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mercoledì 24 novembre 2021

La "misericordia" di padre Spadaro

Riceviamo da Giuseppe Rusconi.
La neo misericordia della new wave eccesiastica del direttore di Civiltà Cattolica e stretto collaboratore di Francesco.
Luigi

ANTONIO SPADARO, SCRIBI E BELVE 
di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org 
 15 novembre 2021

Un commento a proposito di scribi - apparso su ‘il Fatto Quotidiano’ e a dir poco straripante – di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. Un interessante approfondimento di ‘Jesus’ 11/2021 sul dialogo ebraico-cristiano, con un’intervista al Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni.

E’ da qualche tempo che non ci occupavamo del Turiferario prezzemolo, al secolo padre Antonio Spadaro. E’ noto che il gesuita e bergogliano doc direttore de La Civiltà Cattolica tiene una rubrica domenicale su il Fatto Quotidiano (il cui direttore, Marco Travaglio, studente presso i salesiani, inizialmente collaboratore di settimanali diocesani, negli Anni Ottanta-Novanta ha un passato da cattolico di destra al ‘Giornale’ di Montanelli, non disdegnando neanche di scrivere su “il Borghese” e su “La Padania”). Ieri, domenica 14 novembre 2021, il Turiferario prezzemolo ha commentato il brano del vangelo di Marco 13, 24-32 (“In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte…”). Un invito a nozze per il direttore, consumato regista di atmosfere ‘forti’. Infatti l’incipit già incute paura a una prima lettura: “Il tono è cupo, sordo, basso. Si fa buio. Gesù parla ai suoi discepoli, e parla a lungo. Il suo sguardo si fa visionario e apocalittico…”.

Riandiamo però alla settimana prima, domenica 7 novembre 2021. E qui Spadaro commenta un altro brano sempre del vangelo di Marco, stavolta al capitolo 12, 38-44. Eccone la prima parte: (Gesù) “diceva ancora, durante il suo insegnamento: ‘Guardatevi dagli scribi, i quali amano passeggiare in lunghe vesti ed essere salutati nelle piazze, occupare i primi seggi nelle sinagoghe e sedere nei primi posti nei banchetti; divorano le case delle vedove e fanno finta di pregare a lungo. Riceveranno una più dura condanna”.

Come è noto nei Vangeli non raramente gli scribi (laici esperti della Torah, che avevano l’autorità di interpretarla e di spiegarne i precetti) sono associati ai farisei (gruppo d’élite di finalità politica e religiosa, che promuoveva una rigorosa osservanza dell’intera legislazione mosaica). Ambedue le categorie sono spesso oggetto di forti critiche (e anche invettive) da parte di Gesù, che tuttavia de facto ha con loro rapporti ambivalenti, accettandone ad esempio occasionalmente inviti a pranzo.

Il commento di padre Spadaro al brano evangelico non conosce sfumature. E il Turiferario prezzemolo ci mette del suo, dapprima con un lirismo languido e un po’ guardone da fine Ottocento. Leggete con noi: “Gesù si sofferma sul fatto che essi ‘passeggiano’. Lo sguardo passa dal movimento leggero delle gambe all’abito: indossano lunghe e vistose vesti. Subentra il sarcasmo: “Poi lo sguardo si allarga ancora di più alla loro vita tra sinagoghe e banchetti. Il sacro e il profano. La devozione e la degustazione. Che cosa hanno in comune? Il fatto che questi uomini amano i primi posti a sedere. Passeggiano onorati e siedono venerati”.

Ce ne sarebbe già abbastanza per spedirli senza ulteriore indagine nell’Inferno di Spadaro, già popolato di rigidi, ‘duri di cuore’, cultori della ‘Messa in latino’, ‘sovranisti’, ‘reazionari’ di ogni ordine e grado. Ma il Turiferario prezzemolo è colto da climax ascendente: “Gesù prosegue con un dittico metaforico tremendo, uno scatto fotografico: ‘Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere’ “. A questo punto il direttore de La Civiltà Cattolica straripa in un delirio anche cinematograficamente forsennato. Imperdibile il ritratto dei poveri scribi: “Vediamo le fauci grottesche, kafkiane. La metamorfosi di uomini in belve che mangiano case. Non palazzi sontuosi, ma povere case di povere vedove. E poi vediamo le mani giunte in preghiera di queste belve, le loro prostrazioni che durano a lungo in modo che siano ben visibili”. Conclude l’artista il suo climax: “Gesù predica con l’immaginario, esprime la condanna più severa dipingendo, a tratti ora barocchi ora preraffaelliti ora espressionistici, una fiera delle vanità. Una posa, uno stucco”.

Non bastavano le invettive di Gesù). No, l’ umile ‘misericordioso’ ha voluto aggiungere a quelle evangeliche le sue di legnate a quelle ‘belve’ di scribi dalle ‘fauci grottesche’, che erano perdipiù tra gli ebrei più colti. Chi ci legge difficilmente potrà sottrarsi a qualche riflessione spontanea sul commento vergato dall’autore in qualità – e va sottolineato - di direttore de La Civiltà Cattolica.