Return to Order – un manifesto di economia che compie 10 anni. Post #2
SEZIONE I
Il sistema
economico globale si trova in una fase di forte e perdurante difficoltà
nonostante lo si sia “drogato” con un forte indebitamento pubblico e privato e
attraverso una consistente emissione di liquidità ad opera delle banche
centrali. L’autore identifica la causa di questo deragliamento in un’intemperanza
frenetica (“frenetic intemperance”):
- - da parte dei privati visto che la quantità ha iniziato a prevalere sulla qualità, l’utilità sulla bellezza e la necessità sullo spirito,
- - e da parte delle amministrazioni pubbliche in quanto lo stato liberale, lontano dal favorire il libero mercato[1], finisce per invadere ogni ambito economico e privato.
Questa intemperanza
frenetica, è anzitutto una propensione spirituale e psicologica, consolidata
da diversi secoli di processo rivoluzionario e che manifesta i suoi cascami in
anche in economia.
L’uomo moderno
rifiuta l’idea di sacrificio illudendosi di un successo facile, in stile
Hollywood, in cui i desideri travalicano i confini della legittimità. Questo
desiderio smodato è esploso con la Rivoluzione Industriale, sebbene vada
riconosciuto che a questa ne siano seguiti anche parecchi benefici (tuttavia,
alcuni di questi derivano dall’eredità del sistema che la precede). L’economia
assume così un ruolo prioritario: il sistema creditizio aumenta a dismisura e l’anelito
al Paradiso viene svilito alla dimensione materiale.
Quest’intemperanza
frenetica guida l’economia verso un fenomeno di “gigantismo” con
enormi gruppi industriali o gruppi di gruppi. Tale gigantismo non è
necessariamente un fenomeno negativo (es. nel caso di necessità di forti economie
di scala o di competenze tecniche molto settoriali) però comporta spesso un
dinamismo disordinato, una minore resilienza del sistema, manipolazioni e danni
sul mercato, operazioni di lobby sugli stati e contrattazioni a livello di
imposte a cui non riescono ad accedere le piccole imprese. Tali mostri
aziendali rischiano di ridurre la persona a mera cifra e preparano la via per un
capitalismo di stato in cui quest’ultimo, come prestatore di ultima istanza,
finisce per controllare buona parte dei mezzi di produzione o, quanto meno, nel
creare una collusione. Il gigantismo ha luogo e prospera grazie al un
fenomeno di omologazione delle masse e dei prodotti in cui viene eliminata ogni
sostanziale diversità. Un numero infinito di offerte standardizzate finisce
infine per soffocare l’individuo dalle troppe decisioni superficiali.
Lungi dal
sorgere esclusivamente da uno spontaneo processo di emancipazione, questi
fenomeni, storicamente, sono stati artificialmente alimentati dagli stati che
hanno esautorato la Chiesa e gli altri corpi intermedi di poteri e capitali con
il pretesto che questi avrebbero disturbato l’attività del libero mercato e
dello Stato. Corporazioni, prassi e common law sono esempi di
istituzioni nate dal basso e demolite dallo Stato moderno. Le opere di “carità”
sono state centralizzate nelle mani di burocrati. Assieme a ciò, il processo rivoluzionario
ha demolito nell’uomo la consapevolezza di dover anteporre a qualsiasi autorità
il rispetto di quanto disposto con la Rivelazione ed ha smantellato quegli
atteggiamenti di coraggio, cortesia, giustizia e carità che arginavano l’utilizzo
smodato del potere da parte dello stato e di una certa idea di libero mercato.
Per colpa di queste misure, siamo ora soggetti a vulnerabilità fonti di forte fragilità:
il più piccolo errore ad opera di un pianificatore statale o di una grande
multinazionale, può essere oggetto di enormi danni per la collettività.
Con questa intemperanza
frenetica, le speranze che erano riposte nella Provvidenza, si indirizzano
ora in un cieco fideismo verso la tecnologia. La fede spropositata nella
macchina tende a trasformare l’uomo in un ingranaggio invece che in una parte
di un organismo (un esempio è il processo di burocratizzazione). Anche la
storia perde di significato e tutto viene spiegato come un flusso cieco e un susseguirsi
causale. La tecnologia e la frenesia moderne hanno spostato il focus dell’uomo
dalla contemplazione alla sensazione, l’immediatezza e l’impatto. A livello
individuale, le stesse giornate, stracolme di impegni, sembrano volare senza
senso e senza significato. Anche l’arte subisce questo fenomeno: le città
moderne con i loro grattacieli comunicano fredda inumanità, mancanza di
proporzioni e sterilità. La cultura di massa pulisce il campo dalle differenze
culturali e quel poco che ne resta, è ridotto ad inutile folklore.
Ciò che più ha
contribuito a quest’intemperanza frenetica, è l’individualismo. Teorizzato
inizialmente da Thomas Hobbes, presuppone che la preservazione di sé e dei
propri interessi sia considerata come il diritto più inalienabile e fonte di
moralità e giustizia. Si rottama così l’idea di comunità volta alla perfezione
dei propri individui ed ognuno diventa misura soggettiva del male e del bene, ritirandosi
in un glorioso ma terrificante isolamento.
Da qui, il
paradosso: l’individuo moderno, libero da tradizioni e legami famigliari e
sociali, diventa dipendente da nuove forme di integrazione che lo fanno
omologare all’interno della massa della società. Su questa insicurezza
dell’uomo moderno punta il marketing, che promette di regalare felicità, amore
e gioia in cambio dell’acquisto dei prodotti che promuove. Nel mondo
individualista, le associazioni sono incoraggiate purché siano relazioni
deliberatamente superficiali (fanclub di calcio, fumetti, cosplay…) e che non
definiscano e sviluppino profondamente la persona (come la famiglia, la
chiesa…). In questo modo tutte le dimensioni intermedie tra lo stato e
l’individuo vengono sterilizzate e neutralizzate. L’individualismo post-moderno
punta poi ad un livello di demolizione ulteriore: alla disintegrazione dello
stesso atomo-individuo per quanto attiene alla sua logica, identità ed unità.
La società
materialistica boccia ciò che è vero, bello e buono per far passare solo ciò
che è utile. Tante virtù vengono declassate come inutili (umiltà, modestia, fedeltà…)
a favore di un piano valoriale più borghese e commerciale come onestà,
moderazione e utilità. Questo tipo di paradiso in terra finisce inevitabilmente
per frustrare le aspirazioni dell’uomo negandogli ogni relazione con il
metafisico. Anzi: il giocare sull’insoddisfazione del presente per potersi
gratificare con un maggiore consumo è uno degli attuali obiettivi del
marketing. La sofferenza non ha significato e deve essere necessariamente
eliminata, evitata o quanto meno nascosta; un’implicazione pratica è l’inadeguata
trasmissione di educazione ai figli per evitare che possano soffrire quando
puniti.
Quanto è
sublime viene cancellato dalla società e questo causa infelicità, nonostante le
mille opportunità di intrattenimento, piacere ed eccitamento. Gli slanci che
normalmente sarebbero indirizzati al metafisico, dagli anni ’60 in poi vengono
saziati da droga, sette religiose o hobby morbosi quanto inutili.
I rapporti di
lavoro risultano sempre più impersonali, scomparendo così i rapporti costruiti
ad immagine di quelli famigliari. Lo Stato assiste a un processo di
“socialistizzazione” dovuto al fatto che il mercato necessita di essere sempre
più normato: non basta più l’onestà che normalmente blindava un accordo siglato
da una stretta di mano. Infine, alimentata da quest’intemperanza, la
speculazione diventa nevrotica, forte di poter sempre contare su un salvataggio
da parte delle banche centrali che si propongono come salvatrici di istituzioni
gigantesche, too big to fail.
Da tutto ciò ne
sorge di un nuovo “ordine del denaro” (rule of money), in cui la
quantità vince sulla qualità, l’utilità sulla bellezza e l’uso sullo spirito.
[1]
“Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo
fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e
della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera
creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva,
anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d'impresa», o di
«economia di mercato», o semplicemente di «economia libera». Ma se con
«capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia
non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della
libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di
questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è
decisamente negativa” [CENTESIMUS ANNUS
DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II]