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giovedì 25 novembre 2021

Sugli altari il maestro di Nichi Vendola?

Mons. Antonio "don Tonino" Bello (1935-1993) è uno dei vescovi più amati e citati dalla sinistra italica, a cominciare da Nichi Vendola (QUI), e araldo di una "Chiesa del grembiule" decisamente sbilanciata sulla dimensione sociale (e talora socialista). Un articolo di Roberto Cavallo, risalente al lontano 2012, ne ripercorre alcuni tratti peculiari offrendone peraltro una testimonianza di prima mano, che pur evidenziando gli aspetti positivi della sua personalità non li prende a pretesto per battezzarne anche l'ideologia, quel catto-progressismo di cui è stato esponente significativo.
Oggi ne è stata decretata l'eroicità delle virtù, in altri termini è venerabile: primo passo della (non automatica, comunque) ascesa agli onori degli altari. Un tempo la saggezza della Chiesa posticipava le canonizzazioni di decenni e di secoli per evitare di proporre a modello insieme al probabile santo anche eventuali beghe politiche o altre dispute che sarebbero state canonizzate insieme a lui. Pare che oggi la gerarchia abbia fretta di conferire al nuovo trend ecclesiale anche l'aureola. Attenzione: da qui alle beatificazioni e canonizzazioni politiche il passo è breve. E se fosse santo? Meglio per lui, ma non proponetecelo a modello. Intanto Pio XII resta sempre in sala d'attesa, evidentemente non è adeguato alle mode ecclesiali...
Stefano


Promulgazione di Decreti della Congregazione per le Cause dei Santi

Durante l'Udienza concessa a Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Sommo Pontefice ha autorizzato la medesima Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti:

[...] le virtù eroiche del Servo di Dio Antonio Bello, Vescovo di Molfetta-Ruvo­ Giovinazzo-Terlizzi; nato il 18 marzo 1935 ad Alessano (Italia) e morto il 20 aprile 1993 a Molfetta (Italia) [...]

Fonte: Sala Stampa Vaticana


MONS. TONINO BELLO: IL PACIFISMO CHE NON CONDIVIDO 

di Roberto Cavallo - Recensioni Storia, 24 maggio 2012


Mia cara Silvia,

finalmente sono qui a scriverti. Davanti a me, sul tavolo fra i tanti libri e giornali piegati alla rinfusa, da qualche giorno c’è un’immaginetta di don Tonino Bello – Vescovo. Me l’hanno data insieme a qualche volume acquistato in libreria.

Sul frontespizio c’è la sua fotografia; nel retro alcune preghiere da lui composte – nel suo tipico stile volutamente anticonformista – e infine la preghiera per la canonizzazione e per chiedere grazie per sua intercessione. So che sei molto devota del servo di Dio don Tonino Bello, già vescovo di Molfetta, deceduto nel 1993 dopo una lunga malattia. Spesso si dice così – una specie di metafora – per non usare quel termine che ci inquieta un po’ tutti: cancro. Essendo nato nel 1935, facciamo due conti e scopriamo che don Tonino è morto giovane, a 58 anni. Dunque è di lui che oggi ti voglio parlare.

Il Signore l’ha chiamato giovane, giovanissimo. Anche da questa immaginetta che ho qui davanti traspare tutta la sua giovinezza e la sua bellezza, che non erano solo fisiche, ovviamente. Chi l’ha conosciuto sa quanto e quale “appeal” trasmettesse; la sua parola contagiava facilmente. La sua prestanza fisica affascinava.

Mi affacciavo appena alle scuole superiori quando lo conobbi – poco più che bambino – a Tricase, il paese natio di mia madre in provincia di Lecce.  Erano gli anni ’70-’80 e don Tonino era parroco lì, “alla chiesa madre”, come si diceva e come si dice in paese. La sua giovialità lo rendeva immediatamente familiare a tutti, ed era diventato amico dei miei zii e delle mie zie, che pure non brillavano per frequenza parrocchiale. Proveniente dalla vicina Alessano, nella diocesi di Ugento, a Tricase era ormai un mito: ammirato, stimato, amato. La sua parola calda, nell’ostentato accento sud-salentino, coinvolgeva e contagiava. I giovani lo adoravano, le donne lo seguivano affascinate. Gli uomini si pregiavano di essergli amico. Con un mio cugino di secondo grado – da sempre grande sportivo – affrontavano a nuoto lunghe traversate di mare, dalle scogliere incantevoli di Castro Marina fino a quelle di Tricase Porto: ampie bracciate, forti, costanti, sotto il sole stupendo di agosto. Qualche volta passava da casa dei miei zii a prendere un piatto di pasta, o una porzione di pesce arrostito “rustutu”. Nei paesi funziona ancora così…Lo ricordo sempre sorridente.

Questo e molto più era “don Tonino”. Riassumeva in sé gli ideali post-conciliari della preferenza per gli ultimi, e davvero li personificava. Dava del suo a chi bussava alla porta; organizzava e faceva visita agli ammalati, soprattutto a quelli anziani e abbandonati.

Non dimenticherò mai una povera donna che per anni aveva vissuto a Roma, a servizio di una ricca famiglia della capitale. Ex ragazza madre, aveva tirato su da sola il figlio. Poi questi si era sposato e, come talora capita, tra nuora e suocera non erano stati propriamente “rose e fiori”. Passano gli anni e la signora mentre a Roma lava per terra nella casa della sua datrice di lavoro inizia ad avvertire dolori alla schiena e alle gambe, via via sempre più forti. Va avanti, ma poi non ce la fa. Diagnosi: cancro alle ossa. Ritorna a Tricase, il suo paese natio. Qui si ricovera nell’ospedale fondato dal Cardinale Giovanni Panico e tuttora gestito dalle suore marcelline. Ma è sola. Ha pochi parenti ed amici. I rapporti con nuora e figlio non migliorano neppure dinanzi al male. E’ sofferente e sola. Interviene don Tonino: le fa compagnia al capezzale, e quando i suoi impegni lo allontanano da quel letto di dolore, organizza dei turni fra i parrocchiani volenterosi, affinché la malata non si senta mai abbandonata. In quelle visite – tristi – accompagnavo qualche volta mia madre e mia zia. Il ricordo di quella donna e di don Tonino si fondono uniti nella mia memoria… 

Poi, un giorno, giunse la notizia che don Tonino doveva diventare vescovo. Il paese esplose di felicità, ma anche di tristezza al pensiero di perderlo. Dal Salento si spostò così a Molfetta, sede del seminario teologico regionale.

Il 10 agosto 1982 don Tonino Bello veniva nominato vescovo della diocesi di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi, e il 30 settembre dello stesso anno vescovo della diocesi di Ruvo di Puglia, che così veniva accorpata a quella di Molfetta. Sin dagli esordi, il ministero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava “segni di potere” (per questa ragione continuava a farsi chiamare semplicemente don Tonino) e da una costante attenzione per gli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli uffici dell’episcopio per chiunque volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte. Su Wikipedia di lui leggiamo: “…Sua la definizione di “Chiesa del grembiule” per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione.”

Nel vortice degli impegni pastorali e istituzionali, fra le altre cose, don Tonino divenne presidente di Pax Christi.

Nel 1985 fu infatti chiamato dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana a succedere a monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, nel ruolo di guida di Pax Christi, il movimento cristiano internazionale per la pace. In quella veste espresse diversi duri interventi: tra i più significativi quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e di Gioia del Colle, e contro l’intervento bellico nella Guerra del Golfo, quando manifestò un’opposizione così radicale da attirarsi l’accusa di istigare alla diserzione. Erano gli anni a cavallo della caduta del Muro di Berlino: gli assetti geopolitici si stavano sconvolgendo e, come scrivono gli esperti di politica internazionale, da un mondo bipolare fondato sul confronto U.S.A.-U.R.S.S., si stava passando ad un mondo dove gli Stati Uniti assumevano il ruolo di “gendarme” del pianeta. Ma già prima che ciò accadesse don Tonino aveva fatto le sue scelte di campo: sempre e comunque per la pace e per la non violenza! Così se missili e cacciabombardieri si trovavano a due passi da casa – o dalla diocesi – avvertiva come suo dovere andare a protestare lì dove si trovavano quegli strumenti di morte. Pensava che noi cristiani, anche in ciò, dovessimo dare il buon esempio. Gli altri, i cosiddetti “nemici” dell’Occidente, per lui non erano mai tali: il comunismo sovietico o le dittature islamiste non erano un problema in sé e andavano affrontate con le armi del dialogo e della non violenza.

Semplifico, certamente, ma non più di tanto. Insomma don Tonino aveva fatto suo il pensiero pacifista, quello che nelle sue estreme conseguenze, all’apice del confronto Est-Ovest, arrivava ad affermare: “meglio rossi che morti”. La storia, in effetti, ha dimostrato che un’alternativa poi ci sarebbe stata, ed era quella del “né rossi né morti”. Ma, con tutto il rispetto per don Tonino, per Mons. Bettazzi vescovo di Ivrea e per tanti altri “catto-progressisti” (espressione forte ma che descrive), l’implosione del socialismo “scientifico” non fu dovuto alle marce pacifiste e agli interventi cosiddetti “profetici” che sicuramente attiravano la grande attenzione dei media (come non vedervi una punta di narcisismo ed autogratificazione?), quanto piuttosto ad un insieme di fattori. Fra questi, tre mi sembra siano stati i principali: la strutturale intrinseca dis-umanità del sistema comunista; la politica di fermezza attuata da Ronald Reagan con lo scudo stellare (contro cui si scatenavano le ire dei pacifisti); il messaggio personalista di Giovanni Paolo II, per cui il rispetto dei diritti dell’uomo non era subordinabile ad alcuna utopica società del benessere e dell’indefinito progresso socialista. Giovanni Paolo II, il Papa venuto dall’Est, giunse a dire, nell’enciclica “Dominum et vivificantem”, che il comunismo era un peccato contro lo Spirito Santo.

Come ben sai, cara Silvia, Gesù nel Vangelo dice che tutti i peccati e tutte le bestemmie possono essere perdonati, ma non quelli contro lo Spirito Santo…

Don Tonino Bello, uomo mite e pacifico, e soprattutto generoso, fu probabilmente travolto dalle mode teologiche imperanti nel dopo Concilio, per cui termini come “pace”, “poveri”, “ultimi”, divenivano suscettibili di una lettura e di un’interpretazione da manuale di sociologia marxista. Roba passata, mia cara Silvia, provvidenzialmente sconfessata dal tempo, ma che ha causato tanti danni che ancora oggi passano sotto silenzio. A proposito di pace e pacifismo, per esempio, di recente ho letto qualcosa che mi ha particolarmente colpito. Scrive il Prof. Filippo Andreatta nel suo libro Alla ricerca dell’ordine mondiale (cfr.: Filippo Andreatta, Alla ricerca dell’ordine mondiale. L’Occidente di fronte alla guerra, Ed. Il Mulino, 2004, Bologna, pag. 9): “Per i sostenitori di questa posizione (si riferisce a quella pacifista, n.d.r.) non vale mai la pena usare la forza, anche nei casi in cui essa sarebbe utile per sostenere le regole dell’ordine internazionale. Questa posizione intransigente, però, ignora il fatto che la pace – talvolta – è già stata compromessa da un atto ostile e che il suo ripristino può richiedere l’uso della forza, così come all’interno degli Stati la convivenza è garantita dall’azione della polizia. In questi casi l’assenza di una risposta adeguata all’uso della violenza non è affatto “neutrale”, ma un atto con profonde conseguenze politiche. La posizione pacifista, in altre parole, confonde la pace con il concetto di tregua – vale a dire la semplice assenza di violenza – e si concentra sulla pace come mezzo, mentre la pace è, nelle relazioni internazionali, un obiettivo che può anche richiedere l’uso della violenza”. Ecco, andare a manifestare contro i missili americani a Comiso – come si faceva negli anni ’80 – in ultima analisi non era un fatto politicamente “neutrale”, ma celava una chiara presa di posizione per l’altra parte: quella sovietica. Non a caso proprio Lenin si era inventato un’apposita definizione per indicare  quella categoria socio-politica che, specie  in Occidente, lavorava per il marxismo: quella degli “utili idioti”.

Sicuramente don Tonino Bello (e tanti altri in buona fede come lui), sinceramente innamorato del munus sacerdotale e profetico, non ne era consapevole. Ma la ricostruzione del prof. Andreatta, che sul concetto di pace sostanzialmente collima con l’interpretazione che ne offre la dottrina sociale della Chiesa, non mi sembra troppo lontana dalla realtà.

Che ne pensi?

Ciao. Ti aspetto.

1 commento:

  1. Io non ho conosciuto Mons. Bello per questioni anagrafiche. Quel poco che ho letto su di lui o da lui scritto - devo essere sincero - mi ha suscitato molte volte un senso di fastidio. Non lo capivo. Mi ricordava quel cristianesimo di plastica che avevo respirato nell'ora di religione o all'omelia domenicale. Mi richiamava la nenia melensa ed assurda dei canti urlati, accompagnati da improbabili organi elettrici. Troppo lontano dalla seria e semplice fede di mia nonna fatta di fiori, pizzi e lumi; di Rosari che ottengono tutto, di storie antiche, di semplici e solenni altarini per il mese di Maggio. La fede di mia nonna mi ha fatto ingurgitare come un boccone amaro le stravaganze che vedevo via via sostituire o almeno banalizzare la Fede e mi ha fatto rimanere in chiesa. Devo dire però che il Signore giudica il cuore, l'amore, il bene che nonostante i nostri limiti riusciamo a fare... chissà se anche i nostri Santi che ammiriamo sugli altari stupendi, che la furia iconoclasta post conciliare ha risparmiato, non ne avessero... Avevo sete e mi hai dato da bere... ero ignorato da tutti e mi hai fatto sentire una persona, potremmo tradurre anche... ultimamente ho dovuto fare i conti con la Croce nuda e dolorosa, con lo scegliere se gettarmi nel vuoto della volontà di Dio o cercare soluzioni umane che ti salvano l'oggi e ti fanno perdere il sempre ed in uno di questi momenti ho sentito una frase di una preghiera di Mons. Bello durante il Rosario di Lourdes a TV2000 che diceva pressapoco così: Maria soccorrici e non permette che andiamo da altri a farci soccorrere: è stata la mia preghiera in quel momento. E quante volte ho riascoltato su YouTube la preghiera a Maria del Sabato Santo quando il nostro chiede alla Vergine di preparare con lui i canti perché il tempo sembra non passare mai. È difficile per me dire che il suo pensiero fosse scevro da qualsivoglia errore (poi magari sono io a sbagliarmi) ma capiva il dolore dell'altro ed amava sul serio le persone e le amava per Amor di Dio. Per quel che riguarda certe espressioni come Chiesa del grembiule, come al solito, molte sono state tolte dal contesto ed enfatizzate: lui infatti non diceva che il grembiule dovesse sostituire l'oro dei paramenti ma affiancarlo: e come dargli torto?

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