Ricordando, tra l'altro, s. Caterina da Siena che si festeggia oggi.
A Qualcuno fischieranno, salva reverentia, le orecchie.
Luigi
Il Cammino dei Tre Sentieri 20 APRILE 2022
di Francesco Agnoli (da Il Settimanale di padre Pio)
In un’epoca in cui spesso si ritiene, erroneamente, che l’autorità dei pontefici fosse assoluta, e il ruolo delle donne inesistente, accade spesso qualcosa di “strano”: le donne, anche laiche, richiamano e correggono i papi, e la loro voce è forte, autorevole e ascoltata.
Siamo nel XII secolo e santa Elisabetta di Schonau (1129-1164) non esista nel suo Liber viarum Dei a scrivere: “il capo della Chiesa è malato e le sue membra sono morte. Infatti la Sede apostolica è dominata dalla superbia e caratterizzata dall’avarizia. Essa è piena di malvagità e di peccato e scandalizza le mie pecore e le conduce all’errore, invece che guidarle rettamente…”
Qualche anno dopo è una monaca, santa Lutgarda di Tongres (1182-1248) a riferire pubblicamente che Innocenzo III, certamente un buon papa, sconterà le sue colpe in Purgatorio sino al giorno del Giudizio!
Spostiamoci ora al XIV secolo, e tralasciando i pubblici ammonimenti alle autorità laiche e religiose del suo tempo, papi compresi, da parte di santa Brigida di Svezia (1303-1373), soffermiamoci su santa Caterina da Siena (1347-1380). Le sue lettere sono oggi raccolte in tre volumi: Le lettere di santa Caterina da Siena (Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998). Tra queste ve ne sono diverse scritte ad alcuni papi, in particolare a Gregorio XI e Urbano VI. Non si tratta di pontefici vergognosi, del tutto sordi allo Spirito santo, come sdaranno papa Borgia o altri del Rinascimento, ma di uomini buoni e ben intenzionati, vissuti in periodi difficili.
Ebbene, Caterina usa verso di loro un linguaggio rispettoso, ma non fa sconti: esorta, incalza, corregge. E’ convinta che la crisi dei fedeli derivi dalla pessima condotta dei pastori e non esista a scrivere che “Ho qui sentito dire che hai nominato alcuni cardinali. Credo che sarebbe onore per Dio ed edificazione per noi, se provvedessi a scegliere sempre uomini virtuosi. Se farai il contrario, ciò provocherà gran disonore a Dio e danni alla Santa Chiesa! Poi non ci meravigliamo se Dio ci manda le sue punizioni e correzioni” (lettera 185). Il messaggio, piuttosto chiaro, viene ribadito più volte: nella Lettera 206 i “superiori ecclesiastici” sono definiti “pieni di immondizia e cupidigia” e l’invito al papa è di tenerne conto. L’esortazione a scegliere uomini buoni, e non malvagi, e a punire coloro che danno scandalo ritorna nella Lettera 285 e nella 291.
Nella Lettera 302 a Urbano VI, Caterina lo ammonisce, lo invita ad essere meno duro, più amorevole: “Quanto ad autorità puoi tutto, ma quanto a vedere non sei più di un uomo (…) e io so che desideri avere persone che ti aiutino: ma occorre che tu abbia la pazienza di ascoltarle”, di sceglierle con oculatezza; mentre nella 306 lo invita a correggere il suo brutto carattere: “Mitiga un po’ quegli scatti repentini, che il tuo carattere ti spinge a fare. Con la tua santa virtù combatti e vinci il tuo violento temperamento.”
Non basta. Caterina sa anche alzare la voce ancora di più, seppur con incisiva brevità: “Non essere più negligente”, scrive lapidaria, oppure, incredibilmente schietta: “Io, se fossi in voi, temerei che il divino giudizio venisse sopra di me”.
E i papi? Ascoltano le sue critiche, si affidano a lei, le chiedono aiuto.