Post in evidenza

“Le Bibbie CEI 74 e CEI 2008 si dimenticano una piccola parola: Dio. E come sempre la Vulgata di San Girolamo resta la Bibbia più completa

Altre mende alle nuove traduzioni della S. Bibbia. Il caso di 1 Tess 2,16b. Luigi C. 03/12/2024 ,   Investigatore Biblico “E quelli che ball...

domenica 22 gennaio 2023

De Mattei. "Di fronte alla confusione che regna nella Chiesa" #benedettoxvi

Alcune utili riflessioni di Roberto de Mattei: "Come negare l’esistenza di una crescente confusione?"
Luigi

13-1-23
All’indomani delle esequie di Benedetto XVI, l’orizzonte che si profila in Vaticano ha i contorni indefiniti del caos. Il primo elemento di confusione, relativo al nome da attribuire al defunto ex-pontefice, è stato messo in luce proprio dal suo funerale. Quello di Benedetto XVI è evidentemente un nome di cortesia, perché dal 28 febbraio 2013, c’è un solo Papa in Vaticano, ed è Francesco, come lo stesso mons. Gänswein, segretario di Benedetto, ha più volte sottolineato in questi giorni. Più corretto, secondo i canonisti, sarebbe stato chiamarlo cardinale Josef Ratzinger, o forse monsignor Ratzinger, perché solo il titolo di vescovo imprime un carattere indelebile.
I funerali, certamente, non sono stati quelli di un Pontefice regnante. Lo dimostra non solo l’invito della Santa Sede limitato a due sole delegazioni ufficiali (Italia e Germania), ma anche piccoli dettagli, come la nota verbale diffusa il 31 gennaio agli ambasciatori, in cui si chiedeva loro di intervenire in «tenue de ville couleur sombre» (abito scuro) e non in abito da cerimonia. Questo «omaggio soft» ha spinto la vaticanista Franca Giansoldati a scrivere su Il Messaggero del 6 gennaio: «Il funerale più strambo della storia della Chiesa contemporanea avrebbe dovuto avere un protocollo davvero solenne ed essere accompagnato dal lutto vaticano, ma visto che Ratzinger non era più regnante non c’erano nemmeno le bandiere bianche e gialle a mezz’asta. Così come non c’era il picchetto di Guardie Svizzere accanto alla bara, e i gentiluomini che la portavano in spalla non avevano il frac. Solo il Decano di Sala indossava l’uniforme di gala».

D’altra parte, a questo funerale ridotto all’essenziale, ha fatto da contrappunto l’omaggio reso all’ex-Pontefice da oltre 200.000 fedeli che hanno voluto rendergli l’ultimo saluto nei tre giorni di esposizione della salma. Una manifestazione di folla che conferma la stima e l’affetto di cui ha sempre goduto Benedetto, ma che ha spinto i mass media a sottolineare l’esistenza di due “partiti” che si fronteggiano in Vaticano: “bergogliani” e “ratzingeriani”. Il funerale, come titola in prima pagina il quotidiano Libero del 5 gennaio, sarebbe stato una Resa dei conti tra Papi. Nico Spuntoni ha scritto da parte sua su Il Giornale dell’8 gennaio: «Come una tempesta perfetta, nei giorni dell’esposizione della salma e delle esequie di Benedetto XVI sono circolate le anticipazioni di un libro (Nient’altro che la verità, edizioni Piemme) e di un’intervista del suo fedele segretario particolare, monsignor Georg Gänswein, nelle quali si esplicitava lo choc per essere stato “dimezzato” tre anni fa nel ruolo di prefetto della Casa Pontificia all’indomani delle polemiche suscitate dal libro a difesa del celibato sacerdotale del cardinale Robert Sarah e che vedeva Ratzinger come co-autore. Altrettanto rumore ha provocato una risposta di Gänswein, su Traditionis Custodes, il documento con cui Francesco ha di fatto abrogato la liberalizzazione concessa nel 2007 alla cosiddetta messa tridentina: “Credo che papa Benedetto abbia letto questo motu proprio con dolore nel cuore”, ha affermato l’arcivescovo tedesco al quotidiano Die Tagespost. Gänswein è stato duramente attaccato da alcuni addetti ai lavori. Le rivelazioni del “prefetto dimezzato” hanno fatto parlare di divisioni nella Chiesa destinate a riacutizzarsi dopo la morte di Benedetto XVI. E in effetti, ormai persino alcuni cardinali e vescovi hanno ammesso l’esistenza di tensioni».

L’8 gennaio un articolo di Massimo Franco sul Corriere della Sera ha come titolo Il fronte dei tradizionalisti per opporsi a Francesco dopo l’addio a Ratzinger. Tra i principali esponenti di questo fronte, Franco cita, oltre a mons Gänswein, il cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Fede e il nuovo presidente dei vescovi americani Timothy Broglio. Sullo stesso quotidiano, che esprime la voce dell’establishment progressista, Gian Guido Vecchi, scrive che «nel sottobosco dell’opposizione tradizionalista a Francesco monta il tentativo post mortem di usare Benedetto XVI come un vessillo e creare un conflitto tra “i due papi” che nella realtà non c’è stato» (Corriere della Sera, 10 gennaio).

La manovra è evidentemente quella di attribuire ai conservatori la responsabilità di uno scontro, che oggi ha in realtà i suoi principali artefici nei vescovi tedeschi, impegnati nel loro “Cammino sinodale”. Nessuna responsabilità viene addossata a papa Francesco, il quale, malgrado la grave malattia che ne mina le forze, continua a usare il pugno di ferro, come ha fatto il giorno dell’Epifania azzerando il potere del Vicariato di Roma, con la costituzione apostolica In ecclesiarum communione. Il contenuto dell’incontro che il 9 gennaio il Papa ha avuto con mons. Gänswein è ignoto, ma certamente aumenta l’incertezza. Inoltre, la morte inaspettata del cardinale George Pell, il 10 gennaio, creerà nuovi problemi al fronte conservatore. Il cardinale australiano, uscito prosciolto da ogni accusa giudiziaria, aveva una forte personalità e per le sue capacità organizzative avrebbe potuto svolgere un ruolo importante nel pre-conclave che molti vedono ormai vicino, nel caso di morte o di rinuncia di papa Francesco. D’altra parte, tra i “papabili”, ricorda mons, Gänswein, «anche molti di quelli che vengono considerati esponenti più “liberali”, per utilizzare un termine di comprensione comune, furono promossi a ruoli importanti proprio durante il suo (di Benedetto XVI ndr) pontificato» (Nient’altro che la verità, pp. 124-125). Tra i nomi indicati dal Prefetto della Casa Pontificia ci sono i principali cardinali del fronte progressista, quali Jean Claude Hollerich (arcivescovo di Lussemburgo, 2011), Luis Antonio Tagle (arcivescovo di Manila, 2011) e Matteo Maria Zuppi (vescovo ausiliare di Roma, 2012). Lo spartiacque tra “ratzingeriani” e “bergogliani” non è dunque così chiaro. Come negare l’esistenza di una crescente confusione? E cos’altro fare, in questa situazione, se non limitarsi a vivere e a operare giorno per giorno, in spirito di piena fedeltà alla Chiesa e di totale abbandono alla Divina Provvidenza?