Pubblichiamo di seguito la traduzione di un interessante articolo di Peter Kwasniewski, QUI su New Liturgical Mouvement, in cui l'autore arriva a utili conclusioni: «[...] in una diocesi in cui un vescovo tentasse di limitare le "Messe private" a un sacerdote e a un ministrante, sarebbe lecito per un sacerdote celebrare una Missa sine populo senza ministrante (cioè una Missa solitaria) per una "giusta causa", come previsto dal Can. 906 (quale causa più giusta se non quella di perseguire la santità e l'onore di Dio secondo la sana tradizione rituale della Chiesa?), ma in modo tale che alcuni fedeli si trovino lì nello stesso momento per un motivo estraneo (ad esempio, si riunivano per recitare il Rosario). In questo caso, tutto sarebbe canonicamente corretto e la sentenza del vescovo, già errata per altri motivi, non troverebbe nemmeno materia per essere applicata».
Questa traduzione è stata realizzata grazie alle donazioni dei lettori di MiL.
Luigi
Può un Vescovo limitare una "Messa privata" nell'Usus Antiquior a un sacerdote e a un ministrante?
In alcune diocesi, Traditionis Custodes viene "applicata" in modi che vanno ben al di là di quanto richiesto dalla lettera della legge (come tale; P. Réginald-Marie Rivoire, nel suo magistrale trattato canonico, ha dimostrato che si tratta di una cattiva legge e di una peggiore teologia; si veda anche il mio articolo sui sacerdoti appena ordinati e il permesso di celebrare l'usus antiquior). Uno di questi modi è quando i vescovi tentano di ridefinire la "Messa privata" come una Messa alla quale sono presenti solo un sacerdote e un ministrante, e nessun altro.
Cominciamo con una questione canonica preliminare. Se un vescovo si limita a dire ai suoi sacerdoti che questa sarà la sua politica, o la comunica loro in modo informale, allora non è né valida né legalmente applicabile, e la ragione è data da una serie di canoni:
Can. 49. Un precetto singolare è un decreto che ingiunge direttamente e legittimamente a una o più persone specifiche di fare o omettere qualcosa, soprattutto per sollecitare l'osservanza della legge.
Can. 51. Il decreto deve essere emesso per iscritto, con le motivazioni espresse almeno sommariamente se si tratta di una decisione.
Can. 54. §1. Un decreto singolare la cui applicazione è affidata a un esecutore ha effetto dal momento dell'esecuzione; altrimenti, dal momento in cui è reso noto alla persona per autorità di colui che lo ha emesso. §2. Per essere eseguito, un decreto singolare deve essere reso noto con un documento legittimo secondo le norme di legge.
Can. 55. Fatte salve le prescrizioni dei cann. 37 e 51, quando un motivo molto grave impedisce la consegna del testo scritto di un decreto, il decreto si considera conosciuto se viene letto alla persona a cui è destinato in presenza di un notaio o di due testimoni. Una volta redatto un verbale di quanto avvenuto, tutti i presenti devono firmarlo.
Ciò che si evince da questi canoni è che il vescovo avrebbe dovuto presentare una tale limitazione dei diritti di un sacerdote per iscritto e promulgarla adeguatamente. Se un vescovo intende vietare qualcosa a cui un sacerdote ha altrimenti diritto, deve emetterlo per iscritto, perché deve essere il tipo di cosa in grado di essere contestata da coloro che ne sono interessati. Altrimenti, sarebbe solo una forma di bullismo: "Devi fare questo perché lo dico io", senza alcuna traccia cartacea. Ora, nel caso in questione (in cui un vescovo tenta di ridefinire una Messa privata), quale diritto di un sacerdote verrebbe violato?
Can. 906. Salvo una giusta e ragionevole causa, il sacerdote non può celebrare il Sacrificio Eucaristico senza la partecipazione di almeno qualche fedele.
Si noti che il Can. 906 richiede normalmente che ci sia "almeno qualche fedele", il che è volutamente aperto: potrebbe logicamente e legalmente includere diverse persone, anzi potrebbe includere una grande chiesa gremita fino all'inverosimile. Questo rimane vero per una Messa che un sacerdote libero celebra in qualsiasi giorno della settimana, in qualsiasi luogo legittimo e per qualsiasi motivo legittimo. Ciò include una Messa celebrata, per motivi appropriati, in una cappella laterale, in una scuola o in un centro di ritiro, nella cappella di una canonica, in una casa, ecc.
Ora, Papa Giovanni XXIII nel Codice delle Rubriche del 1960, n. 269 (e dopo di lui, Paolo VI nell'enciclica Mysterium Fidei, nn. 32-33) ha rifiutato il termine "Messa privata" perché una Messa per sua natura è un atto sociale - anche se detta da un sacerdote con un ministrante e nessun altro. Storicamente e giuridicamente, una "Missa privata" significava una Messa "privata" [participio passato del verbo privare, n.d.t.] della solennità o del cerimoniale, una Messa bassa su un altare laterale in contrasto con una Messa solenne conventuale. Solo più tardi e colloquialmente ha acquisito il senso di "non ufficiale, non programmata, non pubblicizzata". Tuttavia, possiamo ragionevolmente definire una Messa celebrata in una proprietà privata (non in una proprietà diocesana), non pubblicizzata al pubblico e senza sfarzo, come una "Messa privata"[1]. Non esiste alcuna norma canonica che vieti di farlo, né, per le ragioni esposte, potrebbe essere sufficiente un'istruzione meramente verbale da parte di un vescovo.
(Siamo chiari su questo punto: qualsiasi applicazione di Traditionis Custodes che non sia formalmente messa per iscritto in modo tale da poter essere valutata e contestata canonicamente non è valida di per sé e non può essere applicata).
È arbitrario limitare i ministranti a uno solo. Non c'è alcuna base canonica per un tale limite. Un sacerdote potrebbe avere uno, due o tre ministranti, o quanti ne sembrano convenienti. Allo stesso modo, è arbitrario specificare che può essere presente un ministrante ma non, ad esempio, tre laici che semplicemente assistono e pregano. A meno che il ministrante non sia ordinato all'ordine minore dell'accolitato o non abbia ricevuto il "ministero" dell'accolitato, il ministrante è semplicemente un laico che indossa la tonaca e la cotta e presta assistenza. Non ci sarebbe alcuna base oggettiva per il suddetto limite. Anzi, dato che il termine stesso di "Messa privata" è da evitare secondo il Codice delle Rubriche del 1960 (n. 269), si potrebbe considerare qualsiasi prescrizione formulata in termini di "Messa privata" come teologicamente scorretta, e quindi meritevole di essere ignorata.
Prima del 1958, il termine "missa privata", quando veniva usato dalla Santa Sede, portava con sé diverse valenze di significato: condizioni private, mancanza di solennità o di musica, ecc.[2] Posso solo supporre che un vescovo oggi potrebbe usarlo nel senso di Messa "sine populo", secondo la distinzione che esiste nei testi del Novus Ordo [3]. Questo concetto, tuttavia, non esiste per l'usus antiquior, ed è quindi inapplicabile.
Poiché la legislazione attuale non definisce la "Messa privata", un vescovo potrebbe sostenere che spetta a lui fare delle distinzioni (usando la nozione spesso citata a sproposito del vescovo come "capo liturgista" della sua diocesi), anche se la contro-argomentazione sarebbe che tali distinzioni sono praeter legem e al di là dell'autorità del vescovo. Un vescovo che proibisce la Messa Antica deve semplicemente essere contrastato. I sacerdoti dovrebbero continuare a celebrare la Messa. Se necessario, si può dire che "il Padre celebrerà una Messa privata alle 8.30 nella cappella della scuola. Le porte della cappella saranno aperte durante questa celebrazione privata della Messa".
Per inciso, se un vescovo osasse proibire ai sacerdoti di celebrare la Messa Tradizionale in latino da soli, la sua proibizione sarebbe del tutto nulla. Ai sensi del Can. 906 (e questo è un cambiamento rispetto al Can. 813 del Codice del 1917), un sacerdote è autorizzato a celebrare la Messa senza un ministrante o chiunque altro per una "giusta e ragionevole causa"[4]. Questo è stato a lungo inteso canonicamente per includere semplicemente il grande bene, per se stesso e per la Chiesa, del sacerdote che dice la Messa quotidiana.
Quindi, tenendo conto di tutto ciò che precede, ipoteticamente in una diocesi in cui un vescovo tentasse di limitare le "Messe private" a un sacerdote e a un ministrante, sarebbe lecito per un sacerdote celebrare una Missa sine populo senza ministrante (cioè una Missa solitaria) per una "giusta causa", come previsto dal Can. 906 (quale causa più giusta se non quella di perseguire la santità e l'onore di Dio secondo la sana tradizione rituale della Chiesa?), ma in modo tale che alcuni fedeli si trovino lì nello stesso momento per un motivo estraneo (ad esempio, si riunivano per recitare il Rosario). In questo caso, tutto sarebbe canonicamente corretto e la sentenza del vescovo, già errata per altri motivi, non troverebbe nemmeno materia per essere applicata.
NOTE
[2] Cfr. McManus, Handbook for the New Rubrics (Baltimora: Helicon, 1960), 106.
[3] "L'edizione rivista del Messale Romano promulgata da Papa Paolo VI nel 1969 presentava due forme di Ordinario della Messa: Ordo Missae cum populo e Ordo Missae sine populo.... L'Istruzione Generale del Messale Romano del 1970 trattava la prima di queste forme di celebrazione della Messa con i numeri 77-152, e la seconda con i numeri 209-231. Quest'ultima sezione iniziava con la spiegazione: "Questa sezione dà le norme per la Messa celebrata da un sacerdote con un solo servitore per assisterlo e per pronunciare le risposte". Nell'edizione riveduta e ampliata del 2002 dell'Istruzione generale, il termine Missa cum populo rimane come titolo per le informazioni fornite ai numeri 115-198, ma l'altra sezione (numeri 252-272) parla di Missa cuius unus tantum minister participat (Messa in cui partecipa un solo servitore). In corrispondenza di quest'ultima forma, il Messale presenta l'Ordo Missae cuius unus tantum minister participat (Ordine della Messa cui partecipa un solo servitore)". (fonte).
[4] P. Zuhlsdorf ne parla più diffusamente qui: https://wdtprs.com/2016/12/ask-father-can-priests-say-the-tridentine-mass-alone-without-a-server/.
Certo che può! So di messe “private” in cui sono stati fatti entrare di straforo i fedeli contro la volontà del vescovo.
RispondiEliminaInsomma, finché i tradizionalisti strumentalizzeranno la Messa per giustificare la loro riottosità e spirito di divisione, le reazioni non potranno che essere queste. Da una parte protestano di essere fedeli cattolici, dall’altra sono pronti a partire in crociata contro parroci e vescovi se questi non concedono il “diritto” di fare come pare a loro.
I vescovi possono fare ciò che desiderano nell'ambito della legge. Poi possono anche fare finta. Tanto...meglio per tutti non tenere conto del vescovo.
RispondiEliminaMi dici la differenza tra questa tua affermazione ed un qualunque pastore evangelico che si fa una chiesa tutta sua dicendo dal pulpito quello che gli passa per la testa senza dover render conto a nessuno?
EliminaMa continuate a definirvi cattolici? E i cattolici migliori degli altri? Papa? Vescovi? Parroci? Se non si piegano ai nostri comodi, basta ignorarli!
Rendiamoci conto.
Nessuna i nostri sono già contaminati dal germe protestante ed è solo questione di tempo e ci vedremo in attimo catapultati in una chiesa nuova protestante puritani pseudo eguaglianza sociale che oggi facciamo finta di non vedere per soggezione a quei vescovi che di per sé si sono già staccati dalla chiesa cattolica. È solo questione di tempo il male cova sotto l cenere.
EliminaPeccato! L'avevo già tradotta io il 21 gennaio
RispondiEliminahttps://roma-perenne.blogspot.com/2023/01/puo-un-vescovo-limitare-una-messa.html
Quando un Vescovo, impone di poter celebrare messa privatamente ad un sacerdote sospeso ,senza ministrante (per intenderci una messa normale) ma senza nessun decreto, ma solo parlato a voce? Aspetto vostre opinioni in merito
RispondiEliminaFa bene così non celebra la messa nuova e può dedicarsi ad imparare quella tridentina e vede che significano le catacombe
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