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sabato 22 ottobre 2022

Un curioso legame: letteratura e Dottrina Sociale della Chiesa

Un interessante percorso letterario dell'amico Fabio Trevisan.
Consigli di lettura per cattolici tridentini.
Luigi


È uscito il fascicolo n. 3 del 2022 del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, la rivista monografica trimestrale del nostro Osservatorio. Il numero, curato da Fabio Trevisan che in questo articolo lo presenta, contiene una serie di studi su alcune eminenti figure letterarie alla ricerca nelle loro opere di riflessioni su tematiche care alla Dottrina sociale. Invitiamo a vedere l’indice completo QUI dove si possono trovare anche le indicazioni per l’acquisto.
La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre avuto la capacità di rispondere, con i suoi principi e valori fondamentali, ai vari ambiti del vissuto umano e sociale, compreso quello letterario. La grande letteratura si è posta in un rapporto di reciproca influenza con la Dottrina sociale e il Magistero della Chiesa e questo numero del Bollettino ne evidenzia l’apporto e il mutuo contributo, attraverso la disamina di alcuni autori, cattolici e non, provenienti da diverse aree del mondo. La fecondità di questo rapporto tra Letteratura e Dottrina sociale della Chiesa non solo ci permette di scoprire alcuni elementi magari poco conosciuti degli autori trattati, ma ci dà la possibilità di cogliere più in profondità quella circolarità tra fede e ragione che alimenta il percorso letterario, la ricerca e la crescita umana e spirituale. L’intento di questo fascicolo è quindi quello, al di là dell’impossibile pretesa esaustiva di considerare gli innumerevoli aspetti del confronto/rapporto “letteratura e Dottrina sociale della Chiesa”, di verificare quanto alcuni temi della grande letteratura possono farci maggiormente comprendere i principi e i valori proposti dalla dottrina sociale e, viceversa, quanto questi stessi argomenti possano essere stati mutuati dall’insegnamento sociale della Chiesa.

Sub speciae aeternitatis

La scrittrice statunitense Flannery O’Connor ha assunto, nella sua opera, la prospettiva di guardare il mondo attraverso la categoria sub speciae aeternitatis mettendo in gioco la propria libertà e facendosi co-attrice della grazia divina. Nella sua visione ultima, la O’Connor ha voluto cogliere i segni di un disegno provvidenziale anche in un’umanità sfigurata dal peccato, in cui la marginalizzazione della fede aveva comportato la perdita progressiva delle radici cristiane. Interpretando la vita e il suo compito come una lotta per rendere il mondo migliore, Flannery O’Connor si è posta come provocatrice per scuotere le coscienze e soprattutto per recuperare in profondità quella libertà che, come figli di Dio, avevamo e che in parte abbiamo perduto. Concependo la vita come dono, la poetessa americana non solo non è rimasta inerte spettatrice nella lotta tra il bene e il male, scagliandosi con forza contro il principio di autodeterminazione che ha caratterizzato sempre più la nostra società, ma ha radicalizzato il concetto stesso di libertà come scelta tra il paradiso e l’inferno. Per rinnovare seriamente il tessuto sociale, ha ricordato Luca Fumagalli, è necessario recuperare con la O’Connor “il discreto fascino dell’impolverarsi”, il che equivale a dire che per animare cristianamente il temporale è necessario sporcarsi le mani e anche la faccia, ossia sudare, lottare, combattere per la maggior gloria di Cristo anche sociale.

Non muoio neanche se mi ammazzano

Giorgia Pinelli ha rammentato l’impegno di Giovannino Guareschi in difesa dei principi non negoziabili (difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, della famiglia come unione indissolubile tra un uomo e una donna e l’educazione dei figli). Il padre letterario dei celebri Don Camillo e Peppone ha analizzato in modo originale il delicato rapporto tra misericordia e giustizia, sia dal punto di vista del singolo che della comunità. Nell’espressione paradossale: “Non muoio neanche se mi ammazzano”, Guareschi ha espresso e ribadito il rimanere vivo interiormente nelle condizioni di detenuto nei lager tedeschi, offrendo così all’umanità intera la possibilità di redenzione contro coloro che avevano progettato l’annichilimento materiale e spirituale. Pur nelle condizioni di essere sopraffatto dalla fame, dal freddo e dalla nostalgia, le tre muse ispiratrici della Favola di Natale (opera concepita e scritta in prigionia), Guareschi ha pensato e realizzato la ricostruzione di una civiltà umana e cristiana, un mondo ordinato, un arcipelago di umanità, facendo sì che la brutalità del lager facesse emergere la visione soprannaturale dell’uomo. In questa dimensione trascendente, ha rilevato correttamente la Pinelli, Guareschi ha elaborato una dottrina sociale nel lager, come attestano le pagine del suo Diario clandestino.

Ortodossia e Dottrina sociale della Chiesa

Il senso di gratitudine e il valore alto della libertà hanno accompagnato l’esistenza e l’opera letteraria di Gilbert Keith Chesterton. Tutti i principi e valori espressi dalla Dottrina sociale della Chiesa sono disseminati, come ha rilevato Marco Sermarini, nei romanzi, nei saggi, nelle poesie e persino nei disegni del grande autore inglese. Egli non fu uno scrittore isolato e polemico, ostile alla vita sociale; Chesterton fu capace di dialogare davvero con tutti, conservando l’ortodossia e armonizzando, in modo originale e profondo, i principi della dottrina sociale cristiana. Studiando il Magistero della Chiesa, in particolare quello di Leone XIII, elaborò l’idea distributistica di diffusione responsabile della piccola proprietà, impegnandosi anche politicamente a preservare l’ordine naturale delle cose, che egli vedeva scosso dall’egemonia capitalistica. Nella visione chestertoniana quindi, come ha osservato opportunamente Sermarini, l’idea della collaborazione tra uomini e famiglie e quella della cooperazione nel lavoro e nell’educazione, hanno anticipato le istanze di sana libertà che, in nome di un corretto principio di sussidiarietà e finalizzato al vero bene comune, si sono realizzate e stanno ancora realizzandosi nel corpo sociale. In questo senso va considerato fondamentale il valore attribuito alla proprietà come strumento di libertà e di esercizio concreto di essa.

Vivere senza menzogna

Nell’opera di Aleksandr Isaevic Solzenycin si riscontrano, come ha osservato Alessandro Gnocchi, i concetti fondativi di ogni vivere civile: fede, martirio, memoria. Nella terra dell’Arcipelago Gulag, dove lo scrittore russo era stato condannato a vent’anni di esilio, popolo e destino vanno a ricomporsi in una geografia disegnata dalla fede, dal ritorno all’Ortodossia e all’anima della Santa Madre Russia. Nella sua celebre esortazione: “Vivere senza menzogna”, Solzenycin ha testimoniato cristianamente a rifiutarsi a partecipare non solo alla costruzione di un totalitarismo menzognero ma a vivere per la verità ponendosi alla sequela di Cristo, Via, Verità e Vita. Egli ha indicato, alla pari di Guareschi, la possibilità di resistere anche dentro i lager, salvando così la propria anima. Non a caso, ha sottolineato Alessandro Gnocchi, Solzenycin ha titolato “L’anima e il reticolato” la parte di Arcipelago Gulag dedicata alla propria rinascita spirituale. Ecco che in quei luoghi costruiti per dimenticare Dio, potevano risuonare i principi e valori inscritti nella dottrina sociale cristiana e rinsaldarsi i legami più intimi tra Incarnazione, Croce e Resurrezione attraverso l’azione feconda dello Spirito Santo. Solzenycin ha tradotto il concetto di zemstvo con quello di sussidiarietà, rinvenendo nel legame con la propria terra, il proprio sacro suolo, la fondazione per ogni realtà sociale non concepita come giustapposizione di individui. La vera sussidiarietà per Solzenycin non sta tanto nella ripartizione delle competenze tra Stato e società civile, quanto nella presenza del “Giusto”, di colui che, lì dove si trova, lega con la propria vita Cielo e Terra.

La sconfinata benevolenza di Dio

Joseph Roth ha reso esplicito nel saggio “L’Anticristo” l’imperversare del male nel mondo, sottolineando l’apporto “diabolico” degli strumenti di comunicazione di massa. Lo scrittore austriaco di origine ebraica ha espresso nelle sue opere una critica radicale al secolarismo della modernità, che l’hanno portato a dichiararsi pubblicamente convertito al cattolicesimo, anche in ragione della mancanza di senso prodotto dall’inutile strage del primo conflitto mondiale. Come ha osservato Carlo Primerano, Roth ha elogiato la sconfinata benevolenza di Dio e il Suo Logos, dandoci come creature la possibilità di usare la ragione per indagare. In quella che Roth non esitava a chiamare “la grazia della ragione” stava il contributo eccellente che egli ha dato per la riscoperta dei principi e valori inscritti nella Dottrina sociale della Chiesa, che permettevano da una parte di riscontrare la benevolenza infinita divina e, dall’altra, di scorgerne la perdita di senso, il disordine, il male. Sotto questa prospettiva va colta la nostalgia per un mondo perduto (l’impero austro-ungarico ma non solo) di Joseph Roth espressa nella convinzione che l’Austria fosse, prima ancora che una patria, una religione da salvaguardare. Nell’apologo di Andreas, il santo bevitore, come ha sottolineato Primerano, si coglie l’invocazione di misericordia e l’idea di perdono cristiano in Joseph Roth e il ruolo della Chiesa cattolica e dei Suoi Divini Sacramenti.

La società organica della Terra di Mezzo

Paolo Gulisano ha rilevato nella gigantesca opera di Tolkien, in particolare nel celebre Il Signore degli Anelli, una strenua difesa della legge naturale e, implicitamente, dei principi della Dottrina sociale della Chiesa: “Il bene e il male non sono cambiati nel giro di un anno e non sono una cosa presso gli elfi e i nani e un’altra tra gli uomini. Tocca a ognuno di noi discernerli”. Il legendarium tolkieniano esprime così, lungi da ogni ideologia, una concezione dell’essere, una visione della vita che riflette una teologia provvidenziale della storia. Gulisano ha annotato inoltre che in Tolkien la critica della modernità, del mondialismo, dell’omologazione di massa va di pari passo con la riproposizione della società organica della Terra di Mezzo, dei piccoli hobbit che difendono la loro Contea, il loro piccolo mondo. Pertanto, nella concezione cattolica di Tolkien, rimane sullo sfondo la lotta tra il bene e il male, la condizione della natura segnata dal peccato originale e l’opera di redenzione delle piccole creature, gli hobbit, assistiti da forze e poteri soprannaturali. La sensibilità artistica di Tolkien, proveniente dalle fonti vive umane e cristiane, ha invitato tutti i suoi innumerevoli lettori a privilegiare il bello, il buono e a non cedere alla tentazione dello scoraggiamento, della bruttezza e del male.

La strana pietas del Gattopardo

Roberto Pecchioli ha esaminato, nell’opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, alcune frasi e aggettivi che hanno causato l’incomprensione dello scrittore siciliano. Una delle frasi abusate è: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Come l’aggettivo “gattopardesco” è divenuto sinonimo di voltagabbana, così il “tutto cambi” ha mostrato pregiudizialmente una strategia politica che ha affossato la crescita del cosiddetto “Mezzogiorno”. Nella realtà del romanzo Il Gattopardo, come osservato da Pecchioli, oltre al riproporsi dell’inefficacia dell’appello al passato, sorge nel protagonista, il principe di Salina, una strana pietas che non attinge alla trascendenza e quindi si arena nel pathos della bellezza e della nostalgia. Nel palazzo dei Salina si recita ancora il Rosario, si conservano ancora le reliquie appartenenti al passato, ma viene meno la fecondità della vita cristiana, dei principi e valori espressi dalla Dottrina sociale della Chiesa. Lo stesso rifugio di Don Fabrizio nell’astronomia testimonia che la sua attività scrutatrice non è un’osservazione delle stelle alla ricerca di un fine soprannaturale ma un ritirarsi, un ripiegarsi su se stessi nell’attesa di una fine imminente.

Principio di solidarietà e bene comune

Clive Staples Lewis ha affrontato nel saggio: “I quattro amori” i temi dell’affetto, dell’eros, dell’amicizia e della carità. Lewis ha parlato dell’amicizia estendendola al principio di solidarietà e a quello del bene comune, secondo la Dottrina sociale della Chiesa. Il carattere della sana amicizia costituiva così un rapporto tra persone, nel senso dell’elevazione reciproca dal punto di vista spirituale e culturale, orientata al vero bene comune. Nelle trentuno lettere scritte dal diavolo Berlicche al giovane inesperto Malacoda, Lewis ha sottolineato con umorismo e sapienza teologica gli ostacoli frapposti dall’intelligenza diabolica al bene comune, alla salute e salvezza dell’anima. L’operato di Berlicche di mantenere la realtà concreta fuori dalla testa dell’uomo, così come il continuo tentarlo per proiettarlo in un ipotetico futuro ha il significato di farle abbandonare la presa sul reale, i doveri del presente, la formazione di una coscienza.

La Lectio Divina delle isole Orcadi

George Mackay Brown trascorse nella piccola comunità dell’arcipelago scozzese delle Orcadi, in volontario esilio, gran parte della sua vita. Nella sua opera, come ha evidenziato Luca Fumagalli, ha cercato di descrivere l’essenza della realtà e il mistero che la permea, al punto che si può parlare di Lectio Divina. Per lo scrittore scozzese, in cui fu determinante per la sua conversione la lettura del Card. Henry Newman, il cattolicesimo era un perfetto connubio di bellezza e verità. Le isole Orcadi divennero così l’emblema di un particolare che è riflesso dell’universale, ossia di un pezzetto di terra che rimanda a Dio onnipotente. Per Mackay Brown la letteratura non è soltanto riflesso del bello ma ha una ricaduta sociale, in armonia con i principi espressi dalla dottrina sociale cristiana. Quando egli da buon isolano andava ripetendo che “nessun uomo è un’isola”, intendeva contrastare l’individualismo e le forze centrifughe della modernità che portavano alla distruzione della società cristianamente intesa e a quel modello comunitario che lui amava, di unità nella diversità, che si rispecchiava nella Chiesa universale.

Fabio Trevisan