte con la Tradizione» negli ultimi sessant’anni, ritorniamo a definirci con convinzione chi siamo: «“restauratori” della missione data da Cristo alla sua Chiesa, lavorando, con la preghiera e con tutti i mezzi, anche legali, per moltiplicare le famiglie cattoliche il cui statuto è quello della fedeltà alla Chiesa».
L.V.
Ci sono termini che, contrariamente allo spirito di chi li usa, si rivelano particolarmente lusinghieri nella loro attribuzione. Così è stato per il termine «straordinario» applicato alla liturgia tradizionale nel motu proprio «Summorum Pontificum» del defunto Papa Benedetto XVI. Era l’eccezionalità che si intendeva in questo modo, non la tolleranza per eccezione.
Nei giorni scorsi, il papa argentino ha criticato il «restaurazionismo» preconciliare che cerca di soffocare il respiro del Concilio Vaticano II. Il movimento che contesta lo smacco ecclesiale e che si aspetta che l’aggiornamento sia più distruttivo che costruttivo è stato giustamente chiamato pubblicamente. Ben venga, perché non c’è bisogno di usare un termine con una forte connotazione peggiorativa.
Dunque, il Concilio di Trento, nel XVI secolo, è stato un Concilio della Controriforma o il punto di partenza della Riforma cattolica (talvolta chiamata Riformazione), riprendendo in mano per amplificare e dispiegare i tesori ecclesiali troppo sacralizzati e non sufficientemente irrigati dai fedeli? Si trattava ovviamente di proteggere la Cristianità dal flagello luterano, fermento di eresia quanto di guerra civile differita, come la Guerra dei Trent’anni avrebbe tragicamente dimostrato nel cuore del Sacro Romano Impero. Ma si trattava ancor più di un riarmo spirituale e religioso, in vista della salvezza delle anime.
Il buon San Giovanni XXIII voleva introdurre aria fresca nella Chiesa. Sotto il suo sguardo vigile, la Curia si mise al lavoro per preparare i piani conciliari in questo spirito. L’arresto della lobby «montiniana» cambiò il corso delle cose e distolse l’Istituzione da qualsiasi lotta, poiché non conosceva più né il suo nemico né il suo avversario, fatta eccezione, naturalmente, per i fedeli che denunciarono l’arresto.
Riassumere in questo modo sessant’anni di perversione istituzionalizzata può scioccare chi non ha assistito, né è stato vittima in tempo reale, dell’implacabile sequenza di rotture imposte con la Tradizione. Il futuro avrebbe dovuto cantare la gloria della pace perpetua, non appena l’orgogliosa verità, sostenuta da alcuni e non da altri, avrebbe ceduto il passo alla sua subdola e divisiva idolatria. In pratica, le parrocchie si svuotarono, le «spretazioni» di massa stabilirono il nuovo e appetitoso lustro di un mondo che era stato combattuto, e i Vescovi abbandonarono ogni virtù di forza in cambio di falsi allori. La Chiesa rinunciò a indicare la via del cielo, sganciandosi dalla politica, che senza le sue luci era diventata la triste regina della notte perpetua.
Perciò, facciamoci percepire e designare come ci nomina il papa delle macerie. Siamo «restauratori» della missione data da Cristo alla sua Chiesa, lavorando, con la preghiera e con tutti i mezzi, anche legali, per moltiplicare le famiglie cattoliche il cui statuto è quello della fedeltà alla Chiesa, veramente militante, la Chiesa di sempre e non quella del potere occupante, virale, tossico del nostro triste presente.
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