Approfondito articolo sulla questione dello sciagurato Motu Proprio di Francesco.
Luigi
31 agosto, Croce-Via
Sono felicissimo di poter condividere questo articolo del Dr. Michael Fiedrowicz, professore alla facoltà di di teologia di Treviri apparso ieri in tedesco su CNA-Deutsch e tradotto con Deep-L. (Grassetti neri e rossi e sottolineature mie)
Questo articolo riassume con competenza tutti i punti già da noi messi in evidenza:
(a) l’orrore della nozione di avere dei libri liturgici specifici definire la nostra fede in modo univoco
(b) il parallelismo con quanto avvenne durante la crisi ariana
(c)la damnatio memoriae della Fede della Chiesa cattolica
(d) la necessità per noi tutti di fare come fecero i nostri antenati durante la crisi ariana con la medesima speranza cristiana: Deus Vult!
Buona lettura.
In Pace
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Il Prof. Dr Michael Fiedrowicz (nato nel 1957) è un esperto di Storia della Chiesa e della Liturgia. Alcuni anni fa ha pubblicato il libro “Die überlieferte Messe: Geschichte, Gestalt und Theologie des klassischen römischen Ritus” presso le edizioni Carthusianus Verlag, anche rintracciabile in “The Traditional Mass: History, Form, and Theology of the Classical Roman Rite” (Angelico Press, 2020) Per CNAdeutsch ha messo a disposizione il suo contributo per la pubblicazione, che è già apparso in forma stampata nelle “IK-Nachrichten” dell’associazione di fedeli “Pro Sancta Ecclesia”. La pubblicazione alla CNA è stata approvata anche da questa parte. Ringraziamo sinceramente entrambi i titolari dei diritti.
Il professor Fiedrowicz insegna alla facoltà di teologia di Treviri presso la cattedra di storia della Chiesa antica, patrologia e archeologia cristiana. È un sacerdote dell’arcidiocesi di Berlino.
“Non sanno nemmeno cosa gli è stato tolto”
Prof. Dr. Michael Fiedrowicz
Lex orandi-lex credendi
Il 16 luglio 2021, giorno della festa di Nostra Signora del Monte Carmelo, è stata promulgata l’Esortazione Apostolica in forma di Motu proprioTraditionis custodes sull’uso della Liturgia Romana prima della riforma del 1970. L’articolo 1 recita: “I libri liturgici promulgati dai Papi San Paolo VI e San Giovanni Paolo II in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.”
Per apprezzare tutte le implicazioni di questa disposizione, è necessario sapere che il termine lex orandi – legge o regola di preghiera – fa parte di una formula più ampia coniata nel V secolo. Il monaco gallico Prospero di Aquitania, tra il 435 e il 442, formulò il principio: “affinché la regola della preghiera determini la regola della fede” (ut legem credendi lex statuat supplicandi). Sullo sfondo c’era una controversia teologica sulla grazia. La questione era se anche il primo inizio della fede (initium fidei) procedesse dalla grazia di Dio o dalla decisione dell’uomo. Prosper si riferiva alla preghiera di intercessione e di ringraziamento della Chiesa, che è significativa per la dottrina della grazia: “Ma teniamo anche conto dei misteri delle preghiere sacerdotali, che, tramandate dagli apostoli, sono solennemente offerte uniformemente in tutto il mondo e in tutta la Chiesa cattolica, affinché la regola della preghiera determini la regola della fede” (indiculus 8). Prosper enumera poi varie richieste fatte dalla Chiesa nelle sue preghiere ufficiali e ne deduce la necessità della grazia divina, poiché altrimenti la petizione e il ringraziamento della Chiesa sarebbero inutili e senza senso. Per Prosper, quindi, la fede della Chiesa si manifesta nella preghiera della Chiesa, così che la preghiera ufficiale della Chiesa è lo standard con cui la fede della Chiesa deve essere letta.
Già il maestro di Prosper, Agostino, aveva sviluppato l’idea che la preghiera della Chiesa testimonia la sua fede e la rende riconoscibile. Il principio lex orandi-lex credendi faceva ormai parte della comprensione di base della dottrina cattolica. La liturgia, come le Scritture e la Tradizione, è un locus theologicus, un luogo di scoperta, una fonte di conoscenza e una testimonianza di ciò che la Chiesa crede. Papa Pio XII ha definito la liturgia “un riflesso fedele della dottrina tramandata dai nostri antenati e creduta dal popolo cristiano” (Lettera Enciclica Ad Coeli Reginam, 1954). Allo stesso modo, egli sottolineò: “La liturgia nel suo insieme, quindi, contiene la fede cattolica nella misura in cui testimonia pubblicamente la fede della Chiesa” (Enciclica Mediator Dei, 1947).
L’unica espressione di tutti gli elementi del Rito Romano?
Papa Francesco, tuttavia, ora definisce, o piuttosto riduce, la liturgia del Rito Romano a ciò che è espresso nei libri liturgici promulgati da Paolo VI e Giovanni Paolo II. Questi libri sono “l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”. Se si assume il significato originale [cioè il valore nominale] della terminologia qui usata, allora anche la lex credendi – ciò che è da credere – dovrebbe essere presa solo da quei libri. Ma è vero? Questi libri sono davvero gli unici che bastano per poter leggere la fede cattolica da essi?
Certo, la lettera papale che accompagna il motu proprio suggerisce che tutti gli elementi essenziali del Rito Romano prima della riforma liturgica si possono trovare anche nel messale di Paolo VI: “Coloro che desiderano celebrare con devozione la forma liturgica anteriore non avranno difficoltà a trovare nel Messale Romano, riformato secondo lo spirito del Concilio Vaticano II, tutti gli elementi del Rito Romano, specialmente il Canone Romano, che è uno degli elementi più caratteristici.” Lasciando da parte l’esperienza della pratica liturgica, dove il Canone Romano non è quasi mai usato nel Novus Ordo – né nelle funzioni parrocchiali, né nelle chiese episcopali, né nelle liturgie papali – ci si deve chiedere se effettivamente “tutti gli elementi del Rito Romano” si trovano nei nuovi libri liturgici. A questa domanda può rispondere affermativamente solo chi considera obsoleto molto di ciò che ha caratterizzato il Rito Romano per secoli e ne ha costituito la ricchezza teologico-spirituale, come è evidentemente il caso di Papa Francesco.
Riforma liturgica: damnatio memoriae
Questo includerebbe tutto ciò che è stato sradicato dalle forze trainanti della riforma liturgica, sia per accomodare i protestanti in uno sforzo ecumenico fuorviante o per soddisfare la presunta mentalità dell'”uomo moderno”.
Per citare solo alcuni esempi:
Le feste dei santi furono abolite o degradate nella gerarchia liturgica.
Le preghiere dell’Offertorio con l’idea chiara e inequivocabile del sacrificio sono state sostituite da una preghiera da tavola ebraica.
Il Dies irae, la struggente rappresentazione del Giudizio Universale, non fu più tollerato nella Messa da Requiem.
L’avvertimento dell’apostolo Paolo nell’epistola del Giovedì Santo che chi si comunica indegnamente mangia e beve la condanna (1 Cor 11,27) fu omesso.
Le Orazioni: quei “più bei gioielli del tesoro liturgico della Chiesa” (Dom Gérard Calvet OSB), che sono tra i componenti più antichi del suo patrimonio spirituale e sono completamente impregnati di dogma, costituiscono praticamente una ‘summa theologica’ in nuce, esprimendo la fede cattolica in modo integrale e conciso…
Le sole Orazioni del Rito Classico, di cui solo una piccolissima parte è stata incorporata immutata nel Messale di Paolo VI, contengono e conservano numerose idee che sono state indebolite o sono scomparse del tutto nelle successive versioni modificate, ma che appartengono indissolubilmente alla fede cattolica:
il distacco dai beni terreni e il desiderio dell’eterno;
la lotta contro l’eresia e lo scisma;
la conversione degli infedeli;
la necessità di ritornare alla Chiesa cattolica e alla verità assoluta;
i meriti, i miracoli, le apparizioni dei santi;
l’ira di Dio contro il peccato e la possibilità della dannazione eterna.
Tutti questi aspetti sono profondamente radicati nel messaggio biblico e hanno inequivocabilmente plasmato la pietà cattolica per quasi due millenni.
Oltre a queste modifiche dirette al Rito Romano stesso, tuttavia, non dobbiamo dimenticare le altre concomitanze che rivelano una comprensione di base profondamente cambiata della Santa Messa: preziosi altari maggiori distrutti, con tavoli da pranzo al loro posto; preziosi paramenti bruciati o venduti; “Tinnef e Trevira” (M. Mosebach) fecero il loro ingresso,[1] il canto gregoriano e la lingua sacra latina furono banditi dalla liturgia.
L’approccio della riforma liturgica ricorda in parte la damnatio memoriae nell’antica Roma, la cancellazione della memoria dei governanti non graditi. I nomi sugli archi di trionfo venivano cancellati, le monete con le loro immagini fuse. Niente deve più ricordarli. Tutti i cambiamenti che hanno effettivamente avuto luogo nel corso delle riforme liturgiche assomigliano inequivocabilmente a una damnatio memoriae, una deliberata cancellazione della memoria della liturgia cattolica tradizionale.
Paralleli nel quarto secolo
Nella storia della Chiesa ci sono state più volte situazioni simili. A metà del IV secolo, la divinità di Cristo e quella dello Spirito Santo furono negate: Figlio e Spirito erano solo creature di Dio. Vescovadi e chiese erano ampiamente nelle mani degli eretici ariani. Quelli che rimanevano ortodossi si riunivano in luoghi remoti per il culto. Nel 372, il vescovo Basilio di Cesarea diede una descrizione commovente della situazione:
Gli insegnamenti dei padri sono disprezzati, le tradizioni apostoliche sono ignorate, e le chiese sono piene delle invenzioni degli innovatori. I pastori sono stati cacciati, e al loro posto portano lupi rapaci per sbranare il gregge di Cristo. I luoghi di preghiera sono abbandonati da coloro che vi si riunivano, le terre desolate sono piene di lamenti. Gli anziani si lamentano confrontando il tempo passato con quello presente; i giovani sono ancora più pietosi perché non sanno nemmeno cosa è stato loro tolto. (Epistola 9:2)
Queste parole del quarto secolo si applicavano senza dubbio anche alle generazioni nate dopo il Concilio: per molto tempo non sapevano nemmeno cosa fosse stato loro tolto, conoscendo solo l’aspetto attuale della Chiesa.
Due espressioni o una sola?
Papa Benedetto XVI, con il motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, ha reso nuovamente accessibili i tesori dell’immutato deposito della fede della Chiesa, in modo che le giovani generazioni possano ora conoscere nuovamente e testimoniare con la propria esperienza ciò che originariamente era stato loro sottratto. L’allora Pontefice ha parlato di “due espressioni della lex orandi della Chiesa”, l’espressione ordinaria (ordinaria expressio) che si trova nel Messale promulgato da Paolo VI, e l’espressione straordinaria (extraordinaria expressio) che si trova nel Messale Romano riedito da San Pio V e Giovanni XXIII (SP, art. 1). Nel suo più recente motu proprio, Papa Francesco si riferisce direttamente a questo passaggio (espressione della ‘lex orandi’) nella scelta delle parole e nella struttura della frase, ma si pone in diametrale opposizione ad esso determinando ora come valida solo una “singola forma di espressione” (l’unica espressione) della lex orandi (TC, art. 1).
Ma quale significato può ancora rivendicare la forma tradizionale della liturgia per la coscienza di fede della Chiesa? Se il recente motu proprio e la lettera che lo accompagna rendono subito evidente che il vero obiettivo a medio o lungo termine è la distruzione totale della liturgia tradizionale, e che per il momento le viene ancora concesso un periodo di grazia con drastiche restrizioni che mirano rigorosamente a impedire ogni possibilità di ulteriore espansione, allora – se non si dovesse concretizzare una resistenza decisiva – il lamento di San Basilio il Grande sulla sorte delle giovani generazioni del suo tempo avrà ancora una volta una nuova forza: “Perché non sanno nemmeno cosa è stato loro tolto“.
Salvare la Sposa di Cristo dall’amnesia
I regolamenti appena emanati ricordano spaventosamente quello che l’autore George Orwell descrisse come una tetra visione del futuro nel suo romanzo 1984 del 1948. C’è la dittatura di un Partito, che governa in uno stato di sorveglianza totalitaria: “Il Grande Fratello ti osserva”. In questo stato ci sono diversi ministeri. Il Ministero della Pace prepara le guerre. Il Ministero dell’Abbondanza gestisce l’economia socialista della scarsità. Non si parla di un Ministero della Salute, ma c’è un Ministero della Verità, che diffonde la propaganda ufficiale della menzogna: il partito ha sempre ragione. Perché sia così, ogni memoria del passato deve essere cancellata. Non devono più essere possibili confronti, tutto deve sembrare senza alternative. Il Ministero della Verità è impegnato a cambiare tutto ciò che ricorda il passato e che potrebbe rendere possibile un tale confronto. Orwell scrive:
Già non sappiamo quasi letteralmente nulla della Rivoluzione e degli anni precedenti la Rivoluzione. Ogni documento è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e strada ed edificio è stato rinominato, ogni data è stata alterata.[2]
Associare le parole di Orwell al recente Concilio non sembra illegittimo, poiché il Vaticano II è stato ampiamente celebrato come una “rivoluzione della Chiesa dall’alto”. Si crea così una situazione paradossale: affinché la Sposa di Cristo, la Chiesa, sia preservata dall’amnesia, dalla perdita di memoria, i cattolici fedeli alla tradizione dovranno ora dimostrarsi controrivoluzionari, i fedeli conservatori dovranno assumere il ruolo di ribelli, per essere essi stessi alla fine trovati, davanti al giudizio della storia e soprattutto agli occhi di Dio, i veri e unici traditionis custodes, custodi della tradizione, che meritano davvero questo nome.
NOTE
[1] “Tinnef” significa oggetti fatti di plastica riciclata. “Trevira” è un tipo di tessuto in poliestere.
[2] Edizione Signet Classics, p. 155.
Scusate: spero che nessuno s’offenda, ma, francamente, molto, troppo spesso le traduzioni (non solo in questo sito, ahimè!) sono illeggibili, scritte in una lingua falsa che tutto è tranne italiano.
RispondiEliminaUn esempio solo tra moltissimi che si potrebbero portare:
“l’orrore della nozione di avere dei libri liturgici specifici definire la nostra fede in modo univoco”.
Sarebbe italiano, questo?!
Ripeto che non voglio offender nessuno, che anzi credo siamo tutti grati a chi ci fa la cortesia di metterci in grado di leggere dei testi importanti per la nostra informazione e formazione critica. Dico solo, però, che un po’ di rispetto per la nostra bella lingua non guasterebbe.
Grazie. ;-)
Rispetto per la lingua e rispetto per i lettori.
EliminaOttimo articolo.
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