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domenica 28 novembre 2021

Marcello Pera: "Europa, dove sei?"

Luigi

Europa, dove sei?

di Marcello Pera

Diamo pubblicazione dell'intervento tenuto all' Accademia lucchese di Scienze, Lettere e Arti
il 18 novembre 2021 dal Presidente emerito del Senato della Repubblica prof. Marcello Pera, che ringraziamo. Auspichiamo questo lucido intervento del sen. Pera possa aprire un serio dibattito sull'Europa e sulla Chiesa in Europa [L’Osservatorio]

1. Anche se quasi nessuno lo sa, proprio in questi giorni si stanno riunendo in tutta Europa quattro comitati ciascuno di 200 membri, cittadini europei selezionati in modo casuale, per discutere sullo “Stato futuro dell’Europa”. L’iniziativa, presa dalla presidente dell’Unione Europea, Ursula von der Leyen, su suggerimento del presidente francese Emmanuel Macron, è partita nel 2019, poi slittata al 2020, e si concluderà l’anno prossimo. I temi in discussione sono quattro: economia, democrazia, clima, migrazioni. Saranno oggetto di separati documenti da presentare alle istituzioni europee.
Se si discute di futuro dell’Europa, significa che la costruzione europea presente è ancora un cantiere aperto o quantomeno che vi sono lacune. Faccio sùbito un esempio. In queste ore, a fronteggiare i migranti che dalla Bielorussia premono ai confini della Polonia sono solo le forze dell’ordine polacche, anche se è chiaro che chi ce li manda, Lukashenko oggi, come Erdogan ieri e Geddafi prima, lo fa per ricattare l’Europa intera, non la sola Polonia. Perché, allora, non c’è l’Europa?

Semplice: perché l’Europa non ha confini definiti e non ha una forza per difenderli. Ecco una enorme lacuna. Non esistono un esercito europeo, una polizia europea, guardiacoste europei. In questa situazione, come si può parlare di Stato (o super-Stato) europeo? Il primo còmpito dello Stato è la difesa del proprio territorio. Come si può parlare di Unione Europea? Còmpito di un’unione fra Stati è soccorrere quelli che ne abbiano bisogno. Invece, oggi sembra valere ciò che qualche tempo fa disse l’ambasciatore Sergio Romano: che nell’espressione “Unione Europea”, “il termine Unione è una bugia”.

Non fa meraviglia allora che il sentimento di appartenenza ad una medesima comunità allargata europea si stia assottigliando e che presso molti cittadini europei cominci a farsi strada la richiesta di nazionalità e si stia sviluppando un patriottismo nazionale. È il fenomeno battezzato come “sovranismo”. Credo che, anziché deprecarlo e prima di criticarlo, si dovrebbe comprenderlo. È deprimente invece osservare che si preferisce farne oggetto di misera propaganda politica, come se non avesse motivazioni serie.

Perché nasce la diffidenza verso l’Europa e cresce il bisogno di rifugio nei nostri Stati-nazione? A mio avviso, non c’è nessun mistero o disegno, nessun complotto di forze antidemocratiche, nessun rigurgito del passato. Ci sono solo reazioni politiche a fatti crudi da analizzare e a problemi oggettivi da risolvere. Consideriamo la situazione e ciascuno guardi alla propria condizione.

2. Se, a causa di fenomeni migratori, hai bisogno di sicurezza alla tua frontiera o dentro il tuo paese e vedi che l’Unione europea non ha un’agenda adeguata a soddisfarlo; se abiti in una zona di periferia e l’Unione ti lascia solo a fronteggiare ondate di clandestini; se, di fronte a questo fenomeno, consenti ad alcuni Stati interni e riparati di chiudere i loro confini trasformando in imbuti ciechi gli Stati di frontiera; se hai paura del terrorismo islamico e vedi che le élites politiche europee evitano persino di chiamarlo col suo nome proprio; se le gerarchie della Chiesa si comportano allo stesso modo, magari piantando alberi di pace mentre i terroristi ti fanno la guerra; allora è comprensibile che un patriottismo europeo stenti a nascere. Anzi, cominci a pensare che l’Europa sia un problema, non la soluzione. Che ti sia estranea e lontana, anziché prossima.

Facciamo analoghe osservazioni, soprattutto con riferimento a casa nostra. Se le tue condizioni di vita peggiorano e la classe media del tuo paese si impoverisce sensibilmente; se paghi tasse elevate; se il lavoro decentemente retribuito scarseggia; se i giovani hanno futuro incerto; se la competizione nel mondo globalizzato abbassa il tuo tenore economico; se lo stato sociale diventa sempre più costoso e sei costretto a pagarlo due volte, prima con il contributo ai servizi nazionali poi con le parcelle ai servizi privati; allora il patriottismo nazionale cresce, perché di fronte a questi problemi lo Stato-nazione diventa l’unico luogo per la soddisfazione dei tuoi bisogni, cioè diventa la tua vera patria. La vera patria, infatti, è là dove c’è cura di te.

Dunque, non serve a niente, salvo che a far mostra di buoni e facili sentimenti, condannare i patriottismi nazionali che rinascono. Servirebbe un po’ di onestà intellettuale per capire le ragioni per cui rinascono.

Prendo ancora l’esempio della Polonia. Di recente è stata condannata dal Parlamento e dalla Commissione europea ed è ora minacciata di sanzioni fino all’espulsione dall’Unione per violazione dello stato di diritto. Ma qualcuno ci ha spiegato in che cosa precisamente consistono queste violazioni? Qualcuno, compreso la stampa, ha mai fatto conoscere le motivazioni della corte costituzionale polacca in merito al rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario? Qualcuno ha mai ricordato che l’intervento della corte costituzionale polacca ha la stessa fonte di legittimità di quello della corte costituzionale tedesca, che pure decide se le cessioni di sovranità verso l’Europa sono compatibili con l’ordine costituzionale tedesco? E soprattutto: che cos’è, fino a dove si estende, quali limiti ha, il cosiddetto “stato di diritto europeo”? Coinvolge anche la legislazione su materie etiche? E se i polacchi volessero mantenere le loro in armonia e continuità con tradizione cattolica assai sentita in quel paese, perché dovremmo condannarli?

È anche su terreni come questi che viene a mancare l’Unione europea. Essa dà l’impressione di fare distinzioni fra Stati, di promuoverne alcuni e censurarne altri, di favorire certe politiche di alcuni partiti o coalizioni di partiti anziché altre, di imporre decisioni in disprezzo delle maggioranze e dei governi eletti. È come se dai palazzi di Bruxelles venisse un avvertimento agli elettori degli Stati nazionali: o vi fate governare da maggioranze e persone da noi approvate, oppure siete fuori dalla nostra comunità di “princìpi e valori”. Niente suona più offensivo e irritante per un elettore del sentirsi dire che non è libero di scegliere o che lo è solo entro un certo perimetro.

I polacchi, che hanno la memoria sanguinante delle invasioni nazista e sovietica, hanno il timore che l’Unione europea si comporti nei loro confronti come un impero centrale. Si può o no discutere se i popoli europei hanno solo il dovere di cedere la loro sovranità e non anche il diritto di mantenere le proprie tradizioni, almeno riguardo a certe materie particolarmente sensibili?

Chiarisco la domanda. Supponiamo che nella costituzione di un paese europeo sia scritto che la famiglia è una “comunità naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”. È il caso della costituzione italiana all’art. 29, anche se l’espressione “fra un uomo e una donna” non vi compare, ma è chiaramente implicita in quella di “comunità naturale”, che non significa “comunità giuridica” o “comunità culturale”. Ebbene, questa costituzione deve cedere al diritto comunitario che prevede il matrimonio omosessuale? E perché? I popoli europei non hanno mai partecipato a discussioni riguardo a questo nuovo diritto. Al contrario, quando fu stilata una costituzione europea, la quale dà spazio alla famiglia omosessuale, i francesi la bocciarono con un referendum.

La realtà è che un vero spirito europeo non è ancora nato, anche perché, agli occhi dei cittadini, le istituzioni europee non hanno fatto molto per farlo nascere, essendo opache e pletoriche. Abbiamo un’abbondanza di organi politici, amministrativi, giurisdizionali, in cui è difficile districarsi, e che pure ci inviano quintali di regole e decisioni e direttive e sentenze ogni anno. Qualcuno sa precisamente quali poteri ha il parlamento europeo, che pure è eletto da tutti noi? Qualcuno conosce le competenze e le differenze fra Commissione europea, Consiglio europeo, Consiglio dell’Unione europea? Qualcuno sa dire che cos’è e che cosa fa il Consiglio d’Europa, che pure, nonostante il nome, non fa parte delle istituzioni dell’Unione europea? La democrazia deve essere trasparente. Implica che i governanti siano controllati dai governati mediante elezioni e perciò che i governanti siano ben conosciuti. Invece, a dire onestamente le cose come stanno, gli organi e gli uomini di governo europei sono personaggi spesso oscuri e nascosti. Per questo l’Unione europea oggi non è una federazione né è una confederazione, bensì un’aggregazione non sempre ben riuscita. Forse non è una plateale bugia, ma è una mezza verità.

Quanto dico suona euro-scettico? Ecco un altro modo di dire per non ragionare. Oppure per esorcizzare le difficoltà battezzandole con termini dalla connotazione negativa. È polemica banale e deprimente.

Se si guarda alla scala geopolitica mondiale, l’Europa è diventata una necessità ed è irreversibile. Non possiamo prescindere e non possiamo tornare indietro. Anche un nazionalista, se non è miope, non può non riconoscerlo. Dopotutto, se c’è l’America, c’è la Cina, c’è la Russia, e ci sono altri attori potenti in regime di pluralismo competitivo crescente, dovrebbe esserci anche l’Europa a determinare gli equilibri mondiali e difendere i nostri interessi. E tanto più deve esserci oggi quanto più l’America non è lo stesso nostro protettore di prima. Il tempo dello scudo americano sta ormai per scadere. Lo zio Sam è sempre più restio a pagare i conti della nostra difesa. Non c’entra Trump, c’entrano gli interessi dell’America. Ma allora, se l’Europa è necessaria, quella di oggi va criticata e ripensata, e quella futura deve essere meglio disegnata. Questo è sano realismo, lo scetticismo non c’entra.

3. Supponiamo ora che l’Europa la vogliamo seriamente e che siamo tutti convinti che sia necessaria e irreversibile. Per costruirla davvero, c’è ancora un problema molto serio da affrontare ed è quello dell’identità. L’America è il continente liberaldemocratico cristiano. La Cina il continente comunista e confuciano. La Russia il continente autocratico e ortodosso. E l’Europa che cos’è?

Chi eravamo lo sappiamo. L’Europa era il continente cristiano. Lo è ancora? La Conferenza sul futuro dell’Europa in corso, che tratta anche questo tema sotto la rubrica “valori e diritti”, non è la prima ad occuparsene. Di fatto, i grandi padri dell’Europa lo ebbero chiaro sùbito dopo la Seconda guerra e pensarono ad un’Europa cristiana, perché ritenevano il cristianesimo battesimo di identità e civiltà.

Disse Schuman: “tutti i paesi dell’Europa sono permeati dalla civiltà cristiana. Essa è l’anima dell’Europa che occorre ridarle”.

Disse De Gasperi: “come concepire un’Europa senza tener conto del cristianesimo, ignorando il suo insegnamento fraterno, sociale, umanitario?”.

Disse Adenauer: “consideravamo mèta della nostra politica estera l’unificazione dell’Europa, perché unica possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e cristiana contro le furie totalitarie”.

Il progetto di questi padri, la Comunità Europea di Difesa (CED), come è noto finì male, per mano francese, ma il tema ritornò negli anni Novanta, quando il processo di integrazione economica si fece più stringente e quello di unione politica, dopo la caduta del Muro di Berlino, cominciò a bussare alla porta.

Nel 1992, Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, pronunciò un discorso nella cattedrale di Strasburgo in cui sollevò il problema, che agli Italiani ricorda tanto quello celebre di D’Azeglio. Disse: “bisogna dare un’anima all’Europa … Se nei dieci anni a venire non riusciamo a darle un’anima, una spiritualità, un significato, avremo perduto la partita dell’Europa”.

Qualche anno più tardi, nel 1999, Romano Prodi, anche lui presidente della Commissione europea e anche lui in una chiesa, si espresse negli stessi termini: “l’Europa non si può concepire nell’oblio della sua memoria e in questa memoria figura la traccia permanente del cristianesimo. Nelle diverse culture delle nazioni europee, nelle arti, nella letteratura, nell’ermeneutica del pensiero c’è la culla del cristianesimo che alimenta credenti e non credenti”.

E tanti altri hanno sostenuto la stessa posizione. Inutile che ricordi gli interventi accorati e molto dotti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

E però la discussione è finita male anche questa volta. Dell’anima cristiana dell’Europa non si è più parlato. E quando se ne è parlato, quest’anima è stata via via nascosta, emarginata, censurata e anche repressa. Quante discussioni inutili sulle “radici giudaico-cristiane dell’Europa” da richiamare nel preambolo della costituzione! Quanta retorica! Quanta ipocrisia di chi fingeva di apprezzarle, quelle radici, e in realtà non credeva a nulla!

Guardiamo in faccia la realtà. Oggi in Europa siamo nell’epoca dell’apostasia del cristianesimo, del nascondimento e cancellazione della nostra storia, dell’abbattimento dei nostri simboli. Si dice che è per una questione di inclusione, di pari dignità, di accoglienza degli altri. Sarà. Resta comunque che è una negazione gravissima della nostra identità. E io temo peggio: che sia anche una questione di paura.

Siccome la nostra memoria è spesso labile, conviene citare alcuni fatti recenti che non dovrebbero essere dimenticati in fretta, perché sono ammonimenti molto seri.

L’Europa ha evitato di menzionare le sue radici giudaico-cristiane nella sua Costituzione poi defunta, poi risorta, poi finita nell’obitorio giuridico di qualche trattato.

L’Europa ha condannato un politico italiano, Rocco Buttiglione, per aver sostenuto che il matrimonio omosessuale è contrario al suo credo cristiano.

L’Europa promuove legislazioni che violano princìpi cristiani sui principali temi etici. Sostiene l’aborto, l’eugenetica, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni, il matrimonio omosessuale, l’identità di genere, e già tollera la poligamia.

L’Europa non ha difeso un Papa, Benedetto XVI, attaccato perché in una sua lezione aveva sostenuto che il cristianesimo è religione del logos e non della spada e aveva chiesto all’islam di pronunciarsi in modo analogo.

L’Europa ha impedito a questo stesso Papa di parlare in una università, la Sapienza di Roma, dopo averlo invitato.

L’Europa nasconde i suoi simboli cristiani, nelle sue scuole elementari non insegna più a dire “Buon Natale” o “Buona Pasqua”, perché dice di non voler offendere i bambini dei non credenti o degli altri credenti.

L’Europa concede nei propri Stati la massima libertà religiosa e di culto agli islamici, ma tollera che, nei loro Stati, questa stessa libertà sia conculcata fino al martirio dei cristiani, in Africa, in Asia, in Turchia, in India, dappertutto.

L’Europa protegge sotto lo scudo della libertà di espressione le opere d’arte blasfeme nei confronti del cristianesimo, ma sospende questa stessa libertà quando si tratti di irriverenza satirica nei confronti dell’islam.

L’Europa reagisce flebilmente al fondamentalismo e al terrorismo islamici perché si considera colpevole di esportare la civiltà cristiana.

E così via, ogni volta con un cedimento rispetto alla nostra tradizione religiosa. Non fa meraviglia che seri studiosi parlino ormai di una “Europa senza Dio” e che i dati provino che l’Europa sia tra le aree più secolarizzate dell’Occidente.

Mi faccio delle domande. Può nascere un patriottismo europeo in una terra così desolata? Possiamo dotarci di una identità europea, se una fonte essenziale di identità dell’Europa, quella religiosa, è osteggiata? Se qualcuno ci terrorizza e ci accusa di essere “giudei e cristiani”, possiamo ancora rispondere: sì, lo siamo e vogliamo restarlo? Se dobbiamo dialogare con gli altri, possiamo farlo se gli altri declinano la loro identità e noi ci vergogniamo della nostra?

Fino a poco tempo fa, pensavo che queste domande dovessero essere indirizzate al mondo politico, ai partiti, alle istituzioni. Da tempo, mi trovo costretto a rivolgerle al mondo cattolico e in primo luogo al suo magistero, dai vescovi al Pontefice. Le nostre chiese si spopolano, alcune chiudono, altre cadono, altre si trasformano in nuovi edifici. La nostra educazione tradizionale si perde. Il nostro senso di appartenenza si affievolisce. I vescovi marciano con la bandiera arcobaleno. Sulla loro bocca, l’espressione “salvezza” è lentamente sostituita dall’espressione “giustizia” e l’espressione “giustizia” è sempre più intesa nel senso di “giustizia sociale”, come se la giustizia del Dio cristiano avesse a che fare con la busta paga, mentre i termini “proselitismo” o “evangelizzazione” sono giudicati scorretti e banditi. Su questa strada, il cristianesimo si secolarizza, diventa umanesimo, ecologismo, pacifismo, democrazia, diritti umani. Con uno slittamento semantico non facile da comprendere, il Pontefice chiama “clericalismo” ciò che dovrebbe essere fermezza di dottrina e coerenza di comportamenti. In tanta confusione, ci può capitare persino di veder recare omaggio al paganesimo, come si è visto al Sinodo dei vescovi panamazzonico o con l’ingresso della Madre terra in San Pietro.

Mi fermo qui. Per riassumere in rapida sintesi, rispondo alle domande che via via mi sono fatto. Europa, dove sei? Oggi sei terra indefinita. Europa, chi sei? Oggi sei un soggetto in via di smarrimento. Europa, ci sei? Oggi manchi spesso all’appello.