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venerdì 12 maggio 2023

Nicaragua. Dov’è monsignor Álvarez? «È in una cella buia e fa i suoi bisogni in un buco»

Cattive notizie dal Nicaragua comunista.
QUI MiL sul vescovo martire, condannato a 26 anni di carcere.
QUI Il Sismografo.
E la S. Sede?
Luigi

Uno studio racconta le violenze subite dalla Chiesa cattolica per mano del dittatore Ortega. E le angherie contro il vescovo di Matagalpa, di cui si hanno poche notizie
Di: Paolo Manzo – Tempi
Data di pubblicazione: 9 Maggio 2023

Un vescovo nicaraguense in carcere, 37 preti in esilio, tra cui un altro vescovo e 32 religiose di varie congregazioni espulse. Sono questi alcuni dei numeri delle 529 violenze contro la Chiesa cattolica in Nicaragua messe in atto dalla sempre più feroce dittatura di Daniel Ortega e dalla sua moglie “copresidenta”, così chiama il sandinista Rosario Murillo. A snocciolare questi numeri lo studio “Nicaragua: una Chiesa perseguitata?” della ricercatrice nicaraguense Martha Patricia Molina, presentato pochi giorni fa e che descrive nel dettaglio i 529 attacchi tra l’aprile del 2018, quando sono scoppiate manifestazioni antigovernative nel paese represse nel sangue da Ortega, e la fine di marzo di quest’anno: 84 nel 2018, 80 nel 2019, 59 nel 2020, 55 nel 2021, 161 nel 2022 e già 90 nel primo trimestre del 2023.

Lo studio, diviso in quattro capitoli, inizia con le ostilità che la Chiesa ha subito negli ultimi cinque anni, per poi dettagliare il divieto di 3.176 processioni durante l’ultima Settimana Santa. Il terzo capitolo racconta come le violenze sono diventate sistematiche e l’ultimo snocciola la cronologia di «profanazioni, sacrilegi, rapine e attentati contro la Chiesa». Molina, costretta all’esilio e membro del comitato di redazione del quotidiano nicaraguense La Prens, spiega che il numero degli attentati è «sicuramente maggiore» perché «ci sono poche denunce da parte delle autorità religiose e cresce la paura dei fedeli nel documentarli».

Il vescovo in carcere
La stessa ricercatrice assicura di avere poche informazioni su monsignor Rolando Álvarez, il vescovo della diocesi di Matagalpa condannato ad oltre 26 anni di carcere per essersi rifiutato di salire su un aereo insieme ad altri 222 prigionieri politici lo scorso 9 febbraio: «Non ho alcuna informazione su di lui ma so che alcune autorità del sistema penitenziario del Chipote (il carcere delle torture di Ortega, ndr) non sono d’accordo con il trattamento ingiusto riservato a ciascuno dei prigionieri politici e che sono in disaccordo con questo atteggiamento della dittatura». E aggiunge: «Nessuno che si trova nelle condizioni di monsignor Álvarez e del resto dei prigionieri politici può stare bene. Nelle carceri nicaraguensi si praticano torture crudeli, disumane e degradanti».

La giornalista nicaraguense Tifani Roberts, residente negli Stati Uniti, ha confermato al quotidiano indipendente La Prensa, di cui rimane solo la versione online essendo stata occupata la sede dal regime, che una fonte attendibile le ha rivelato che il vescovo della diocesi di Matagalpa è tenuto «in una cella buia e fa i suoi bisogni biologici in un buco». Non bastasse, come parte del trattamento crudele, disumano e degradante ordinato da Ortega, monsignor Álvarez «si pulisce con le mani» perché «non gli permettono l’uso della carta igienica».

Crimini contro l’umanità
Gonzalo Carrión, avvocato del Nicaragua Human Rights Collective Never+, sottolinea che «se hanno trattato i prigionieri politici in modo crudele e brutale in generale, il caso del vescovo conferma il livello di oppressione al più alto livello, ordinato da Ortega e Murillo, i responsabili degli atti di tortura, del trattamento crudele, disumano e degradante che sta subendo Monsignor Álvarez, trattamento che costituisce un crimine contro l’umanità».

Per l’avvocato Danny Ramírez Ayerdis, segretario esecutivo del Centro interamericano di assistenza legale per i diritti umani ciò che la dittatura cerca «è spezzare il morale del vescovo che sta sopportando gravi violazioni del diritto internazionale, sono crimini contro l’umanità nell’ambito della persecuzione generale che la Chiesa cattolica sta vivendo in Nicaragua».

Un monsignore che porta la croce
Secondo Carrión, la crudeltà della dittatura contro monsignor Álvarez è dovuta «alla sua voce di coerenza con gli oppressi, che tra l’altro è l’unico vescovo del Nicaragua che fino al momento in cui è stato privato della libertà, nell’agosto del anno scorso, ha mantenuto con il suo lavoro pastorale una chiara identificazione con il popolo oppresso. E proprio perché è un pastore impegnato a stare accanto al popolo lo hanno privato della sua libertà, dopo averlo sistematicamente assediato, molestato e minacciato».

A detta dell’ex ambasciatore nicaraguense presso l’Organizzazione degli Stati americani, Arturo McFields Yescas, con la prigione di monsignor Álvarez la dittatura si denigra ulteriormente davanti al mondo: «Solo la feccia dell’umanità imprigiona un vescovo che non può farti nessun danno. Che paura hanno di un monsignore che porta la croce?», si chiede. Per poi aggiungere, intervistato dal sito 100% Noticias: «Vogliono tirarlo fuori, ma non sanno come, perché lui non vuole lasciare il Nicaragua ma la pressione internazionale e interna farà sì che presto ci sarà la sua liberazione».

L’ottimismo di McFields contrasta però con la nuova ondata di arresti di oltre 60 oppositori del regime, tutti accusati di minare l’integrità nazionale e diffusione di notizie false. Tra loro tre giornalisti e decine di agricoltori, attivisti e insegnanti e persino Marycruz Bermúdez la madre della prima vittima nelle manifestazioni del 2018, Richard Eduardo Pavón Bermúdez.

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