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mercoledì 21 luglio 2021

La Chiesa russa benedice i soldati e le loro armi per la difesa della patria

Dobbiamo imparare dagli ortodossi russi.
Luigi

di Vladimir Rozanskij, Asia News, 4-6-21

Quelle usate dai cristiani ortodossi “nell’adempimento del dovere bellico”. Alcuni curiali difendono anche la benedizione degli armamenti nucleari. L’impegno patriottico-militare è decisivo nella tradizione dell’ortodossia russa.

Mosca (AsiaNews) – Il patriarcato di Mosca ha riunito dal primo al 3 giugno l’Assemblea consultiva generale degli organismi di curia, il cosiddetto Mežsobornoe Prisutstvie (Presenza Interconciliare). L’organismo si è riunito per discutere delle varie dimensioni pastorali e giuridiche dell’azione della Chiesa. L’argomento principale del dibattito ha riguardato il rapporto tra la Chiesa e le Forze armate, soprattutto l’abitudine diffusa di benedire armi e truppe, pratica molto diffusa tra i sacerdoti ortodossi russi.

Come ha spiegato Vakhtang Kipšidze, vice presidente del Dipartimento per i rapporti con la società del patriarcato, “la Chiesa non benedice i depositi di armamenti, ma i soldati ortodossi e le loro armi, che essi usano per la difesa della Patria”. L’assemblea curiale ha approvato un documento per definire la questione. Intitolato “Sulla benedizione dei cristiani ortodossi nell’adempimento del dovere bellico”, esso porta a compimento una riflessione iniziata già nel 2017.

Il testo stabilisce in modo ufficiale il “rito di aspersione con acqua benedetta dei reparti e degli ospedali militari, delle cappelle mobili per l’accompagnamento delle truppe nelle missioni di pacificazione”; è previsto anche “per accogliere il ritorno dei militari dalle loro missioni, alla conclusione della formazione nell’accademia militare, per la concessione dei gradi militari e i premi speciali” e per una serie di altri motivi.

Come hanno chiarito i rappresentanti patriarcali al giornale Kommersant, il documento entrerà in vigore solo dopo l’approvazione definitiva da parte del Sinodo dei vescovi, a novembre. La dichiarazione ha suscitato vivaci discussioni durante la sua presentazione, dividendo i curiali tra chi è contrario in generale alla benedizione delle armi e chi difende ogni forma di benedizione, anche quella delle armi nucleari, come ha raccontato il vice-amministratore generale del patriarcato, il vescovo di Zelenograd Savva (Titunov).

Secondo Savva, “abbiamo ritenuto fosse nostro dovere scrivere un documento che rifletta la pratica secolare della Chiesa, come essa si ritrova nei testi liturgici e storici, adattandola alla realtà di oggi; con alcuni tipi di armi odierne la Chiesa non aveva mai avuto a che fare in passato”. Durante il periodo sinodale, tra il ‘700 e il ‘900, in assenza della figura del patriarca, la Chiesa russa era soggetta allo Stato, secondo gli statuti approvati da Pietro il Grande. Vennero allora composte speciali preghiere e moleben per sostenere le azioni belliche.

Erano molto diffuse in quel periodo le benedizioni liturgiche per le armi bianche, come le spade dei cosacchi o le daghe degli ufficiali della Marina. Oggi i sacerdoti russi utilizzano testi di provenienza molto varia, alcuni redatti perfino nel periodo sovietico durante la “Grande guerra patriottica” del 1941-1945, quando la Chiesa fu rivalutata dal regime staliniano proprio per il suo sostegno alla causa militare patriottica, nella difesa dall’invasione nazista.

Il documento precisa anche che in questa materia non è il caso di usare il termine “consacrazione” (osvjaščenie) delle armi, perché “tale forma rituale si riferisce piuttosto agli oggetti che vengono benedetti da Dio”. Si deve usare invece il più generico “benedizione” (blagoslovenie), in cui le armi si possono aspergere con acqua benedetta, ma solo nel contesto della benedizione dei soldati stessi, a cui le armi sono destinate.

Come commenta Roman Lunkin, capo del Centro per lo studio delle relazioni tra religione e società dell’Accademia delle scienze, “l’impegno patriottico-militare è decisivo nella tradizione dell’ortodossia russa, e oggi il patriarcato intende rinnovarlo con accenti nuovi, cercando di fare attenzione più alla persona che all’ideologia”.