Ad perpetuam rei memoriam. Salvo le lodevoli eccezioni che abbiamo evidenziato, in seguito al motuproprio Traditionis Custodes, i vescovi hanno subito dato prova di voler eseguire quanto prima i desiderata del Santo Padre.
Ma nel 2007, quando il Santo Padre era Benedetto XVI e il suo Summorum Pontificum invitava ad aprire invece che a chiudere, avevano manifestato la stessa pronta (e prona...) obbedienza?
Un Tornielli d'annata, eloquente sin dal titolo, ci rinfresca la memoria, come un buon sorso di vino bevuto direttamente in cantina.
Stefano
Torna la messa in latino, la fronda dei vescovi
Il Giornale, 13-9-2007
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QUELLI CHE... RESISTONO
Al momento della pubblicazione del Motu proprio, il vescovo di Sora Luca Brandolini aveva detto: «È un giorno di lutto, non solo per me, ma per i tanti che hanno vissuto e lavorato per il Concilio Vaticano II». L’arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, nonostante il Motu proprio stabilisca che i fedeli si rivolgano direttamente ai parroci, è prontamente intervenuto con una notificazione stabilendo che «in nessuna parrocchia si introduca l’uso del messale del 1962», solo «per offrire in maniera indiscriminata la celebrazione in latino», e ordinando che «prima di concedere o di negare tale privilegio» si passi comunque per il vescovo. Duro anche il vescovo di Alba, Sebastiano Dho, che presiede la commissione liturgica dei vescovi piemontesi: ha suonato il campanello d’allarme parlando del rischio che con l’applicazione della decisione papale si venga a creare «una Chiesa parallela». Mentre il vescovo di Como Diego Coletti avverte che la richiesta della messa tridentina «non può essere avanzata da singoli credenti o persone che all’improvviso maturano la scelta di voler partecipare a una messa secondo il rito preconciliare». Interventi tutti pervasi da una malcelata avversione alla liberalizzazione voluta dal Pontefice, che tendono a restringerla preventivamente. Molti si augurano che lo stesso impegno sia ora messo in atto dai vescovi quando si tratta di contrastare abusi liturgici, sciatterie e insensate creatività che spesso hanno trasformato «la messa in show», come scrisse l’allora cardinale Ratzinger.
QUELLI CHE... NOI NO
Il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano (che pure aveva concesso dal 1988 una celebrazione domenicale in rito ambrosiano antico), a fine luglio aveva annunciato che lui non avrebbe usato il vecchio rito, ricordando «quel senso di chiuso, che emanava dall’insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva». Poi è arrivata la decisione della diocesi, oggi guidata dal cardinale Tettamanzi: il Motu proprio non si applica per il rito ambrosiano. Decisione che rispetta alla lettera la legge (nel Motu proprio non si cita il rito ambrosiano), ma che appare a tutt’oggi come la più clamorosa presa di distanze dall’intenzione liberalizzatrice del Pontefice. E per le parrocchie della diocesi di Milano dove vige il rito romano, un comunicato mette già le mani avanti affermando che non «risultano esistere gruppi stabili di fedeli per i quali potrebbero essere opportuni passi di riconciliazione».
[P.S. sulla mancata estensione del Summorum Pontificum al rito ambrosiano è interessante vedere come la tradizionale e gelosamente custodita autonomia liturgica della "Madunina" sia venuta improvvisamente meno nel 2020 allorché si è trattato di assimilare il nuovo Padre nostro e gli altri cambiamenti previsti per la terza edizione del Messale... Romano.]
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