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martedì 9 maggio 2023

Che cosa ha davvero detto il card. Müller a Torino: testo integrale de "Il mandato divino del Papa nella Chiesa di Gesù Cristo" del 7 maggio

Pubblichiamo, ringraziando di cuore L’ASSOCIAZIONE CULTURALE LOGOS E PERSONA (www.logosepersona.it), il testo dell'intervento integrale del Card. Gerhard Müller, a Torino, il 7 maggio scorso (QUI MiL). Oltre 200 i presenti, di cui molti in piedi.
Da leggere veramente tutto.

"Il papato è, nella sua essenza più intima, un servizio all’unità di tutta la Chiesa nella verità del Vangelo. Il ministero di Pietro non è un ufficio secolare di governante alla maniera dei re assolutisti e degli zar autocratici, ma un ministero pastorale-spirituale. I vescovi e i papi non devono prendere esempio dai sovrani secolari che opprimono e sfruttano i loro popoli. Piuttosto, devono eccellere in una maggiore devozione alla salvezza eterna dei credenti. [...] Una Chiesa nazionale con un proprio Credo contraddice doppiamente l'unità universale di tutte le persone in Cristo battezzati [...] Guardando alle debolezze umane che possono affliggere in modo incombente, come già nel caso di Simon Pietro, Joseph Ratzinger ha parlato anche in termini di storia della Chiesa del fatto che anche i Papi possono diventare uno scandalo perché, in quanto esseri umani, credono di voler tracciare una strada che è populista per il gusto del pubblico ma contraddice lo spirito di Cristo. [...] Ogni Papa deve distinguere con precisione tra il suo mandato divino e se stesso come individuo con tutti i suoi limiti. Non deve imporre agli altri cristiani le sue opinioni private sulla politica o la economia e le scienze non teologiche. Né un Papa o un vescovo o un altro superiore ecclesiastico può abusare della fiducia che viene prontamente riposta in lui in un’atmosfera fraterna per fornire ad "amici" incompetenti o corrotti sinecure ecclesiastiche o, contrariamente al diritto divino, deporre arbitrariamente vescovi a lui personalmente non graditi o interferire senza giusta causa nell’ufficio pastorale ordinario del Vescovo diocesano".

Luigi

Il mandato divino del Papa nella Chiesa di Gesù Cristo

Di Gerhard Card. Müller

 Chiunque voglia descrivere l'importanza del papato per la Chiesa cattolica deve iniziare con Gesù Cristo.

Infatti, è solo alla luce del Verbo fatto carne che il "mistero della santa Chiesa"[1] si rivela nella sua fondazione da parte del Gesù storico di Nazareth. Con la fondazione della Chiesa come comunità visibile di persone che sono in relazione con Dio nella fede, nella speranza e nell'amore nello Spirito Santo, Gesù ha chiamato anche i suoi apostoli come suoi vicari.

I vescovi (con i presbiteri e i diaconi al loro fianco) presiedono come successori degli apostoli "al posto di Dio del gregge di Cristo", come pastori nella guida, come maestri nell'annuncio del Vangelo e come sacerdoti nel culto sacro, cioè nella celebrazione dei sacramenti, specialmente della Santissima Eucaristia.[2]

Dopo la sua risurrezione dai morti e mediante l'effusione dello Spirito Santo sugli apostoli e su tutti coloro che devono giungere alla fede, Gesù completò la fondazione della Chiesa visibile sulla terra.

La Chiesa cattolica e apostolica è la Communio con Dio Uno e Trino e la continuazione della Missio di Cristo nella storia.

Il suo compito è quello di condurre tutti gli uomini alla fede in Gesù, il Figlio di Dio, e per mezzo dei sette santi sacramenti alla venerazione e al culto di Dio. "La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano"[3], come dice il Vaticano II.

La Santa Chiesa Romana ha un compito speciale nella comunione delle Chiese locali costituite dai Vescovi, perché fondata dalla testimonianza della parola e dal martirio del sangue dei Principi degli Apostoli Pietro e Paolo. Il suo Vescovo, come successore di san Pietro, è “il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione”[4].

Con, in, e attraverso Pietro e ciascuno dei suoi successori sulla Cattedra di Pietro, l'intera Chiesa confessa in ogni momento che Gesù è il suo divino fondatore. Egli è il Verbo fatto carne (cfr. Gv 1, 14).

Noi, i discepoli di Gesù, non siamo noi stessi la luce del mondo. Ma la Chiesa confessa che solo il Verbo di Dio, mediante il quale tutto ha avuto origine, è “la luce degli uomini” (Gv 1, 4) che può illuminare le tenebre del mondo. Con lo sguardo fermo su Gesù, la Chiesa fa continuamente propria la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16).

Simone, l'uomo di Galilea a cui il Figlio di Dio stesso diede l'appellativo di Pietro la Roccia (in greco Κηφᾶς [Kēphâs]), è la persona più frequentemente menzionata nel Nuovo Testamento dopo Gesù. Viene sempre nominato per primo nell’elenco dei Dodici Apostoli. È il portavoce della cerchia pre-pasquale dei discepoli di Gesù e il più alto rappresentante del Collegio Apostolico. Quando il Signore risorto appare a Pietro, che nella sua persona rappresenta tutta la Chiesa, Cristo lo rende il più importante testimone della sua missione presso il Padre (cfr. 1 Cor 15, 5), e stabilisce anche la sua posizione centrale nella Chiesa primitiva di Gerusalemme. È il nucleo della Chiesa universale (=cattolica) e apostolica che ne deriva in ogni tempo e in tutto il mondo. La continuità della Chiesa nei tempi che cambiano e nella successione delle generazioni deriva dal fatto che tutti i credenti in Cristo restano “perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane (=Eucaristia) e nelle preghiere” cioè nella Divina Liturgia (At 2, 42). Per “insegnamento degli apostoli” non si intende ovviamente un'idea filosofica o una teoria scientifica, ma piuttosto la predicazione e la testimonianza degli apostoli, “che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola” (Lc 1, 2 ).

Il “Verbo” (il Logos che è Dio stesso) è una Persona divina, cioè Gesù Cristo, l'unigenito Figlio del Padre (Gv 1, 14-18), che con Lui e con lo Spirito Santo è l'unico e solo Dio. Da sua madre Maria (Gal 4, 4; Mt 1, 18; Lc 1, 35) ha assunto la nostra carne e il nostro sangue umani e un’anima spirituale umana (= natura umana) (Ebr 2, 14).

L’“insegnamento degli apostoli” che, come professione di fede, (credo = il simbolo della fede) è il fondamento della Chiesa visibile e sacramentale, è esposto dettagliatamente nel primo sermone di Pietro dopo l’effusione pentecostale dello Spirito Santo sugli apostoli e su tutti coloro che, a partire da questo annuncio della Parola di Dio, furono battezzati per far parte della comunità della Chiesa primitiva (At 2, 14-36). Pietro, infatti, insieme agli altri undici apostoli, si alzò e presentò Gesù agli uditori di tutte le nazioni riuniti a Gerusalemme come compimento dell'intera storia salvifica di Dio verso Israele e verso l'intera umanità: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2, 36).

Pietro è quindi, insieme agli altri apostoli, il garante e il testimone dell’identità di Gesù storico fino alla sua morte in croce e del Cristo della fede grazie all’evento pasquale. Di conseguenza, Pietro è anche il rappresentante dell’unità della cerchia dei discepoli pre-pasquali e della Chiesa post-pasquale, che Dio ha posto in essere sulla base dell'evento della Pentecoste.

Chi era quel Simone a cui Gesù diede il nome di Pietro?

Di mestiere, Simone era un semplice pescatore nel Mar di Galilea.  Gesù non chiamò i discepoli che voleva fare suoi apostoli (= inviati, missionari) dalla cerchia dei potenti, degli influenti e dei sapienti del mondo (cfr. 1 Cor 1, 26-31) ma dalle persone umili e credenti gente comune. Infatti, nessuno dovrebbe avere l’opportunità di vantare i propri meriti e, quindi, di incantare gli ascoltatori con retorica e propaganda demagogica. Gli apostoli non devono attirare su di sé l’attenzione della gente. Piuttosto, devono indirizzare gli ascoltatori della loro predicazione a Cristo, il vero “Salvatore del mondo” (Gv 4, 42). Perché “Gesù è l'unico nome che ci è stato dato sotto il cielo, mediante il quale possiamo essere salvati.” (Atti 4, 12).

Né Simon Pietro era la personalità dai nervi d’acciaio che, nella sua stoica compostezza, non poteva essere scossa da nulla. Gesù dovette spesso rimproverarlo aspramente nel suo sconsiderato entusiasmo e nelle sue tentazioni disfattiste. Lo rimproverò persino come l'avversario che ostacolava la missione di Gesù, che doveva compiersi non nello splendore dei palazzi dorati, ma nella vergogna della croce del Golgota (cfr., Mt 16, 21-23). Di fronte alla passione di Gesù, Pietro, l’apostolo di grado più elevato, rinnegò addirittura vigliaccamente Gesù per tre volte con le parole: «Io non conosco quest'uomo» (Mt 26, 74).

Il Signore risorto ricordò dunque a Pietro questo rinnegamento presso il mare di Tiberiade, chiedendogli tre volte: «Mi ami tu più di costoro?» (Gv 21, 15-19). Perché questo amore per Gesù ha operato anche la sua conversione (Lc 22, 32) e ha reso evidente la profondità della comunione con Cristo come origine e centro del ministero di Pietro.

Questo vale anche per i suoi successori sulla Cathedra Petri nell’ufficio di Vescovo di Roma. Nella chiamata di Simone come roccia su cui Gesù edifica la Sua Chiesa (Mt 16, 18), sono prefigurate anche la missione e l’autorità del Romano Pontefice.

Il papato è, nella sua essenza più intima, un servizio all’unità di tutta la Chiesa nella verità del Vangelo. Il ministero di Pietro non è un ufficio secolare di governante alla maniera dei re assolutisti e degli zar autocratici, ma un ministero pastorale-spirituale. I vescovi e i papi non devono prendere esempio dai sovrani secolari che opprimono e sfruttano i loro popoli. Piuttosto, devono eccellere in una maggiore devozione alla salvezza eterna dei credenti. Gesù, infatti, disse agli apostoli, che stavano litigando su chi di loro dovesse prendere il primo posto: «… chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». (Mt 20, 26-28).

Il titolo, che probabilmente esprime nel modo più profondo l’essenza del papato, proviene da papa Gregorio Magno (590-604), che si faceva chiamare Servus servorum Dei in contrapposizione al potente e ostentato patriarca dell'allora capitale imperiale di Costantinopoli.

A differenza del mercenario, il buon pastore si riconosce dal fatto che, come Gesù, dà la vita per le sue pecore. Infatti, Gesù, vero Pastore della Chiesa e di tutti gli uomini (Gv 10, 11; 1 Pt 2, 25; Eb 13, 20), per ben tre volte ha detto a Pietro: «Pasci i miei agnelli e le mie pecorelle» (Gv 21, 15-19) . Il dono della propria vita è anche il nucleo interiore di ogni ministero pastorale nell’ufficio dei vescovi e dei presbiteri (1 Pt 5, 2; At 20, 28; Eb 13, 17). Nel Cenacolo, Gesù affida a Pietro il compito perenne di “confermare i suoi fratelli”, cioè nella loro fede in Gesù, il Signore crocifisso e risorto (Lc 22, 32).

La grande promessa di Gesù a Pietro nel Vangelo di Matteo si trova scritta anche nella cupola della Basilica di San Pietro sopra la tomba dell'Apostolo. «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 18-19).

Queste parole di Gesù non possono essere relativizzate dicendo che Gesù non ha parlato espressamente di un successore a Roma o mettendo in discussione la permanenza storica e il martirio del Principe degli Apostoli a Roma. Fu piuttosto provvidenziale che la missione universale di Pietro si compisse nel suo sanguinoso martirio a Roma al tempo di Nerone. Infatti, quell'Altro (Gv 14, 26) che condurrà Pietro dove egli non vuole andare è lo Spirito Santo, che lo assiste affinché possa “glorificare Dio attraverso la sua morte.” (Gv 21, 19).

La Chiesa cattolica ha sempre inteso la parola di Gesù stesso come fondamento del Primato Romano e come fondamento spirituale del suo esercizio. Una giustificazione nello status politico di Roma come capitale di un impero mondiale o la considerazione pragmatica che ci dovrebbe essere un presidente onorario (= primus inter pares) tra i vescovi in virtù di un diritto umano è sempre stata rigorosamente respinta.

L'ufficio di Pietro e dei suoi successori nei vescovi è una verità rivelata da Dio che accettiamo con la fede soprannaturale. Pietro e Paolo sono i fondatori della Chiesa di Roma in quanto il loro insegnamento apostolico e il loro cruento martirio diedero a quell'unica Chiesa il primo fondamento apostolico. «Con questa Chiesa, infatti, in ragione della sua autorità superiore, deve accordarsi ogni chiesa, cioè i fedeli di tutto il mondo, poiché in essa è stata conservata la tradizione apostolica»[5]. Per i discepoli di allora e per tutta la Chiesa fino alla fine dei tempi, Pietro confessa che Gesù non è un profeta o un fondatore di una religione, ma «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16).

Questo giudizio non deriva da una logica puramente umana, ma è stato rivelato a Pietro e a tutti i credenti dal “Padre celeste” di Gesù nella potenza dello Spirito Santo (Mt 16, 17).

È lo stesso Cristo che, prima di recarsi al Padre, nell’evento salvifico dell'Ascensione, ha riunito attorno a sé gli apostoli per inviarli all’umanità intera in ogni tempo e in ogni luogo della terra. Il Signore risorto si avvicina agli undici discepoli e dice loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20).

Per quanto riguarda le Chiese ortodosse e le comunità protestanti, il primato del papa con la dottrina dell’infallibilità nelle decisioni ex cathedra e il primato nel governo ecclesiale universale (= primato giurisdizionale) è spesso percepito come una “pietra d'inciampo”, un ostacolo, poiché alle singole Chiese locali viene impedito di seguire le proprie strade di fede adattandosi alla propria cultura e alla propria ragion di Stato. Ma è proprio il primato della Chiesa Romana che offre la garanzia divina che la Chiesa cattolica rimanga una Chiesa universale e non si disintegri in chiese nazionali autocefale.

Una Chiesa nazionale con un proprio Credo contraddice doppiamente l'unità universale di tutte le persone in Cristo battezzati.

In primo luogo, nazioni, popoli, culture e lingue non producono né soggetti né membrane passive capaci di tradurre “un rumore di fondo divino” in una melodia umana gradita ai contemporanei.

In secondo luogo, la Parola di Dio unisce i credenti nello Spirito pentecostale del Padre e del Figlio attraverso le differenze culturali in un'unica Chiesa.

Contro la fondamentale falsificazione dei misteri cristiani dell’unità e della Trinità di Dio, dell’incarnazione, della sacramentalità della Chiesa e della corporeità della redenzione, alla fine del II secolo Ireneo di Lione sottolineava contro gli gnostici del suo tempo e di tutti i tempi l'unità (unitas) e la comunione della Chiesa universale sulla base della tradizione apostolica. «In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede..., conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca […] Infatti, se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo»[6].

Il vescovo rappresenta quindi nella sua persona anche l’unità diacronica e sincronica della Chiesa nella successione degli apostoli e la continuità interna della Chiesa con la sua origine in Cristo e negli apostoli. Poiché solo il Vescovo di Roma è il successore personale di Pietro, mentre gli altri vescovi sono successori degli Apostoli in tutto il loro collegio, le prerogative di Simone nella sua qualità di Pietro, in quanto roccia su cui Cristo, Figlio del Dio vivente, costruirà la Sua Chiesa, valgono anche per il Vescovo di Roma. Nel corso del tempo, il titolo di “Papa” si è evoluto fino a racchiudere in un unico termine gli elementi essenziali del ministero petrino del vescovo romano.

Ma rimane una differenza cruciale tra gli apostoli e i vescovi. Gli apostoli, con Pietro a capo, furono diretti destinatari e portatori della piena autorivelazione di Dio in Cristo. I vescovi e il papa, invece, sono legati nei contenuti alla realizzazione della rivelazione nella Sacra Scrittura e nella Tradizione apostolica. “L’ufficio (…) d’interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio”[7].

Anche se le decisioni dottrinali della Chiesa in casi particolari riflettono infallibilmente la rivelazione perché sostenute dal carisma dello Spirito Santo, tuttavia richiedono la migliore preparazione umana possibile ed esigono di essere gelosamente conservate e fedelmente esposte[8] e sia il Papa che i vescovi sono obbligati a farlo in coscienza. Anche per il governo generale della Chiesa, il Papa dovrebbe prima affidarsi al collegio cardinalizio, che, dopo tutto, rappresenta la Santa Chiesa Romana e - come il presbiterio consiglia un vescovo - consiglia il Papa collegialmente/sinodalmente. Come in tutti i casi, un organo consultivo costituito dal supremo decisore secondo criteri di compiacenza e clientelismo è poco utile e fa più male che bene a chi è in carica. Quest’ultimo non ha bisogno delle lodi che lusingano la vanità umana, ma della perizia critica di collaboratori che non sono interessati ai gesti benevoli del superiore ma al buon esito del suo ufficio, cioè del pontificato, per la Chiesa del Dio Unico e Trino.

Guardando alle debolezze umane che possono affliggere in modo incombente, come già nel caso di Simon Pietro, Joseph Ratzinger ha parlato anche in termini di storia della Chiesa del fatto che anche i Papi possono diventare uno scandalo perché, in quanto esseri umani, credono di voler tracciare una strada che è populista per il gusto del pubblico ma contraddice lo spirito di Cristo.

Ogni Papa deve distinguere con precisione tra il suo mandato divino e se stesso come individuo con tutti i suoi limiti. Non deve imporre agli altri cristiani le sue opinioni private sulla politica o la economia e le scienze non teologiche.

Né un Papa o un vescovo o un altro superiore ecclesiastico può abusare della fiducia che viene prontamente riposta in lui in un’atmosfera fraterna per fornire ad "amici" incompetenti o corrotti sinecure ecclesiastiche o, contrariamente al diritto divino, deporre arbitrariamente vescovi a lui personalmente non graditi o interferire senza giusta causa nell’ufficio pastorale ordinario del Vescovo diocesano.

Se c’è stato un traditore tra gli apostoli scelti da Gesù, e persino Pietro ha rinnegato Gesù nel corso della Passione, allora sappiamo che anche i rappresentanti umani della Chiesa nella storia e nel presente possono fallire e abusare del loro ufficio in modo egoistico o ristretto.

Ne abbiamo un esempio anche in materia di fede, visto che Paolo ha resistito apertamente a Pietro quando si è permesso una pericolosa ambiguità nella “verità del Vangelo” (Gal 2, 11-14). Il nostro attaccamento affettivo ed effettivo al Papa e al nostro vescovo o pastore non ha nulla a che vedere con l’indegno culto della personalità degli autocrati secolari, ma è amore fraterno per un confratello cristiano a cui è stata affidata la più alta responsabilità nella Chiesa. Può anche fallire in questo. Ecco perché l’ammonizione amorevole promuove la Chiesa più dell’ipocrisia servile.

Ma il modo migliore per aiutare il Papa e i vescovi è attraverso la preghiera. Confidiamo in Gesù, il Signore della Chiesa, che prima della Passione disse a Simone, la roccia sulla quale avrebbe edificato la sua Chiesa (Mt 16, 18): «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32).

La fede di Pietro è la fede di tutta la Chiesa, «che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 31).



[1] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 5.

[2] Cfr., ibid. 22.

[3] Ibid., 1.

[4] Ibid., 18.

[5] Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 3, 2.

[6] Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, I, 10, 2.

[7] Dei Verbum, 10.

[8] Cfr. Lumen Gentium, 25.


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