Un'interessante riflessione del Maestro Porfiri, pubblicata da Stilum Curiae.
Luigi
21 Giugno 2021,Marco Tosatti
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Abbiamo ascoltato in questi ultimi decenni una certa narrativa, per cui avere ora più passi della Bibbia letti nella Messa abbia come conseguenza un arricchimento per il fedele. Come sapete, nella forma straordinaria, la cosiddetta Messa tridentina, le letture si ripetono annualmente, mentre nella forma ordinaria, quella che si celebra in quasi tutte le chiese, ci sono tre cicli (A,B,C) per cui nelle domeniche le stesse letture ricorrono ogni tre anni (ovviamente possono esserci testi che si ripetono ma come ordinamento generale delle letture esse sono legate ai rispettivi cicli liturgici). Ora, oggettivamente questo è un arricchimento in senso generale dell’offerta di passi biblici, lo è certamente in senso quantitativo, ma bisognerebbe interrogarsi se lo è anche in senso qualitativo.
Nell’Ordinamento Generale del Messale Romano viene detto: “Nelle letture viene preparata ai fedeli la mensa della parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia”. Riprende un passaggio di Sacrosanctum Concilium che afferma: “Perciò, per promuovere la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga favorito quel gusto saporoso e vivo della sacra Scrittura, che è attestato dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali”. Insomma, si fa riferimento non soltanto all’atto dell’ascoltare i tesori dalla Bibbia, ma anche favorire quel “gusto saporoso e vivo della sacra Scrittura”. Per fare questo non si può prescindere dalla memoria.
Innanzitutto bisogna comprendere qual è il ruolo del lettore. Il padre James W. Jackson, in un suo libro riferito alla forma straordinaria, così afferma: “il pericolo di tentare di rendere più interessanti le letture con artifici retorici deve essere anche evitato. Ricordo di avere avuto istruzioni in Seminario (non uno della Fraternità di San Pietro) di non leggere la Parola di Dio, ma di “proclamarla”. Questo porta il lettore o il sacerdote ad imporre proprie emozioni e accenti al testo – emozioni e accenti che sono assenti nei testi. Leggere la Scrittura nella liturgia in Latino, o prima della predica nella lingua volgare, non è recitare; piuttosto; il lettore deve concedersi di essere uno strumento umile della parola che viene dal cielo. I suoi occhi dovrebbero essere abbassati, la sua voce piana, i suoi gesti non esistenti. Egli non deve essere l’oggetto dell’attenzione” (Nothing superflous, mia traduzione). Insomma, si istruisce certamente ma attraverso un atto sacro, non è la stessa cosa che leggere un qualunque testo. Quindi, se è certamente importante cosa si legge, certamente non è secondario il come.
Poi, come ho detto, c’è il discorso della memoria umana, che è limitata. Su questo ci fa riflettere Romano Amerio nel suo Iota Unum, quando dice: “Il proposito di svolgere al popolo di Dio durante l’officio divino quanto più si può del tesoro biblico incorre in un inconveniente grave perché offende la pedagogia della memoria. Con l’antico rito nel corso di un anno il popolo udiva nei dì festivi un certo numero di pericopi dei Vangeli (alcune in verità aporetiche, come quella del fattore infedele). Allora il ritorno annuo, con l’annessa memoria dell’omelia, finiva per imprimere nello spirito dei fedeli qualche non vaga traccia dell’insegnamento del Maestro. Il rinnovo di una medesima impressione è invero il fattore principale della memoria. Col nuovo Lezionario, in cui le medesime cose ritornando solo dopo tre anni non possono imprimersi, la cognizione della Bibbia (e cognizione non vale nell’uomo se non c’è memoria) è quasi nulla. Il popolo di Dio che conosceva a memoria salmi e inni e sequenze e preci liturgiche e che le assimilava (talora storpiando) nei propri parlari, oggi non conosce quasi altro che le poche parti fisse della Messa. L’avere violato la regola della pedagogia e della psicologia della memoria fa che la cognizione delle formule liturgiche e della Bibbia, che si voleva ampliare, si sia per contro seriamente ristretta”. Quanto dice Romano Amerio è certamente degno di attenta considerazione, in quanto se lo scopo è una maggiore istruzione biblica dei fedeli, forse il mezzo usato non è adeguato.
Oggettivamente non ho mai avuto l’impressione che la consapevolezza biblica del fedele medio sia aumentata negli ultimi decenni. Abbiamo per esempio, altre letture dalla Bibbia, contenute nei testi delle antifone di introito e comunione (essendo misteriosamente sparito l’offertorio) ma queste, che nel caso dell’introito si ripetono annualmente, sono oramai completamente abbandonate. Dovremmo parlare in altra sede di questo grave sviluppo, ma qui basterà dire che questo “tesoro della Bibbia” non è più cantato come era previsto e nel migliore dei casi viene letto stancamente da alcuni sacerdoti.
Insomma, se quantitativamente l’arricchimento di passi dalla Bibbia porge ai fedeli una esposizione maggiore al testo sacro, si può dire che qualitativamente ne consegue un maggiore arricchimento spirituale per gli stessi? Viene rispettata la pedagogia della memoria? Certo sono domande che bisognerà affrontare senza pregiudizi ideologici.