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sabato 3 settembre 2022

Il Concistoro mancato: l’intervento "silenziato" del Card. Brandmüller

Cari Amici,
come potrete constatare navigando nella blogosfera (e oltre…), il Concistoro degli scorsi 27, 29 e 30  agosto sta tuttora tenendo banco, ancorché indirettamente, per la grande eco delle ormai notissime esternazioni comasche dell’Arcivescovo di Milano, Mons. Delpini, rilanciate proprio da MiL, e poi riprese dalle maggiori testate giornalistiche.
Il Concistoro, però, dovrebbe piuttosto essere ricordato perché, nonostante i Cardinali siano tornati a riunirsi per la prima volta dopo anni, il libero dibattito è stato accuratamente silenziato, e si è così persa – non certo per volere dei Porporati – un’importante occasione di parresia: della quale la Chiesa, in questa turbolenta fase della sua storia bimillenaria, avrebbe un estremo bisogno.
Atteso il mutismo imposto ai suoi partecipanti, il recente Concistoro può purtroppo essere definito un “Concistoro mancato”, o, comunque, inutile. Proprio per questo, è un vero bene che gli interventi che alcuni Cardinali avrebbero voluto pronunciare siano stati ugualmente divulgati, a vantaggio non solo del Collegio Cardinalizio, ma di tutti i fedeli.
MiL è lieta di concorrere alla loro diffusione, riprendendo da Settimo Cielo – il blog di Sandro Magister – il testo predisposto dal Card. Walter Brandmüller (per il quale, secondo Magister, «il Papa vuole chiudere la bocca ai cardinali»); nei prossimi giorni pubblicheremo anche quello che avrebbe dovuto essere l’intervento del Card. Gerhard Ludwig Müller.
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NON SILENZIO IMPOSTO, MA “APERITIO ORIS”
L’intervento del cardinale Walter Brandmüller per il concistoro del 29-30 agosto 2022

La convocazione di un concistoro dopo tanto tempo motiva una riflessione sulla natura e il compito del cardinalato, soprattutto nelle circostanze attuali. Bisogna pure sottolineare che i cardinali non sono soltanto membri del conclave per l’elezione del sommo pontefice.

I veri compiti dei cardinali, indipendentemente dalla loro età, sono formulati nei canoni 349 e seguenti del codice di diritto canonico. Vi si legge: “assistono il romano pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale”. E al papa “prestano principalmente aiuto nei concistori” (canone 353).

Questa funzione dei cardinali anticamente trovò espressione simbolica, cerimoniale, nel rito di “aperitio oris”, di apertura della bocca. Esso significava infatti il dovere di pronunciare con franchezza la propria convinzione, il proprio consiglio, soprattutto nel concistoro. Quella franchezza – papa Francesco parla di “parresía” – che all’apostolo Paolo fu particolarmente cara.

Per ora, purtroppo, quella franchezza viene sostituita da uno strano silenzio. Quell’altra cerimonia, della chiusura della bocca, che seguiva alla “aperitio oris”, non si riferiva alle verità di fede e di morale, ma ai segreti d’ufficio.

Oggi però bisognerebbe sottolineare il diritto, anzi, il dovere, dei cardinali di esprimersi chiaramente con franchezza proprio quando si tratta delle verità di fede e di morale, del “bonum commune” della Chiesa.

L’esperienza degli ultimi anni è stata tutt’altra. Nei concistori – convocati quasi solo per le cause dei santi – venivano distribuite schede per chiedere la parola, e seguivano degli interventi ovviamente spontanei su qualsiasi argomento, e basta. Non c’è stato mai un dibattito, uno scambio di argomenti su un tema preciso. Ovviamente una procedura del tutto inutile.

Un suggerimento presentato al cardinale decano di comunicare in anticipo un tema per la discussione affinché si potessero preparare eventuali interventi rimase senza riscontro. Insomma, i concistori da almeno otto anni finivano senza qualsiasi forma di dialogo.

Il primato del successore di Pietro, però, non esclude per niente un dialogo fraterno con i cardinali, i quali “sono tenuti all’obbligo di collaborare assiduamente col romano pontefice” (canone 356). Quanto più gravi e urgenti sono i problemi del governo pastorale, tanto più necessario è il coinvolgimento del collegio cardinalizio.

Quando Celestino V, nel 1294, rendendosi conto delle circostanze particolari della sua elezione volle rinunciare al papato, lo fece dopo intensi colloqui e col consenso dei suoi elettori.

Una concezione dei rapporti tra papa e cardinali del tutto diversa fu quella di Benedetto XVI, che – caso unico nella storia – la sua rinuncia al papato, per motivi personali, la fece all’insaputa di quel collegio cardinalizio che lo aveva eletto.

Fino a Paolo VI, che aumentò il numero degli elettori a 120, c’erano soltanto 70 elettori. Questo aumento del collegio elettorale a quasi il doppio era motivato dall’intenzione di andare incontro alla gerarchia dei paesi lontani da Roma e onorare quelle Chiese con la porpora romana.

La conseguenza inevitabile era che venivano creati dei cardinali i quali non avevano nessuna esperienza della curia romana e perciò dei problemi del governo pastorale della Chiesa universale.

Tutto ciò ha delle conseguenze gravi quando questi cardinali delle periferie sono chiamati all’elezione di un nuovo papa.

Molti, se non la maggioranza degli elettori, non si conoscono a vicenda. Ciononostante sono lì ad eleggere il papa, uno tra loro. È chiaro che questa situazione facilita le operazioni di gruppi o ceti di cardinali per favorire un loro candidato. In questa situazione non si può escludere il pericolo di simonia nelle varie sue forme.

Alla fine, mi pare che meriti una seria riflessione l’idea di limitare il diritto di voto nel conclave, per esempio, ai cardinali residenti a Roma, mentre gli altri, sempre cardinali, potrebbero condividere lo “status” dei cardinali ultraottantenni.

Insomma, pare auspicabile che carica e competenza del collegio cardinalizio vengano aggiornate.