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giovedì 15 dicembre 2022

Return to Order – un manifesto di economia che compie 10 anni. Parte 2

"Return to Order" è un libro che compie 10 anni; scritto dal vice-president USA della TFP, John Horvat, è un libro-manifesto per la proposta di un nuovo ordine economico di impronta ed ispirazione cattolica. L'amico Gabriele, la scorsa settimana, ci ha presentato ed introdotto il testo; in questo secondo post pubblichiamo la prima sezione; tra una settimana seguirà la seconda sezione e tra due settimane un'intervista all'autore in esclusiva per Messa in Latino. Buona lettura!
Luigi

Return to Order – un manifesto di economia che compie 10 anni. Post #2 


SEZIONE I

Il sistema economico globale si trova in una fase di forte e perdurante difficoltà nonostante lo si sia “drogato” con un forte indebitamento pubblico e privato e attraverso una consistente emissione di liquidità ad opera delle banche centrali. L’autore identifica la causa di questo deragliamento in un’intemperanza frenetica (“frenetic intemperance”):

-        -  da parte dei privati visto che la quantità ha iniziato a prevalere sulla qualità, l’utilità sulla bellezza e la necessità sullo spirito, 

-      -  e da parte delle amministrazioni pubbliche in quanto lo stato liberale, lontano dal favorire il libero mercato[1], finisce per invadere ogni ambito economico e privato.

Questa intemperanza frenetica, è anzitutto una propensione spirituale e psicologica, consolidata da diversi secoli di processo rivoluzionario e che manifesta i suoi cascami in anche in economia.

L’uomo moderno rifiuta l’idea di sacrificio illudendosi di un successo facile, in stile Hollywood, in cui i desideri travalicano i confini della legittimità. Questo desiderio smodato è esploso con la Rivoluzione Industriale, sebbene vada riconosciuto che a questa ne siano seguiti anche parecchi benefici (tuttavia, alcuni di questi derivano dall’eredità del sistema che la precede). L’economia assume così un ruolo prioritario: il sistema creditizio aumenta a dismisura e l’anelito al Paradiso viene svilito alla dimensione materiale.

Quest’intemperanza frenetica guida l’economia verso un fenomeno di “gigantismo” con enormi gruppi industriali o gruppi di gruppi. Tale gigantismo non è necessariamente un fenomeno negativo (es. nel caso di necessità di forti economie di scala o di competenze tecniche molto settoriali) però comporta spesso un dinamismo disordinato, una minore resilienza del sistema, manipolazioni e danni sul mercato, operazioni di lobby sugli stati e contrattazioni a livello di imposte a cui non riescono ad accedere le piccole imprese. Tali mostri aziendali rischiano di ridurre la persona a mera cifra e preparano la via per un capitalismo di stato in cui quest’ultimo, come prestatore di ultima istanza, finisce per controllare buona parte dei mezzi di produzione o, quanto meno, nel creare una collusione. Il gigantismo ha luogo e prospera grazie al un fenomeno di omologazione delle masse e dei prodotti in cui viene eliminata ogni sostanziale diversità. Un numero infinito di offerte standardizzate finisce infine per soffocare l’individuo dalle troppe decisioni superficiali.

Lungi dal sorgere esclusivamente da uno spontaneo processo di emancipazione, questi fenomeni, storicamente, sono stati artificialmente alimentati dagli stati che hanno esautorato la Chiesa e gli altri corpi intermedi di poteri e capitali con il pretesto che questi avrebbero disturbato l’attività del libero mercato e dello Stato. Corporazioni, prassi e common law sono esempi di istituzioni nate dal basso e demolite dallo Stato moderno. Le opere di “carità” sono state centralizzate nelle mani di burocrati. Assieme a ciò, il processo rivoluzionario ha demolito nell’uomo la consapevolezza di dover anteporre a qualsiasi autorità il rispetto di quanto disposto con la Rivelazione ed ha smantellato quegli atteggiamenti di coraggio, cortesia, giustizia e carità che arginavano l’utilizzo smodato del potere da parte dello stato e di una certa idea di libero mercato. Per colpa di queste misure, siamo ora soggetti a vulnerabilità fonti di forte fragilità: il più piccolo errore ad opera di un pianificatore statale o di una grande multinazionale, può essere oggetto di enormi danni per la collettività.

Con questa intemperanza frenetica, le speranze che erano riposte nella Provvidenza, si indirizzano ora in un cieco fideismo verso la tecnologia. La fede spropositata nella macchina tende a trasformare l’uomo in un ingranaggio invece che in una parte di un organismo (un esempio è il processo di burocratizzazione). Anche la storia perde di significato e tutto viene spiegato come un flusso cieco e un susseguirsi causale. La tecnologia e la frenesia moderne hanno spostato il focus dell’uomo dalla contemplazione alla sensazione, l’immediatezza e l’impatto. A livello individuale, le stesse giornate, stracolme di impegni, sembrano volare senza senso e senza significato. Anche l’arte subisce questo fenomeno: le città moderne con i loro grattacieli comunicano fredda inumanità, mancanza di proporzioni e sterilità. La cultura di massa pulisce il campo dalle differenze culturali e quel poco che ne resta, è ridotto ad inutile folklore.

Ciò che più ha contribuito a quest’intemperanza frenetica, è l’individualismo. Teorizzato inizialmente da Thomas Hobbes, presuppone che la preservazione di sé e dei propri interessi sia considerata come il diritto più inalienabile e fonte di moralità e giustizia. Si rottama così l’idea di comunità volta alla perfezione dei propri individui ed ognuno diventa misura soggettiva del male e del bene, ritirandosi in un glorioso ma terrificante isolamento.

Da qui, il paradosso: l’individuo moderno, libero da tradizioni e legami famigliari e sociali, diventa dipendente da nuove forme di integrazione che lo fanno omologare all’interno della massa della società. Su questa insicurezza dell’uomo moderno punta il marketing, che promette di regalare felicità, amore e gioia in cambio dell’acquisto dei prodotti che promuove. Nel mondo individualista, le associazioni sono incoraggiate purché siano relazioni deliberatamente superficiali (fanclub di calcio, fumetti, cosplay…) e che non definiscano e sviluppino profondamente la persona (come la famiglia, la chiesa…). In questo modo tutte le dimensioni intermedie tra lo stato e l’individuo vengono sterilizzate e neutralizzate. L’individualismo post-moderno punta poi ad un livello di demolizione ulteriore: alla disintegrazione dello stesso atomo-individuo per quanto attiene alla sua logica, identità ed unità.

La società materialistica boccia ciò che è vero, bello e buono per far passare solo ciò che è utile. Tante virtù vengono declassate come inutili (umiltà, modestia, fedeltà…) a favore di un piano valoriale più borghese e commerciale come onestà, moderazione e utilità. Questo tipo di paradiso in terra finisce inevitabilmente per frustrare le aspirazioni dell’uomo negandogli ogni relazione con il metafisico. Anzi: il giocare sull’insoddisfazione del presente per potersi gratificare con un maggiore consumo è uno degli attuali obiettivi del marketing. La sofferenza non ha significato e deve essere necessariamente eliminata, evitata o quanto meno nascosta; un’implicazione pratica è l’inadeguata trasmissione di educazione ai figli per evitare che possano soffrire quando puniti.

Quanto è sublime viene cancellato dalla società e questo causa infelicità, nonostante le mille opportunità di intrattenimento, piacere ed eccitamento. Gli slanci che normalmente sarebbero indirizzati al metafisico, dagli anni ’60 in poi vengono saziati da droga, sette religiose o hobby morbosi quanto inutili.

I rapporti di lavoro risultano sempre più impersonali, scomparendo così i rapporti costruiti ad immagine di quelli famigliari. Lo Stato assiste a un processo di “socialistizzazione” dovuto al fatto che il mercato necessita di essere sempre più normato: non basta più l’onestà che normalmente blindava un accordo siglato da una stretta di mano. Infine, alimentata da quest’intemperanza, la speculazione diventa nevrotica, forte di poter sempre contare su un salvataggio da parte delle banche centrali che si propongono come salvatrici di istituzioni gigantesche, too big to fail.

Da tutto ciò ne sorge di un nuovo “ordine del denaro” (rule of money), in cui la quantità vince sulla qualità, l’utilità sulla bellezza e l’uso sullo spirito.



[1] “Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d'impresa», o di «economia di mercato», o semplicemente di «economia libera». Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa” [CENTESIMUS ANNUS  DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II]