Il
mandato divino del Papa nella Chiesa di Gesù Cristo
Di
Gerhard Card. Müller
Infatti, è solo alla luce del Verbo fatto carne che il "mistero della santa Chiesa"[1] si rivela nella sua fondazione da parte del Gesù storico di Nazareth. Con la fondazione della Chiesa come comunità visibile di persone che sono in relazione con Dio nella fede, nella speranza e nell'amore nello Spirito Santo, Gesù ha chiamato anche i suoi apostoli come suoi vicari.
I vescovi (con i presbiteri e i diaconi al loro fianco) presiedono come successori degli apostoli "al posto di Dio del gregge di Cristo", come pastori nella guida, come maestri nell'annuncio del Vangelo e come sacerdoti nel culto sacro, cioè nella celebrazione dei sacramenti, specialmente della Santissima Eucaristia.[2]Dopo la sua
risurrezione dai morti e mediante l'effusione dello Spirito Santo sugli
apostoli e su tutti coloro che devono giungere alla fede, Gesù completò la
fondazione della Chiesa visibile sulla terra.
La Chiesa cattolica e apostolica è la Communio con Dio Uno e Trino e la continuazione della Missio di Cristo nella storia.
Il suo compito è quello di condurre tutti gli uomini alla fede in Gesù,
il Figlio di Dio, e per mezzo dei sette santi sacramenti alla venerazione e al
culto di Dio. "La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento,
ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto
il genere umano"[3], come
dice il Vaticano II.
La Santa Chiesa
Romana ha un compito speciale nella comunione delle Chiese locali costituite
dai Vescovi, perché fondata dalla testimonianza della parola e dal martirio del
sangue dei Principi degli Apostoli Pietro e Paolo. Il suo Vescovo, come
successore di san Pietro, è “il principio e il fondamento perpetuo e visibile
dell'unità di fede e di comunione”[4].
Con, in, e attraverso Pietro e ciascuno
dei suoi successori sulla Cattedra di Pietro, l'intera Chiesa confessa in ogni
momento che Gesù è il suo divino fondatore. Egli è il Verbo fatto carne (cfr.
Gv 1, 14).
Noi, i discepoli
di Gesù, non siamo noi stessi la luce del mondo. Ma la Chiesa confessa che solo
il Verbo di Dio, mediante il quale tutto ha avuto origine, è “la luce degli
uomini” (Gv 1, 4) che può illuminare le tenebre del mondo. Con lo sguardo
fermo su Gesù, la Chiesa fa continuamente propria la confessione di Pietro: «Tu
sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16).
Simone, l'uomo
di Galilea a cui il Figlio di Dio stesso diede l'appellativo di Pietro la
Roccia (in greco Κηφᾶς [Kēphâs]), è la persona più frequentemente menzionata
nel Nuovo Testamento dopo Gesù. Viene sempre nominato per primo nell’elenco dei
Dodici Apostoli. È il portavoce della cerchia pre-pasquale dei discepoli di
Gesù e il più alto rappresentante del Collegio Apostolico. Quando il Signore
risorto appare a Pietro, che nella sua persona rappresenta tutta la Chiesa,
Cristo lo rende il più importante testimone della sua missione presso il Padre
(cfr. 1 Cor 15, 5), e stabilisce anche la sua posizione centrale nella
Chiesa primitiva di Gerusalemme. È il nucleo della Chiesa universale
(=cattolica) e apostolica che ne deriva in ogni tempo e in tutto il mondo. La
continuità della Chiesa nei tempi che cambiano e nella successione delle
generazioni deriva dal fatto che tutti i credenti in Cristo restano
“perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello
spezzare il pane (=Eucaristia) e nelle preghiere” cioè nella Divina Liturgia
(At 2, 42). Per “insegnamento degli apostoli” non si intende ovviamente
un'idea filosofica o una teoria scientifica, ma piuttosto la predicazione e la
testimonianza degli apostoli, “che ne furono testimoni oculari fin da principio
e divennero ministri della Parola” (Lc 1, 2 ).
Il “Verbo” (il
Logos che è Dio stesso) è una Persona divina, cioè Gesù Cristo, l'unigenito
Figlio del Padre (Gv 1, 14-18), che con Lui e con lo Spirito Santo è
l'unico e solo Dio. Da sua madre Maria (Gal 4, 4; Mt 1, 18; Lc
1, 35) ha assunto la nostra carne e il nostro sangue umani e un’anima
spirituale umana (= natura umana) (Ebr 2, 14).
L’“insegnamento
degli apostoli” che, come professione di fede, (credo = il simbolo della fede)
è il fondamento della Chiesa visibile e sacramentale, è esposto
dettagliatamente nel primo sermone di Pietro dopo l’effusione pentecostale
dello Spirito Santo sugli apostoli e su tutti coloro che, a partire da questo
annuncio della Parola di Dio, furono battezzati per far parte della comunità
della Chiesa primitiva (At 2, 14-36). Pietro, infatti, insieme agli altri
undici apostoli, si alzò e presentò Gesù agli uditori di tutte le nazioni
riuniti a Gerusalemme come compimento dell'intera storia salvifica di Dio verso
Israele e verso l'intera umanità: «Sappia dunque con certezza tutta la casa
d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete
crocifisso» (At 2, 36).
Pietro è quindi,
insieme agli altri apostoli, il garante e il testimone dell’identità di Gesù
storico fino alla sua morte in croce e del Cristo della fede grazie all’evento
pasquale. Di conseguenza, Pietro è anche il rappresentante dell’unità della
cerchia dei discepoli pre-pasquali e della Chiesa post-pasquale, che Dio ha
posto in essere sulla base dell'evento della Pentecoste.
Chi era quel
Simone a cui Gesù diede il nome di Pietro?
Di mestiere,
Simone era un semplice pescatore nel Mar di Galilea. Gesù non chiamò i discepoli che voleva fare
suoi apostoli (= inviati, missionari) dalla cerchia dei potenti, degli
influenti e dei sapienti del mondo (cfr. 1 Cor 1, 26-31) ma dalle persone
umili e credenti gente comune. Infatti, nessuno dovrebbe avere l’opportunità di
vantare i propri meriti e, quindi, di incantare gli ascoltatori con retorica e
propaganda demagogica. Gli apostoli non devono attirare su di sé l’attenzione
della gente. Piuttosto, devono indirizzare gli ascoltatori della loro
predicazione a Cristo, il vero “Salvatore del mondo” (Gv 4, 42). Perché
“Gesù è l'unico nome che ci è stato dato sotto il cielo, mediante il quale
possiamo essere salvati.” (Atti 4, 12).
Né Simon Pietro
era la personalità dai nervi d’acciaio che, nella sua stoica compostezza, non
poteva essere scossa da nulla. Gesù dovette spesso rimproverarlo aspramente nel
suo sconsiderato entusiasmo e nelle sue tentazioni disfattiste. Lo rimproverò
persino come l'avversario che ostacolava la missione di Gesù, che doveva
compiersi non nello splendore dei palazzi dorati, ma nella vergogna della croce
del Golgota (cfr., Mt 16, 21-23). Di fronte alla passione di Gesù, Pietro,
l’apostolo di grado più elevato, rinnegò addirittura vigliaccamente Gesù per
tre volte con le parole: «Io non conosco quest'uomo» (Mt 26, 74).
Il Signore
risorto ricordò dunque a Pietro questo rinnegamento presso il mare di
Tiberiade, chiedendogli tre volte: «Mi ami tu più di costoro?» (Gv
21, 15-19). Perché questo amore per Gesù ha operato anche la sua
conversione (Lc 22, 32) e ha reso evidente la profondità della comunione
con Cristo come origine e centro del ministero di Pietro.
Questo vale
anche per i suoi successori sulla Cathedra
Petri nell’ufficio di Vescovo di Roma. Nella chiamata di Simone come roccia
su cui Gesù edifica la Sua Chiesa (Mt 16, 18), sono prefigurate anche la
missione e l’autorità del Romano Pontefice.
Il papato è,
nella sua essenza più intima, un servizio all’unità di tutta la Chiesa nella
verità del Vangelo. Il ministero di Pietro non è un ufficio secolare di
governante alla maniera dei re assolutisti e degli zar autocratici, ma un
ministero pastorale-spirituale. I vescovi e i papi non devono prendere esempio
dai sovrani secolari che opprimono e sfruttano i loro popoli. Piuttosto, devono
eccellere in una maggiore devozione alla salvezza eterna dei credenti. Gesù,
infatti, disse agli apostoli, che stavano litigando su chi di loro dovesse
prendere il primo posto: «… chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro
servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il
Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti». (Mt 20, 26-28).
Il titolo, che
probabilmente esprime nel modo più profondo l’essenza del papato, proviene da
papa Gregorio Magno (590-604), che si faceva chiamare Servus servorum Dei in contrapposizione al potente e ostentato
patriarca dell'allora capitale imperiale di Costantinopoli.
A differenza del
mercenario, il buon pastore si riconosce dal fatto che, come Gesù, dà la vita
per le sue pecore. Infatti, Gesù, vero Pastore della Chiesa e di tutti gli
uomini (Gv 10, 11; 1 Pt 2, 25; Eb 13, 20), per ben tre
volte ha detto a Pietro: «Pasci i miei agnelli e le mie pecorelle» (Gv
21, 15-19) . Il dono della propria vita è anche il nucleo interiore di
ogni ministero pastorale nell’ufficio dei vescovi e dei presbiteri (1 Pt
5, 2; At 20, 28; Eb 13, 17). Nel Cenacolo, Gesù affida a Pietro
il compito perenne di “confermare i suoi fratelli”, cioè nella loro fede in
Gesù, il Signore crocifisso e risorto (Lc 22, 32).
La grande
promessa di Gesù a Pietro nel Vangelo di Matteo si trova scritta anche nella
cupola della Basilica di San Pietro sopra la tomba dell'Apostolo. «E io a te
dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze
degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei
cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò
che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 18-19).
Queste parole di
Gesù non possono essere relativizzate dicendo che Gesù non ha parlato
espressamente di un successore a Roma o mettendo in discussione la permanenza
storica e il martirio del Principe degli Apostoli a Roma. Fu piuttosto
provvidenziale che la missione universale di Pietro si compisse nel suo
sanguinoso martirio a Roma al tempo di Nerone. Infatti, quell'Altro (Gv 14, 26) che condurrà
Pietro dove egli non vuole andare è lo Spirito Santo, che lo assiste affinché
possa “glorificare Dio attraverso la sua morte.” (Gv 21, 19).
La Chiesa
cattolica ha sempre inteso la parola di Gesù stesso come fondamento del Primato
Romano e come fondamento spirituale del suo esercizio. Una giustificazione
nello status politico di Roma come capitale di un impero mondiale o la
considerazione pragmatica che ci dovrebbe essere un presidente onorario (= primus inter pares) tra i vescovi in
virtù di un diritto umano è sempre stata rigorosamente respinta.
L'ufficio di
Pietro e dei suoi successori nei vescovi è una verità rivelata da Dio che
accettiamo con la fede soprannaturale. Pietro e Paolo sono i fondatori della
Chiesa di Roma in quanto il loro insegnamento apostolico e il loro cruento
martirio diedero a quell'unica Chiesa il primo fondamento apostolico. «Con
questa Chiesa, infatti, in ragione della sua autorità superiore, deve
accordarsi ogni chiesa, cioè i fedeli di tutto il mondo, poiché in essa è stata
conservata la tradizione apostolica»[5]. Per i discepoli di allora e
per tutta la Chiesa fino alla fine dei tempi, Pietro confessa che Gesù non è un
profeta o un fondatore di una religione, ma «il Cristo, il Figlio del Dio
vivente» (Mt 16, 16).
Questo giudizio
non deriva da una logica puramente umana, ma è stato rivelato a Pietro e a
tutti i credenti dal “Padre celeste” di Gesù nella potenza dello Spirito Santo
(Mt 16, 17).
È lo stesso
Cristo che, prima di recarsi al Padre, nell’evento salvifico dell'Ascensione,
ha riunito attorno a sé gli apostoli per inviarli all’umanità intera in ogni
tempo e in ogni luogo della terra. Il Signore risorto si avvicina agli undici
discepoli e dice loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che
vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo» (Mt 28, 18-20).
Per quanto
riguarda le Chiese ortodosse e le comunità protestanti, il primato del papa con
la dottrina dell’infallibilità nelle decisioni ex cathedra e il primato nel governo ecclesiale universale (=
primato giurisdizionale) è spesso percepito come una “pietra d'inciampo”, un
ostacolo, poiché alle singole Chiese locali viene impedito di seguire le
proprie strade di fede adattandosi alla propria cultura e alla propria ragion
di Stato. Ma è proprio il primato della Chiesa Romana che offre la garanzia
divina che la Chiesa cattolica rimanga una Chiesa universale e non si
disintegri in chiese nazionali autocefale.
Una Chiesa
nazionale con un proprio Credo contraddice doppiamente l'unità universale di
tutte le persone in Cristo battezzati.
In primo luogo,
nazioni, popoli, culture e lingue non producono né soggetti né membrane passive
capaci di tradurre “un rumore di fondo divino” in una melodia umana gradita ai
contemporanei.
In secondo
luogo, la Parola di Dio unisce i credenti nello Spirito pentecostale del Padre
e del Figlio attraverso le differenze culturali in un'unica Chiesa.
Contro la
fondamentale falsificazione dei misteri cristiani dell’unità e della Trinità di
Dio, dell’incarnazione, della sacramentalità della Chiesa e della corporeità
della redenzione, alla fine del II secolo Ireneo di Lione sottolineava contro
gli gnostici del suo tempo e di tutti i tempi l'unità (unitas) e la comunione della Chiesa universale sulla base della
tradizione apostolica. «In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo
fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro
discepoli la fede..., conserva questa predicazione e questa fede con cura e,
come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se
avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le
insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca […] Infatti,
se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e
identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in
Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in
Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono
al centro del mondo»[6].
Il vescovo
rappresenta quindi nella sua persona anche l’unità diacronica e sincronica
della Chiesa nella successione degli apostoli e la continuità interna della
Chiesa con la sua origine in Cristo e negli apostoli. Poiché solo il Vescovo di
Roma è il successore personale di Pietro, mentre gli altri vescovi sono
successori degli Apostoli in tutto il loro collegio, le prerogative di Simone
nella sua qualità di Pietro, in quanto roccia su cui Cristo, Figlio del Dio
vivente, costruirà la Sua Chiesa, valgono anche per il Vescovo di Roma. Nel
corso del tempo, il titolo di “Papa” si è evoluto fino a racchiudere in un
unico termine gli elementi essenziali del ministero petrino del vescovo romano.
Ma rimane una
differenza cruciale tra gli apostoli e i vescovi. Gli apostoli, con Pietro a
capo, furono diretti destinatari e portatori della piena autorivelazione di Dio
in Cristo. I vescovi e il papa, invece, sono legati nei contenuti alla
realizzazione della rivelazione nella Sacra Scrittura e nella Tradizione
apostolica. “L’ufficio (…) d’interpretare autenticamente la parola di Dio,
scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui
autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è
superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato
trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito
Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella
parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a
credere come rivelato da Dio”[7].
Anche se le
decisioni dottrinali della Chiesa in casi particolari riflettono
infallibilmente la rivelazione perché sostenute dal carisma dello Spirito
Santo, tuttavia richiedono la migliore preparazione umana possibile ed esigono
di essere gelosamente conservate e fedelmente esposte[8] e sia il Papa che i vescovi
sono obbligati a farlo in coscienza. Anche per il governo generale della
Chiesa, il Papa dovrebbe prima affidarsi al collegio cardinalizio, che, dopo
tutto, rappresenta la Santa Chiesa Romana e - come il presbiterio consiglia un
vescovo - consiglia il Papa collegialmente/sinodalmente. Come in tutti i casi,
un organo consultivo costituito dal supremo decisore secondo criteri di
compiacenza e clientelismo è poco utile e fa più male che bene a chi è in
carica. Quest’ultimo non ha bisogno delle lodi che lusingano la vanità umana,
ma della perizia critica di collaboratori che non sono interessati ai gesti
benevoli del superiore ma al buon esito del suo ufficio, cioè del pontificato,
per la Chiesa del Dio Unico e Trino.
Guardando alle
debolezze umane che possono affliggere in modo incombente, come già nel caso di
Simon Pietro, Joseph Ratzinger ha parlato anche in termini di storia della
Chiesa del fatto che anche i Papi possono diventare uno scandalo perché, in
quanto esseri umani, credono di voler tracciare una strada che è populista per
il gusto del pubblico ma contraddice lo spirito di Cristo.
Ogni Papa deve
distinguere con precisione tra il suo mandato divino e se stesso come individuo
con tutti i suoi limiti. Non deve imporre agli altri cristiani le sue opinioni
private sulla politica o la economia e le scienze non teologiche.
Né un Papa o un
vescovo o un altro superiore ecclesiastico può abusare della fiducia che viene
prontamente riposta in lui in un’atmosfera fraterna per fornire ad
"amici" incompetenti o corrotti sinecure
ecclesiastiche o, contrariamente al diritto divino, deporre arbitrariamente
vescovi a lui personalmente non graditi o interferire senza giusta causa
nell’ufficio pastorale ordinario del Vescovo diocesano.
Se c’è stato un
traditore tra gli apostoli scelti da Gesù, e persino Pietro ha rinnegato Gesù
nel corso della Passione, allora sappiamo che anche i rappresentanti umani
della Chiesa nella storia e nel presente possono fallire e abusare del loro
ufficio in modo egoistico o ristretto.
Ne abbiamo un
esempio anche in materia di fede, visto che Paolo ha resistito apertamente a
Pietro quando si è permesso una pericolosa ambiguità nella “verità del Vangelo”
(Gal 2, 11-14). Il nostro attaccamento affettivo ed effettivo al Papa e al
nostro vescovo o pastore non ha nulla a che vedere con l’indegno culto della
personalità degli autocrati secolari, ma è amore fraterno per un confratello
cristiano a cui è stata affidata la più alta responsabilità nella Chiesa. Può
anche fallire in questo. Ecco perché l’ammonizione amorevole promuove la Chiesa
più dell’ipocrisia servile.
Ma
il modo migliore per aiutare il Papa e i vescovi è attraverso la preghiera.
Confidiamo in Gesù, il Signore della Chiesa, che prima della Passione disse a
Simone, la roccia sulla quale avrebbe edificato la sua Chiesa (Mt 16, 18):
«Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io
ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta
convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32).
La fede di
Pietro è la fede di tutta la Chiesa, «che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e
perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 31).
[1] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 5.
[2] Cfr., ibid. 22.
[3] Ibid., 1.
[4] Ibid., 18.
[5] Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 3, 2.
[6] Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, I, 10, 2.
[7] Dei Verbum, 10.
[8] Cfr. Lumen Gentium, 25.
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