Un'altra magistrale catechesi del compianto card. Carlo Caffarra, tratto dal sito (QUI) a lui dedicato.
Luigi
Salsomaggiore Terme, settembre 1994
Mi propongo di presentarvi una sintesi ragionata del Magistero pontificio su matrimonio e famiglia. Faccio alcune semplici e necessarie premesse.
- Il terminus a quo della mia esposizione è l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, il terminus ad quem è la Lettera inviata alle famiglie in occasione dell’Anno internazionale della famiglia.
- La mia esposizione non sarà appesantita dalle citazioni dei testi: è però possibile trovarli facilmente dalle indicazioni delle fonti.-È fuori dubbio che il Magistero è andato progressivamente interessandosi del nostro tema. Un dato di fatto lo dimostra. Il nostro Istituto assieme all’Instituto de Cienciaspara la Familia dell’Università di Navarra ha pubblicato tutti i documenti del Magistero sul Matrimonio e la Famiglia in cinque volumi (più uno di indici). Il primo va da San Clemente I fino a Pio XI; il secondo comprende solo due papi, Pio XII E Giovanni XXIII; il terzo è dedicato a Paolo VI; il quarto e quinto a [san] Giovanni Paolo II. Perché questo interesse? Sarà questo il primo punto della nostra esposizione: quali sono le ragioni profonde, le radici, per così dire, di questo Magistero?
1. Ragioni del Magistero
Da un punto di vista storico, è stata la negazione della sacramentalità del matrimonio da parte della Riforma protestante e la progressiva ingerenza dello Stato a “costringere” la Chiesa ad approfondire la sua intelligenza della fede nel Vangelo del Matrimonio. Tuttavia nel corso della vicenda le ragioni di questa esigenza sono state anche altre, e di maggiore importanza anzi. Non voglio però fare un’esposizione di carattere storico-critico, ma piuttosto sistematico. Dunque, la domanda è la seguente: quali sono le ragioni più profonde per le quali il Magistero si è sempre più interessato del Matrimonio e della Famiglia?
Possiamo dire che esse sono di due ordini: un complesso di ragioni che si radicano nella considerazione del matrimonio e della famiglia in quanto realtà della creazione; un complesso di ragioni che si radicano nella considerazione del matrimonio e della famiglia in quanto realtà della grazia.
1, 1. Volendo semplificare al massimo il primo complesso di ragioni, potremmo farlo attraverso il seguente schema logico.
La Chiesa deve insegnare la verità sul bene della persona umana; ora uno dei “beni” fondamentali della persona umana è il matrimonio e la famiglia; quindi, la Chiesa deve dire la verità del matrimonio e della famiglia.
Prima di proseguire è importante cogliere bene la logica intima di questa impostazione magisteriale, se si vuole avere una comprensione profonda di larga parte del Magistero. È la connessione istituita fra “bene della persona umana” e “bontà del matrimonio e della famiglia” al centro di questa visione. Cioè: la questione del matrimonio e della famiglia è la questione della persona umana, più precisamente della realizzazione della persona umana. Se la Chiesa si interessa al matrimonio e alla famiglia è perché si interessa dell’uomo; è perché la via della Chiesa è la persona umana. Da un punto di vista teologico si tratta, mi sembra, della ripresa della prospettiva agostiniana dei “bona matrimonii”, reintrodotta dalla Enciclica Casti connubii e richiamata nella Lettera alle famiglie. Ma riprendiamo il nostro discorso. Esiste, dunque, una connessione fra (bene della) persona umana e (bene che è il) matrimonio: è a causa di questa connessione che la Chiesa deve dire la verità sul matrimonio e la famiglia.
Di conseguenza, tutto il Magistero della Chiesa è impegnato a mostrare questa connessione. Vediamo come.
1, 1, 1. Il matrimonio è una delle fondamentali espressioni della vocazione della persona alla comunione interpersonale. Il matrimonio è visto nella prospettiva di una precisa vocazione della persona: la vocazione al dono di sé. E, dunque, la vocazione a costituire una vera comunione con le altre persone. Si noti bene, per capire profondamente questo insegnamento del Magistero: dono di sé. La persona può donare sia il proprio avere sia il proprio essere. Il “proprio” dell’amore coniugale è di consistere nel dono di sé. Certamente. La Rivelazione cristiana conosce non solo la forma coniugale del dono di sé. Esiste il carisma della verginità; esiste il ministero pastorale.
Ciò che il Magistero intende, comunque, insegnare è che il matrimonio si radica nell’essere stesso della persona umana come soggetto chiamato alla comunione. Interessarsi al benessere del matrimonio è interessarsi al benessere della persona umana.
1, 1, 2. Connessa con la ragione precedente troviamo un’altra ragione per cui il Magistero della Chiesa si è interessato così fortemente al matrimonio e alla famiglia. Non è solo in questione il bene-essere della persona umana singolarmente presa, ma anche il bene-essere della società umana. Certamente, si è sempre saputo e affermato che matrimonio e famiglia sono la base naturale di ogni società. Ma questa intuizione della sapienza umana riceve un singolare approfondimento nel Magistero contemporaneo.
L’uomo e la donna, la persona umana, vivono nel matrimonio e nella famiglia una singolare esperienza di socialità: l’esperienza della gratuità, del riconoscimento della persona come persona. È nella società coniugale e familiare che la persona umana vive un’esperienza di socialità nella quale non domina la regola dell’utile. In questo modo, l’uomo è capace di vivere le altre esperienze della socialità umana con una profonda consapevolezza critica che impedisce il predominio della norma utilitarista nell’organizzazione dei rapporti sociali.
L’antico effato “prima societas in coniugio” riceve un significato molto profondo. Prima, non in senso cronologico né semplicemente genetico. In senso assiologico: è prima, perché arche-tipo (nel senso suddetto) di ogni realizzazione della socialità umana. Il Magistero non insegna che il criterio dell’utilità sia in sé e per sé immorale. L’economia, per esempio, è dominata da questo criterio. Ciò che il Magistero insegna sono due cose. Primo: il criterio di utilità, anche legittimamente applicato, non deve mai negare il dominante criterio personalista. Secondo: l’uomo vive, allo stato puro per così dire, la verità del criterio personalista nella comunità coniugale e familiare. Distruggere la comunità coniugale e familiare in quanto comunità dominata dal criterio personalista significa vulnerare nella sua intima essenza la socialità umana come tale.
È chiara dunque la seconda ragione per cui il Magistero della Chiesa si interessa del matrimonio e della famiglia. Interessarsi al bene-essere del matrimonio e della famiglia è interessarsi al bene-essere della società umana come tale, e quindi, della persona umana come tale che non può non realizzarsi che nella comunione colle altre persone.
In questo contesto si inserisce la terza e ultima ragione che ora esporremo.
1, 1, 3. La “genealogia” della persona umana è/deve essere genealogia familiare. Nella visione della Chiesa, la “genealogia” della persona non è un fatto prevalentemente biologico: è un evento spirituale. Da vari punti di vista. Evento spirituale in senso profondissimo, perché nella biologia della generazione abita l’atto creativo di Dio; evento spirituale, perché ciò che viene generato non è un individuo al servizio del perpetuarsi di una specie, ma una persona voluta per se stessa; evento spirituale perché in esso giunge a perfezionare la comunione coniugale.
Sono chiare, dunque, le ragioni per cui la “genealogia” della persona diventa motivo di un intervento del Magistero. È la preoccupazione educativa inscritta, per così dire, nella maternità della Chiesa la radice più profonda. Interessarsi al benessere del matrimonio della famiglia è interessarsi al benessere della persona umana, perché questa necessita di essere educata. E il luogo originario della sua educazione è la famiglia.
Ma c’è anche la preoccupazione della Chiesa di salvaguardare l’intera verità dell’amore coniugale. Esso è intrinsecamente orientato al dono della vita.
Posso dire di avere concluso l’esposizione del primo ordine di ragioni per cui il Magistero si interessa del matrimonio e della famiglia: È — come dicevo — la connessione inscindibile fra bene della persona umana e bene del matrimonio e della famiglia. Vorrei ora passare all’esposizione del secondo ordine di ragioni, quelle di carattere più propriamente teologico.
1, 2. Il matrimonio e la famiglia sono realtà che appartengono non solo all’ordine della creazione, ma all’ordine della grazia. Il matrimonio è uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza. Nel terreno di questa visione di fede si radica un interesse ancora più profondo per il Magistero della Chiesa ad insegnare il Vangelo del matrimonio e della famiglia.
1, 2, 1. È in questione l’evento centrale dell’economia della salvezza. Secondo la dottrina teologica, come vedremo più avanti, nell’amore coniugale dei due battezzati si realizza una vera e propria partecipazione dell’amore “sponsale” di Cristo per la sua Chiesa. L’amore coniugale ne è un simbolo reale: appunto ne è un sacramento. È chiaro, quindi, l’interesse della Chiesa per il matrimonio. Tuttavia, vorrei notare che non si tratta solo di un interesse, diciamo, generico. Cioè: poiché è chiaro che la Chiesa deve interessarsi dei sacramenti, essendo il matrimonio un sacramento, la Chiesa deve interessarsi anche del matrimonio. La cosa è profonda. Poiché il matrimonio, come abbiamo visto nella riflessione precedente, riguarda molto profondamente l’uomo, poiché esso è sacramento della salvezza, ci troviamo in un luogo “privilegiato” dell’incontro salvifico fra Cristo e l’uomo. Mi spiego meglio.
I sacramenti, dunque il sacramento del matrimonio, sono il “luogo” in cui la grazia che salva incontra l’uomo, lo guarisce e lo inserisce nel Cristo. Ma quale uomo incontra il sacramento del matrimonio, precisamente? L’uomo chiamato, in quanto uomo e donna, a realizzarsi nell’amore che dona la vita.
Dunque, l’uomo considerato nella sua dimensione più profonda; la dimensione del suo destino alla comunione interpersonale. Il sacramento del matrimonio libera l’uomo e la donna dalla loro costituzionale incapacità di amare e di donarsi, in quanto fa alitare nel loro cuore la carità stessa di Cristo che si dona alla Chiesa. Ne deriva che il matrimonio è una via privilegiata che la Chiesa deve percorrere per essere testimone della salvezza di Cristo.
Più semplicemente. La Chiesa nel suo Magistero annuncia la Verità che salva. Perché deve annunciare con tanta cura e insistenza la Verità del matrimonio? Perché nel matrimonio l’uomo e la donna trovano uno dei luoghi originari della loro salvezza o perdizione. Nella visione della fede, il bene-essere della persona acquista una profondità di contenuti del tutto imprevedibile per la ragione umana.
1, 2, 2. La generazione umana e la generazione divina. C’è anche una seconda ragione da cui nasce l’interesse del Magistero per la famiglia. Partiamo da alcuni fatti. Secondo la tradizione della Chiesa, non si può amministrare il Battesimo ad un bambino contro la volontà dei genitori. Dall’altra parte, però, la Chiesa non battezza un bambino se non ha la prudente presunzione che verrà poi educato cristianamente. Al che sotto di questa disciplina sacramentale sta un significato profondo: l’incontro della generazione umana colla generazione divina della persona.
La persona umana, appena generata, non può entrare nel Regno senza la mediazione della Chiesa: essa deve essere inserita nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa, attraverso il Battesimo. In questo modo, si dà come un movimento dell’uomo verso la Chiesa: l’umanità si integra generazione dopo generazione, nella Chiesa. Tuttavia, la persona, appena generata e battezzata, chiede di essere educata nella fede della Chiesa. Questa educazione è di competenza originaria e insopprimibile dei genitori. Anche poi il bambino battezzato, poiché, come scrive san Tommaso, “il diritto della fede non sopprime il diritto di natura”. In questo modo, si dà come un movimento della Chiesa verso l’uomo: la Chiesa si integra, generazione dopo generazione, nell’umanità. Ora, se riflettiamo, vediamo che questi due movimenti si incontrano nella persona dei genitori. Essi chiedono alla Chiesa il Battesimo; la Chiesa chiede ai genitori di educare nella fede.
Troviamo qui la ragione più profonda dell’interesse del Magistero per il matrimonio e la famiglia. La famiglia è un luogo di importanza decisiva per l’esistenza di una comunità cristiana. Scrive san Tommaso: “Alcuni propagano e conservano la vita spirituale con un ministero unicamente spirituale e questo spetta al sacramento dell’ordine. Altri lo fanno quanto alla vita ad un tempo corporale e spirituale e ciò avviene col sacramennto del matrimonio, nel quale l’uomo e la donna si uniscono per generare la prole ed educarla al culto di Dio” (Summa contra gentes, IV 58). La Chiesa si edifica nell’educazione mediante la quale la nuova persona umana assimila sempre più profondamente il Mistero di Cristo. Abbiamo una conferma storica nella cura che la Chiesa ha sempre avuto per assicurare una vera educazione: invenzione dell’Università, scuole, catechesi...
2. Contenuti del Magistero
Dopo aver esposto le ragioni per cui il Magistero si è sempre interessato del matrimonio e della famiglia, devo ora fare un’esposizione, almeno sintetica, dei contenuti di questo stesso Magistero.
Vorrei, però, fare prima una premessa. “Nova et vetera” dice il Signore. Il Magistero si pone sempre in continuità con quanto insegnato prima, poiché esso testimonia la fede della Chiesa. Continuità, tuttavia, non significa ripetere semplicemente: si dà un approfondimento.
Volendo semplificare al massimo possibile, mi sembra che l’attuale Magistero della Chiesa abbia sviluppato il suo insegnamento sul matrimonio e la famiglia sopratutto dal punto di vista di una antropologia teologica e dal punto di vista dell’etica. Saranno queste le due parti in cui si articolerà questo secondo punto della mia riflessione.
2, 1. Mi sembra che nella grande Tradizione vivente della Chiesa, l’apporto più importante (più nuovo) dato dal Magistero attuale sia quello di una comprensione del matrimonio e della famiglia in chiave di antropologia teologica.
Il punto di partenza è costituito da una teologia, molto profonda, della corporeità. Esiste un complesso di verità cristiane sul corpo: la verità dell’unità sostanziale della persona umana; la verità dell’incarnazione del verbo, intesa in tutto il suo sconvolgente realismo, contro la sempre ritornante tentazione gnostica; la verità della redenzione del corpo come conseguenza immediata della Resurrezione del Signore. Il merito del Magistero attuale è stato di aver riflettuto nuovamente su queste verità fino ad elaborare un vero e proprio Magistero sulla corporeità umana, di cui la Chiesa non era ancora in possesso. Esso si trova già abbozzato nella Familiaris Consortio e viene sviluppato nelle Catechesi sull’amore umano di Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem e nella Lettera alle Famiglie.
Avrete notato che sono passato dal termine “corpo” al termine “corporeità”. Non è stato per caso. Si passa infatti da una considerazione del corpo a una considerazione della persona in quanto corpo.
Mi spiego, per capire bene questo importante sviluppo della dottrina cristiana.
Leggendo il capitolo secondo della Genesi, si può vedere come la coscienza che l’uomo ha di se stesso è percorsa come da due correnti o tensioni spirituali. Egli vive un’esperienza di solitudine originaria. “Originaria” significa che si tratta di una dimensione essenziale della sua natura, che trova eco nella sua coscienza. È il suo essere unico, non parte di un tutto: il suo essere qualcuno e non qualcosa. La metafisica classica parlava di “sussistenza” (esistere in sé e per sé) come costitutivo formale della persona. Ma c’è anche un’altra corrente che attraversa la coscienza che l’uomo ha di se stesso. La solitudine originaria è sentita come una limitazione ed è giudicata “non buona” dal Creatore. Di qui la ricerca per superare questa limitazione: una ricerca che ha termine nella comunione interpersonale fra l’uomo e la donna. Fino a qui la pagina biblica.
L’essere-uomo e l’essere-donna non sono qualità accidentali al nostro essere persona, poiché l’essere-corpo non è una qualità accidentale. Quale è il significato ultimo di questa condizione in cui si trova la persona umana? essa “significa” la chiamata della persona alla comunione interpersonale e di questa comunione è il linguaggio originario. Mi spiego meglio.
Quando Adamo scoprì la verità del suo essere-persona come soggetto chiamato alla comunione? Quando vide Eva. È, dunque, attraverso il corpo che la persona scopre la sua verità. O, il che è lo stesso: il linguaggio della persona è il corpo. Il significato originario veicolato da questo linguaggio è la comunione nel dono. Il corpo umano è un corpo personale perché la persona umana è una persona corporale. Come vedremo, questo costituisce la base, per così dire, della sacramentalità del matrimonio o, se volete, l’originaria sacramentalità del matrimonio.
Questa visione antropologica richiede una comprensione più profonda di un fatto biologico incontestabile. È certo che la divaricazione sessuale all’interno della stessa specie vivente è finalizzata alla procreazione. Oggi sappiamo, molto più di ieri, quanta saggezza ci sia in questo fatto. Nella persona umana, questo fatto non ha in sé nessun significato propriamente umano? Notate bene, perché la domanda fondamentale importanza per capire l’odierno Magistero sul Matrimonio e la famiglia. Che cosa significa “propriamente umano“? Ci chiediamo che la capacità procreativa inscritta nella sessualità umana sia un dato di fatto puramente biologico oppure se essa sia una dimensione della persona. Insomma: la capacità procreativa umana è perfettamente, esaustivamente uguale alla capacità procreativa animale? Nella risposta a questa domanda data dal Magistero, consiste uno dei suoi apporti più considerevoli.
Che nella sessualità umana, il cui significato originario è di essere il linguaggio del dono, si inserisca la capacità procreativa, non è un caso: non è una pura connessione di fatto. La capacità procreativa è capacità di porre le condizioni del concepimento non di qualcosa, ma di qualcuno: non di un individuo, ma di una persona. Solo l’amore può essere all’origine della persona, poiché c’è un solo modo giusto di volere una persona, volerla in sé e per sé, cioè amarla. L’affermazione, centrale in Humanae Vitae, della connessione inscindibile fra il significato unitivo e il significato procreativo dell’atto coniugale, trova finalmente il suo fondamento in questa visione antropologica.
Era un insegnamento costante nella Tradizione della Chiesa che il matrimonio fosse una istituzione di legge naturale. Non un’istituzione inventata semplicemente dalla ragione umana: essa è inscritta nella natura stessa dell’uomo. Ora, alla luce dell’odierno Magistero della Chiesa, questa tesi acquista un significato molto profondo e suggestivo. L’uomo e la donna, creati ad immagine di Dio, sono chiamati alla comunione nel dono di sé: questa è la natura della persona umana. Questa vocazione trova la sua realizzazione nella comunione coniugale.
Tuttavia, questa prospettiva di fondazione dell’istituzione coniugale e familiare, nella luce della Rivelazione cristiana, ne mostra anche la relatività. La vocazione umana non si realizza solo nella “forma coniugale”. Esiste anche un’altra forma: la “forma verginale”. Non si può più dire: il matrimonio è la necessaria realizzazione della persona. Infatti esiste anche un’altra possibilità: la realizzazione verginale. Non si può dire: ormai, dopo Cristo, la necessaria realizzazione della persona umana è la verginità. Infatti, continua a rimanere la realizzazione coniugale. E così né verginità né matrimonio sono in concreto necessari. Resta solo una necessità: il Regno di Dio e la sua giustizia, amare Dio con tutto il cuore...
Qui si inserisce il secondo momento di questa comprensione antropologico-teologica del matrimonio e della famiglia: quella più propriamente teologica.
Tutto quanto abbiamo detto sulla fondazione antropologica, la verità della persona-corpo rimanda dal suo interno a qualcosa d’altro, molto più grande. Per capire questo punto, a noi oggi difficilmente comprensibile per il dominante scientismo, possiamo partire da una domanda… un po’ strana. L’Eucaristia esiste perché esiste il frumento e il vino oppure il frumento e il vino esistono perché possa esistere l’Eucaristia? in altre parole: l’Eucaristia si esprime attraverso il pane e il vino, in quanto questi nutrono fisicamente oppure il pane ed il vino nutrono in quanto sono destinati a essere la materia dell’Eucaristia? La domanda in fondo su che cosa verte? Nell’intenzione di Dio che cosa è primo? L’istituzione dell’Eucaristia, in vista della quale esiste poi il pane e il vino oppure la creazione del pane e del vino poi vengono elevati a essere segno eucaristico? Lasciamo in sospeso questa… strana domanda e ritorniamo al nostro tema, facendoci una domanda analoga. Come sappiamo, con e dopo il Profeta Osea, l’amore coniugale è un simbolo prediletto dalla Sacra Scrittura per rivelarci l’amore di Dio. Anzi, Gesù stesso chiama se stesso “sposo”. Non solo, ma san Paolo paragona la Chiesa di Corinto a una fidanzata che deve essere presentata, per il matrimonio, al suo Sposo, Cristo. L’autore della lettera agli Efesini, finalmente, mette in rapporto il matrimonio con il rapporto Cristo-Chiesa quale si compie nell’immolazione del Signore sulla Croce. E qui ritorna… la strana domanda: è l’amore coniugale ad essere il simbolo dell’Amore di Dio che è simbolo dell’amore coniugale? In altre parole: quale è la realtà e quale è l’immagine della realtà? I logici direbbero: quale è il “princeps analogatum”? Certamente il Magistero non fa (non deve fare) riflessioni di questo genere. Esso, tuttavia, mi sembra che faccia un’affermazione di straordinaria importanza: l’amore coniugale esiste in vista dell’Evento che accade sulla Croce.
Ciò che è primo in assoluto è l’Evento della Croce, l’atto con cui Cristo dona se stesso. Perché all’uomo e alla donna sia data una “via di accesso” a questo evento, è stato “inventato” il matrimonio da Dio Creatore. Ma che cosa significa concretamente “via di accesso”? Due cose strettamente connesse. Significa, primo, che esso (amore coniugale) è stato pensato da Dio in modo tale da rivelare, da far conoscere, da significare l’Evento della Croce. Significa, secondo, che attraverso esso (amore coniugale) l’uomo e la donna ri-vivono in se stessi l’Evento della Croce. Fra i due c’è una connessione, ho detto. Infatti, l’amore coniugale significa l’Evento della Croce perché lo ri-presenta, e lo ri-presenta perché lo significa. In fondo, allora che cosa abbiamo detto? Che il matrimonio è un sacramento e che, come ogni sacramento, significa ciò che realizza e realizza ciò che significa.
Dobbiamo, ora, cogliere con uno sguardo semplice e sintetico questi due momenti della mia riflessione antropologica-teologica: il momento più propriamente antropologico e il momento più propriamente cristologico. L’uomo e la donna, nella concretezza della loro carne, nel linguaggio sponsale-verginale della loro corporeità, scoprono la loro vocazione a essere nella comunione del dono (= momento antropologico) poiché essi sono stati predestinati ad essere nel Cristo che dona se stesso (= momento cristologico).
Possiamo ora passare all’insegnamento etico del Magistero.
2, 2. Credo che il punto di partenza per capire questo insegnamento sia da ricercarsi in uno dei punti più importanti del Vaticano II: il matrimonio è una vocazione alla santità. Il concilio, cioè, ha rifiutato e superato tutta una certa teologia della santità cristiana. Non esistono cristiani che non siano chiamati alla santità, perché non esistono cristiani che non siano chiamati ad amare Dio con tutto il cuore… In ogni stato di vita, questa è la nostra vocazione. Tutto il discorso seguente va inserito nel contesto di questa verità.
Mi sembra che l’insegnamento etico più importante dato dal Magistero in questi anni riguardi il rapporto fra sessualità umana, amore coniugale e procreazione. Come è noto, sono due i problemi principali all’interno di questa correlazione: il problema della contraccezione e il problema della procreazione artificiale.
2, 2, 1. È ben noto quanto sia contestato l’insegnamento della Chiesa sul primo punto. Ora osserviamo subito un’attitudine del Magistero, che non era così presente nel Magistero precedente. Esso si prende una grande cura nel dire le ragioni del suo insegnamento, nell’elaborare argomenti sempre più persuasivi, quando per così dire si rivolge agli sposi. Quando si rivolge ai teologi, il Magistero è preoccupato di sottolineare la “nota teologica” di questo insegnamento: si tratta di una dottrina “che non appartiene più alla libera discussione dei teologi”. Vorrei ora fermarmi sugli argomenti magisteriali.
Semplificando un poco, la condanna della contraccezione è stata supportata nella Tradizione della Chiesa da tre argomenti, fondamentalmente. Il primo: l’atto contraccettivo è un atto ingiusto perché è un atto contro la vita; il secondo: è un atto ingiusto perché è un atto contro l’amore coniugale; il terzo: è un atto ingiusto perché contro Dio Creatore. Ora, fino ad Humanae Vitae l’argomento pressoché unicamente usato era il primo, con Humanae Vitae comincia ad elaborarsi il secondo argomento che, ormai, nel Magistero odierno è diventato decisamente prevalente. La cosa non è casuale.
Questo argomento, infatti, si inscrive assai logicamente in quella prospettiva antropologica-teologica di cui parlavo nel paragrafo precedente. Crediamo che troviamo la sua esposizione più rigorosa in Familiaris Consortio n. 32. In questo testo si argomenta nel modo seguente. La sessualità è un linguaggio che possiede un suo significato originario. Originario significa che essa lo possiede in sé e per sé e non in forza della libertà umana che glielo attribuisce. Ora il significato originario è quello del dono totale. Pertanto, nel linguaggio proprio della sessualità coniugale, che è quello dell’amore che si dona totalmente, la contraccezione intromette un significato che obiettivamente lo contraddice, quello della non totalità del dono.
Per capire questo argomento, formulato in infinite variazioni dal Magistero odierno, possiamo usare un esempio. Una buona esecuzione musicale è il risultato sia di una corretta lettura dello spartito musicale sia di una sua interpretazione vera. L’interpretazione è certamente soggettiva, cioè propria di ogni direttore di orchestra. Tuttavia la soggettività dell’interpretazione non significa che tu puoi cambiare lo spartito musicale: introdurre note che non sono scritte o cancellarne.
Analogamente avviene nella vita coniugale. La sessualità umana ha in sé un suo proprio significato. Chi ricorre alla contraccezione non lo “interpreta”, ma lo contraddice; chi ricorre all’astinenza periodica, lo interpreta.
Questo discorso pone formidabili problemi pastorali sui quali rifletteremo nell’ultimo punto della nostra riflessione.
2, 2, 2. Non meno contestato è l’insegnamento del Magistero sulla procreazione artificiale. In sostanza, questo insegnamento è supportato dalla stessa visione antropologica.
Solo l’atto di amore coniugale è degno di porre le condizioni del concepimento di una nuova persona umana, poiché si producono le cose e non le persone. E solo una persona umana è il tempio degno in cui Dio può celebrare il suo amore creativo: non un laboratorio. San Tommaso annota colla consueta semplice profondità che quanto più elevato è il grado dell’essere, tanto più l’atto del generare e il generato sono immanenti al generante, fino al mistero della generazione del verbo, l’Unigenito che rimane sempre nel seno del Padre.
Il Magistero aveva visto bene: si può fare la protesi di tutto, ma non dell’amore coniugale. Altrimenti, ciascuno può prendere il posto di ciascuno perché si è oscurata completamente la visione dell’assoluta singolarità e dignità della persona umana. E abbiamo visto in questi anni quali “scambi” sono stati operati.
Posso ritenere di aver concluso la seconda parte del mio intervento, quella dedicata all’esposizione del contenuto dell’odierno Magistero su matrimonio e famiglia. In sintesi, questo Magistero ha una forte visione dell’unità della persona umana e della sua dignità, nella luce dell’Evento cristiano, della nostra predestinazione ad essere in Cristo. È una sintesi di antropologia e cristologia.
3. “...In ogni occasione, opportuna e inopportuna”
Il Magistero è una dimensione essenziale del ministero pastorale: esso è guida alla vita eterna. Esso si rivolge a uomini concreti, che vivono una loro storia precisa. Chi esercita il Magistero non può dunque esimersi dal guidare il credente a un giudizio critico della situazione, della cultura in cui vive. “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo”, dice san Paolo. Quale è il modo in cui i fedeli oggi sono istruiti dal Magistero? Esso non si è sottratto al dovere di dare un’interpretazione di questa situazione. Vorrei così dedicare l’ultima parte della mia riflessione a questa interpretazione data dal Magistero, limitandomi a ciò che esso dice della cultura occidentale nella quale noi viviamo.
Nella Lettera alle famiglie n.19, troviamo al riguardo una pagina di mirabile introspezione, nella quale con grande semplicità viene riassunta anche tutta la riflessione precedente del Magistero. Proverò ad esporre questo ricco insegnamento per sommi capi.
3, 1. La cultura della separazione. Sembra che l’attuale visione sia la conseguenza di un “sistema” di separazioni dapprima pensate e poi vissute. In questo senso ho parlato di “cultura della separazione”. Si è cominciato da una separazione, all’interno della persona, del corpo dalla persona umana ricondotta esaustivamente alla sua libertà. Cioè: alla domanda “chi è la persona umana”, si è costruita progressivamente la risposta: è la sua libertà. Il corpo non entra nella costituzione della persona. Esso è “materia” di cui la libertà può disporre secondo i suoi progetti. In altre parole. L’espulsione dalla costituzione della persona del suo corpo (=il corpo non è la persona) ha avuto come effetto immediato la sua spersonalizzazione, la sua “reificazione” come dicono i sociologi. Spersonalizzato, il corpo umano non ha più una diversità qualitativa dagli altri corpi, che l’uomo utilizza quale materiale per la sua attività finalizzata alla produzione di beni di consumo. Il corpo umano può essere usato. Anche il corpo dell’altro. L’unica condizione è che ti conceda liberamente di farlo.
Questa prima separazione ne ha generato, per logica necessità, altre due: la separazione della sessualità dall’amore e la separazione della procreazione dalla sessualità.
La prima. In una visione dualistica della persona, non è più possibile capire la sessualità come linguaggio della persona, perché precisamente non è più possibile vedere il corpo-persona né la persona-corpo. La sessualità è semplicemente una realtà a disposizione della libertà che decide quale significato attribuirvi. Essa non è un linguaggio originario, dotato cioè di un significato suo proprio: non è uno spartito musicale. È una pagina bianca su cui la libertà scrive ciò che vuole. Essa può essere gioco; può essere funzione biologica da prestare (o vendere o affittare); può essere fonte di realizzazione dei propri desideri. Nulla di più.
La seconda. Restava tuttavia un fatto: la sessualità è capacità procreativa. E questo fatto, testardo come tutti i fatti, poteva opporsi al libero progettarsi della persona, al libero uso della propria sessualità. L’ideale sarebbe poter decidere liberamente quando possedere una sessualità procreativa o non. Si capisce perché la scoperta della contraccezione chimica è stata ed è vista come la definitiva liberazione della sessualità umana.
Ed ora compiamo un passo ulteriore. Separando la sessualità dall’amore, separando la procreazione dall’amore e quindi l’amore dalla procreazione, si è posta la base per l’evacuazione completa dell’istituto matrimoniale e familiare. Riflettiamo attentamente. Se si accetta quel sistema di separazione è ancora possibile dare una definizione, che non sia puramente formale, di matrimonio e famiglia? Comunione fra uomo e donna? E perché non fra due donne/due uomini? In vista della procreazione ed educazione di nuove persone umane, e perché non per vivere un’amicizia/relazione omosessuale? E perché non si ha diritto ad avere il figlio anche se soli? In una parola: non esiste una verità del matrimonio e della famiglia. Ciascuno la inventa. Ed è ciò che è accaduto in questi mesi.
3, 2. La crisi della verità. L’ultima affermazione ci introduce in un altro momento della lettura critica che il Magistero fa della situazione attuale. Sempre nella già citata Lettera alle Famiglie n. 20, si afferma che questa cultura è ammalata. Quale e la sua malattia? La “crisi della verità” (ibid. n. 13). Che cosa significa “crisi della verità”? Significa, in primo luogo, crisi di concetti: i termini “amore”, “libertà”, “dono sincero”… non significano più niente. Sono recipienti vuoti che ciascuno riempie dei contenuti che vuole. Siamo così caduti in una totale babele: non si è chiamata “libertà e responsabilità” anche l’uccisione dell’innocente nell’aborto? Ma “crisi della verità” significa qualcosa di ancora più profondo.
È la negazione che esista una verità sull’uomo che non sia una semplice creazione della libertà dell’uomo: è il grande tema di Veritatis splendor. È il puro relativismo la vera malattia mortale della nostra cultura. Perché? perché se elevo la mia libertà a norma suprema di ciò che è vero o falso, se nego che prima della mia libertà non possa esistere nulla che la giudichi, l’uomo si rinchiude nella prigione della sua soggettività, entro la quale non può trovare che la morte spirituale. È come se uno cucisse, ma senza aver fatto il nodo al filo: continua a girare senza mai concludere nulla. Kierkegaard dice che l’essenza della disperazione è questa.
3, 3. Il rifiuto del mistero. L’ultima osservazione ci introduce in un terzo momento della lettura critica che il Magistero fa della situazione attuale. “Il razionalismo moderno non sopporta il mistero. Non accetta il mistero dell’uomo, maschio e femmina, né vuole riconoscere che la piena verità sull’uomo è stata rivelata in Gesù Cristo” (Lettera alle famiglie n. 19).
La Chiesa, e anche la retta ragione, hanno sempre percepito nella sessualità umana, nell’amore, nel matrimonio una presenza di una realtà che non era semplicemente umana. Una realtà che chiedeva di essere rispettata, venerata. Don Giussani ha scritto pagine di rara profondità su questa “decapitazione” della nostra ragione, su questa riduzione del concetto di ragione, dovuta all’espulsione del Mistero (cfr. Il senso di Dio e l’uomo moderno, ed. Rizzoli, Milano 1994, pagg. 97-98). Il risultato è l’impossibilità dell’imprevisto, del nuovo. Cioè: la noia. E allora si comprende come mai la cultura odierna abbia bisogno di tutto un sistema di stimoli sempre più forti per vivere la sessualità: questo è un bene di consumo che, usato, genera solo noia.
Posso ritenere di aver concluso questa terza e ultima parte della mia riflessione. Il Magistero della Chiesa ha compiuto una analisi molto rigorosa della nostra cultura occidentale per quanto riguarda la sessualità. Sono criteri di giudizio che dobbiamo tenere presenti nel nostro ministero pastorale.
Conclusione
Vorrei iniziare le mie riflessioni conclusive colla constatazione di due fatti.
Il primo. Presso tutte le culture, anche le più primitive, il sesso e il sangue sono stati i fondamentali simboli della gioia e della vita. Nella nostra cultura, coll’AIDS, sono diventati i veicoli della morte e della disperazione. Il fatto ha in sé qualcosa di drammaticamente apocalittico: è Satana che è riuscito nel suo originario intento di capovolgere, cioè di negare la creazione?
Il secondo. Nei Sepolcri, Foscolo dice: “dal dí che nozze, tribunali et are dier alle umane belve d’esser gentili”. Dunque, il passaggio dal regno animale al regno umano avviene attraverso il matrimonio, l’amministrazione della giustizia, la religione. Gli animali non si sposano; risolvono le loro liti non appellandosi a una giustizia, ma secondo la legge del più forte; non adorano Dio. Ora che cosa osserviamo? la progressiva de-costruzione dell’istituto del matrimonio; il progressivo prevalere della convinzione che non esista una giustizia, ma solo convergenza o divergenza di interessi; la costruzione della società che prescinde completamente da Dio.
Tuttavia, al di là e prima di ogni cultura, sta la concreta persona umana. La concreta persona umana che ha nel suo cuore un inestinguibile desiderio di verità, di bellezza, di libertà, un’insopprimibile nostalgia della sua vera Patria.
“Parlate al cuore di Gerusalemme” dice il Profeta Isaia. Noi non parliamo alle culture: parliamo al cuore di ogni uomo per annunciare il Vangelo della grazia.
Certamente, è un uomo che oggi vive il dramma di una sessualità ulteriormente spezzata, di un rifiuto della verità e del mistero. Ma sono, alla fine, “drammi indotti”. L’importante che sappiamo parlare al suo cuore, che la Chiesa non abbandoni questo uomo.