Ricordiamo, in cucina, San Giuseppe inoccasione della sua festa che si celebra domani.
Luigi
14-11-2022, La Nuova Bussola Quotidiana, Liana Marabini
Sacro e profano, spiritualità e fede, folklore e tradizione interagiscono e si completano a vicenda in particolari manifestazioni popolari e culturali. Le radici della festa di San Giuseppe risalgono al Medioevo quando la Sicilia fu colpita da una grave siccità che minacciava una grande carestia. La gente del posto pregò il proprio santo patrono di portare sollievo sotto forma di pioggia. In cambio, promisero di onorare San Giuseppe con un banchetto adeguato.
San Giuseppe è una delle figure centrali della nostra fede.
Sposo della Vergine Maria, carpentiere e uomo gentile, Giuseppe ha accolto il piccolo Gesù con il cuore aperto e umile, conscio che si trova davanti alla volontà divina. È emblematico, in questo senso, il bellissimo dipinto di Guido Reni, del 1635, esposto al Hermitage di San Pietroburgo (foto).
Giuseppe è un uomo che ha un grande senso di responsabilità, che sa prendersi cura delle due persone che il Signore gli ha affidato - Maria e Gesù - e compie la sua missione con fede e devozione. Li traghetta in un lungo ed estenuante viaggio verso l’Egitto, lontano dal malvagio Erode, insegna a Gesù il suo mestiere, protegge la sua famiglia. Non a caso Giuseppe è il santo patrono dei papà: la loro festa si celebra il 19 marzo, data che coincide con l’equinozio di primavera e soprattutto con la ricorrenza della festa di San Giuseppe, uno dei santi più amati nel mondo cristiano.
In Italia e in particolare in Sicilia, la sua festa è molto sentita, anche da punto di vista gastronomico.
San Giuseppe, patrono di molti comuni siciliani, è festeggiato con le cosiddette tavolate, che rendono omaggio al suo triplo patronato: dei bisognosi, dei falegnami e dei papà. Moltissime famiglie partecipano alla preparazione di un ricco banchetto collettivo, destinato in gran parte ai poveri.
Sacro e profano, spiritualità e fede, folklore e tradizione interagiscono e si completano a vicenda in particolari manifestazioni popolari e culturali. Le radici della festa di San Giuseppe risalgono al Medioevo, quando la Sicilia fu colpita da una grave siccità che minacciava una grande carestia. La gente del posto pregò il proprio santo patrono di portare sollievo sotto forma di pioggia. In cambio, promisero di onorare San Giuseppe con un banchetto adeguato. Di certo, egli esaudì le loro preghiere. In cambio, si banchettava con cibi locali come le fave, che prosperavano dopo la pioggia, e con molti dolci. Poiché la festa si svolge nel bel mezzo della Quaresima, è una celebrazione senza carne.
La celebrazione del 19 marzo risale infatti al 1400 e si basa sulla preparazione delle Cene di San Giuseppe, che sono dei veri e propri banchetti votivi. Nei primi del 1600 San Giuseppe compare nel calendario romano universale e, fino all’anno 1977 la data figurava tra le festività religiose nazionali. In ogni casa, soprattutto in tempi lontani, campeggiava un quadro con la raffigurazione iconica del santo, simbolo della famiglia tradizionale. La festa, però ha un’origine pagana, si ricollega infatti ai riti propiziatori per la purificazione dei campi, tributati a Demetra. Le processioni legate a questa festa sono espressioni di devozione che hanno luogo non solo in Italia, ma anche in altri Paesi. Per esempio, negli Stati Uniti, nelle città con grandi comunità italo-americane - in particolare popolazioni siciliane - come Utica, New York, e New Orleans, Louisiana, che videro un'ondata di immigrati nel XIX secolo - la festa di San Giuseppe viene celebrata con parate, processioni e feste, che si concludono con delle grandi tavolate, alle quali partecipa tutta la comunità. A New Orleans c’è l’abitudine di allestire tavole speciali per gli artisti di strada.
Al menù: pasta con vari condimenti vegetariani, olive ripiene di riso ed erbe e fritte, ma soprattutto dolci, i primi fra tutti le zeppole (tipiche del sud Italia) e le frittelle (tipiche del Nord). Le zeppole sono delle grosse ciambelle cotte al forno o fritte in padella e decorate esternamente con crema pasticciera e marmellata di amarene.
In Sicilia occidentale si preparano le spincie di san Giuseppe: l nome (spincia in siciliano) deriva dal latino spongia, "spugna", oppure dall'in arabo: اسفنج, isfanǧ "spugna"). Questi nomi hanno origine dalla particolare forma di questo dolce, che si presenta come una frittella morbida e dalla forma irregolare, proprio come una vera e propria spugna. Nel Catanese, le zeppole di San Giuseppe sono dei dolci di riso preparati con farina, riso, miele d'arancio e zucchero a velo con cannella. Segnaliamo anche una curiosità nel Lazio, dove si preparano per tradizione bignè nei paesi dell'ex-Stato Pontificio e zeppole in quelli una volta appartenenti al Regno di Napoli.
Nel nord Italia invece, specie nella zona detta delle Quattro province (Piacenza, Pavia, Genova e Alessandria) e nella Val Trebbia è uso preparare le frittelle di San Giuseppe (in dialetto farsò) che si consumano nella festa che si conclude con un grande falò, che propizia la fine dell'inverno e l'inizio della primavera. Si tratta di un'usanza di derivazione celtica-ligure ancora oggi sopravvissuta ai tempi. Nella provincia di Bologna è tradizione preparare dei dolcetti denominati raviole. Comunque fosse, è bello ricordare questo straordinario santo, che ha fatto dell’amore paterno il suo tratto distintivo. Un amore incondizionato, fatto di affetto, ubbidienza e dono di sé: tutti valori che fanno di lui il più amato dei “patrigni”.