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mercoledì 18 gennaio 2023

Bergamo: sul quotidiano locale, articolo ed intervista di presentazione del coetus fidelium

Con piacere vi proponiamo l’articolo di Luigi de Martino sul coetus fidelium di Bergamo ed intervista al signor  Giuseppe Beretta del Comitato Summorum Pontificum di Bergamo, pubblicato su PrimaBergamo venerdì 13 gennaio 2023, a pochi giorni dal 15º anniversario delle celebrazioni ininterrotte (10 febbraio 2023).
Ne emergono tratti noti a chi frequenta le Sante Messe tradizionali senza pregiudizi: circa 150 fedeli per ciascuna delle due Messe domenicali ed un comitato che «non si limita alle celebrazioni, ma promuove anche iniziative culturali» in cui «non ci sono preti, ma solo laici», perché «i preti qui sono al servizio del popolo».
Inutile sottolineare come, per il giornalista, «l’aspetto più sorprendente è però l’età di questi cristiani della tradizione: ti aspetti gente molto su con gli anni e invece a frequentare la Messa in latino sono per lo più giovani dai venti ai trent’anni. Persone che del Concilio hanno solo sentito parlare vagamente».
A coronamento dell’articolo, l’intervista al signor Giuseppe Beretta, tra i fondatori del coetus fidelium quindici anni fa ed esponente di punta del Comitato Summorum Pontificum di Bergamo, racconta la sua esperienza; e sintetizza con un aforisma di Gómez Dávila: «Non faccio parte di un mondo che decade. Io prolungo e trasmetto una verità che non muore».

L.V.


Chi sono i cattolici tradizionalisti a Bergamo? Quanti sono? Dove si ritrovano?

Cominciamo dall’ultima domanda. La “loro” chiesa è San Bernardino in via Pignolo, quella all’angolo con via Verdi che come pala d’altare vanta quello che forse è il più grande capolavoro di Lorenzo Lotto: la tela “Madonna in trono con il Bambino e i santi Giuseppe, Bernardino, Giovanni Battista, Antonio Abate e angeli”. Una piccola chiesa con un grande tesoro: l’angioletto che ai piedi della Madonna segna su un libretto le suppliche dei fedeli per poi riferirne al piano superiore è un’immagine talmente bella da togliere il fiato. È in questa chiesetta che, dopo il periodo difficile del Covid, ogni domenica si celebra la Messa in latino consentita nel 2007 da Papa Benedetto XVI. Prima del Covid la chiesa di elezione dei nostalgici del rito era quella della Madonna della Neve in via Camozzi. La necessità di mantenere il distanziamento ha però richiesto un luogo più grande e Madonna della Neve è stata riservata ai cattolici ucraini. Trasferiti in San Bernardino, i tradizionalisti hanno raddoppiato l’offerta e le Messe sono diventate due per ogni festa comandata, alle 9 e alle 10:30 [ed il venerdì e altre feste alle 20, N.d.R.]. A celebrarle i due cappellani ai quali i vescovi Amadei prima, e Beschi poi, hanno chiesto di seguire questa piccola ma orgogliosa comunità: don Battista Ferrari e don Michele Carrara, dei Preti del Sacro Cuore.

Quanti sono gli irriducibili della Messa in latino? Pochi, circa 150 [per ciascuna delle due Messe domenicali, N.d.R.]. Ma le sorprese non mancano. Tra di loro c’è un gruppetto organizzato che si chiama come il motu proprio con il quale Papa Ratzinger aveva autorizzato la Messa in rito antico: Summorum Pontificum. E già il nome mette une certa soggezione. Questo gruppo, una quindicina di persone guidate dall’avvocato Lorenzo Vitali, non si limita alle celebrazioni, ma promuove anche iniziative culturali, l’ultima delle quali è stata una dotta conferenza sulla Battaglia di Lepanto (1571), che vide trionfare i cristiani della Lega Santa contro i musulmani dell’Impero Ottomano. Gli altri partecipanti sono semplici fedeli che apprezzano il rito preconciliare, una liturgia che ha accompagnato la storia della Chiesa per 1500 anni. La seconda sorpresa è che tra i tradizionalisti non ci sono preti, ma solo laici. I preti qui sono al servizio del popolo. Non come avviene di norma nelle parrocchie, dove sono i sacerdoti a dirigere tutta l’organizzazione. I fedeli della Messa in latino sono una realtà variegata: singoli e famiglie, che provengono da tutta la provincia, ma anche da diocesi diverse dalla nostra nelle quali i vescovi non hanno autorizzato il rito antico. E ci sono persone che tranquillamente una domenica frequentano nella loro parrocchia e la domenica successiva a San Bernardino. L’aspetto più sorprendente è però l’età di questi cristiani della tradizione: ti aspetti gente molto su con gli anni e invece a frequentare la Messa in latino sono per lo più giovani dai venti ai trent’anni. Persone che del Concilio hanno solo sentito parlare vagamente.

Che cosa vanno cercando questi giovani nel ritorno al passato? Qualcosa di certo, di solido, di non improvvisato secondo i gusti e i pensieri (per lo più sociali) del prete di turno: «Non esistono solo i migranti – dicono –, ci siamo anche noi». Con gli adulti che trovano accanto nei banchi della chiesa, condividono l’idea che uno degli aspetti più affascinanti del rito antico è che non è importante comprendere ogni parola, ma che la Messa sia prima di tutto una preghiera che introduce al mistero. Il celebrante è girato verso l’altare, cioè verso Dio, e i fedeli rispondono con un dialogo limitato all’essenziale per rispettare la sacralità del gesto. La consacrazione, ad esempio, è recitata dal sacerdote sottovoce e nella chiesa vige un grande silenzio. Oltre alla liturgia, gli altri aspetti su cui i cattolici tradizionalisti insistono sono la morale e la dottrina.

Un pesante altolà alla diffusione del rito antico, introdotto da Papa Ratzinger anche per riportare nella chiesa gli scismatici lefevriani [lefebvriani, N.d.R.], è arrivato da Papa Francesco nel 2021 con il motu proprio “Traditionis custodes”. Un colpo di freno che però non ha turbato più di tanto i tradizionalisti bergamaschi, che si sono sempre mossi nel rispetto dell’autorità ecclesiastica, portano avanti un calendario fissato in accordo con la Curia e dispongono di un luogo dedicato per le celebrazioni. Insomma, sono una piccola minoranza che cammina nel grande alveo della chiesa. Certo, non mancano alcuni estremisti, ma questo, dicono, accade in ogni realtà. La gran parte, comunque, sono persone con simpatie “di destra”, conservatrici, con una sensibilità diversa e idee diverse da quelle della maggioranza dei fedeli cattolici. Il che non è di per sé un male. Guardati con sospetto – “tridentino” e “preconciliare” sono gli epiteti con cui vengono etichettati, per loro delle medaglie al merito –, ricambiano con altrettanto sospetto: forse il loro difetto più grande è quello di credersi l’unica autentica chiesa, una tentazione in ogni caso comune a molti nel variegato mondo cattolico. I “principi non negoziabili” sono i loro cavalli di battaglia, in particolare la difesa della vita, della famiglia naturale, l’educazione e il rifiuto dell’ideologia gender. Nel solco della tradizione, vogliono bene al Papa.

* * *

«In queste celebrazioni ho avvertito il respiro del sacro, il senso del mistero»

Ha 59 anni, è di Alzano, lavora in campo medicale ed è padre di tre figli («Sarebbero quattro, ma uno è morto nel grembo della mamma»). Giuseppe Beretta è un esponente di punta del Comitato Summorum Pontificum di Bergamo. Un cattolico tradizionalista che non ama sentirsi definire tale: «Sono cattolico, e questo dovrebbe bastare. La Chiesa ha la tradizione nel sangue. Ci sono interi capitoli del catechismo nei quali si parla di questo. La Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione e il Magistero, unite, formano la struttura portante della Chiesa, se si toglie o si assolutizza uno di questi tre pilastri siamo nell’eresia».

Ma lei come ci è arrivato alla Messa tradizionale in latino?

«L’ho conosciuta tramite Alleanza Cattolica. E quando Papa Benedetto XVI l’ha autorizzata, insieme ad altri sono andato a chiedere al vescovo, allora era monsignor Amadei, di poter avere anche a Bergamo la Messa in latino».

Come reagì monsignor Amadei?

«In prima battuta ci disse no. Ci appellammo allora alla Commissione pontificia Ecclesia Dei, istituita da Papa Ratzinger proprio per aiutare gruppi di fedeli come il nostro. Qualche mese dopo il vescovo tornò sui suoi passi. E da quel momento fu esemplare: volle che il luogo della celebrazione fosse dignitoso e ci mise a fianco sacerdoti che comprendevano e apprezzavano la nostra sensibilità liturgica. Tutto questo h creato una grande armonia».

E il nuovo vescovo?

«Appena arrivato, monsignor Beschi ci disse che la Messa tradizionale per lui era una grande opportunità di bene e ha confermato quanto aveva deciso il predecessore».

Ma non vi sembra di appartenere a un mondo finito?

«Le rispondo con un aforisma di Gomez d’Avila [Gómez Dávila, N.d.R.]: “Non faccio parte di un mondo che decade. Io prolungo e trasmetto una verità che non muore”».

Quantomeno siete nostalgici…

«C’è la nostalgia buona e la nostalgia cattiva. Nel mio caso però non si può parlare di nostalgia, perché quando venne introdotta la riforma liturgica avevo sei anni, quindi non ho mai conosciuto il mondo di prima. Io non avevo nostalgia di un rito, ho scoperto un rito».

Che cosa ha scoperto?

«Un tesoro che mi ha fatto bene, mi rende contento. All’inizio ero talmente entusiasta che il sacerdote mi diceva: “Adesso sei così, ma poi l’abitudine ti porterà ad affievolirti”. Dopo quindici anni posso dire che non vedo l’ora che arrivi la domenica per andare a Messa. E come me, altri. A quanti altri capita un’esperienza così? In genere uno si aspetta che la Messa finisca, non che cominci».

Non ne perde una, insomma.

«Il mio hobby è tirare con l’arco da campagna nei boschi. Ho smesso di partecipare alle gare perché erano di domenica mattina».

Chi sono gli altri che partecipano alla Messa in latino?

«Arriva di tutto, dal tatuato al catechista di parrocchia, dal professore all’uomo che ha vissuto le esperienze più disparate. In questi anni ho visto come molte persone si sono avvicinate o sono ritornate alla fede tramite la frequentazione della Messa tradizionale. Credo che anche noi possiamo essere un buon mezzo per la nuova evangelizzazione richiesta da San Giovanni Paolo II».

Ma cos’è che le piace tanto nella liturgia tradizionale?

«Il silenzio e il momento della consacrazione. Ma tutta la Messa è di una ricchezza incredibile. Non bisogna mettersi nell’ansia moderna di comprendere ogni cosa, si partecipa anzitutto per adorare, per ringraziare, per chiedere le grazie e invocare perdono. Questi sono i quattro fini del rito, che è un atto di culto fatto da una comunità a Dio. A chi arriva per la prima volta consiglio di lasciar comandare il cuore. Qualcuno coglierà la devozione del sacerdote, qualcun altro sarà colpito da come prega il vicino di banco, altri ancora dal canto gregoriano o dalla bellezza e cura di ogni particolare. Però poi la Messa è anche da capire e per questo su YouTube [youtube.com/summorumpontificumbergamo, N.d.R.] abbiamo pubblicato una catechesi per spiegare preghiere, gesti e parole».

Cantate solo il gregoriano?

«No, anche canti italiani molto belli».

Pure le letture si fanno in latino?

«Papa Francesco ha chiesto che si facciano in italiano, e al Papa si obbedisce. Ricordando che la nostra non è un’obbedienza cieca e assoluta ma legata alla Verità».

Obbedite un po’ a malincuore…

«La Chiesa è in mano al Padreterno. Quello che interessa a noi è andare in Paradiso e salvare l’anima. Per il resto ognuno deve fare del proprio meglio».

Che cosa non le piace delle Messe attuali celebrate nelle parrocchie?

«Quello che mi manca di più è che il Signore non sia al centro, prevale spesso l’aspetto comunitario».

I suoi figli cosa pensano di questa sua spiccata religiosità?

«Ormai sono grandi e (ride, ndr) nemo propheta in famiglia. Ogni ragazzo ha la sua strada, l’unica cosa che dico loro è: “Andate a Messa. Dove volete, ma tenetevi legati al Signore».

Sua moglie partecipa?

«Sì, ha condiviso tantissime scelte della mia vita. Tutte le domeniche scendiamo insieme alla chiesa di San Bernardino».

Lei è cresciuto in una famiglia cattolica?

«Sì, come quasi tutti i bergamaschi. Ma mio papà è morto quando avevo nove anni e la mia grande fortuna è stato lo scoutismo. Diversi capi scout mi hanno aiutato a crescere e a maturare. Poi da ragazzo ho preso anch’io le mie sbandate, che pian piano ho recuperato. Ma mi lasci dire un’ultima cosa».

Prego.

«È un aneddoto che racconto ai ragazzi. Auguro a tutti di non arrivare alle porte del Paradiso come quel tale che per paura di sporcarsi non ha mai fatto un tubo. Al Signore ha mostrato le mani dicendo: “Guarda, sono pulite”. E si è sentito rispondere: “Sì, ma sono anche vuote”».

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