«[...] l'ignoranza dell'antico facilita l'illusione che si pensi qualcosa di nuovo»
(Étienne Gilson).
Una lettera dell'amico don Marco Begato ad Aldo Maria Valli.
Chiunque abbia sfogliato il nuovo Messale, anche solo le ripugnanti illustrazioni, può rendersi conto di come abbia ragione lo scrivente: la Bruttezza NON salverà il mondo.
Luigi
don Marco Begato
Tra tante riflessioni riguardo alla nuova traduzione del Messale, forse per mia distrazione, non mi è capitato di leggerne alcuna che ponesse in luce un nodo per me importante: qual è il legame tra il “nuovo Messale” e il magistero liturgico del Sommo Pontefice Benedetto XVI?
Ora, pur ammettendo che la ricezione di tale magistero autentico debba avvenire in primis a livello vaticano e solo successivamente presso le singole conferenze episcopali nazionali, sarebbe curiosa una riforma liturgica nazionale che ignori in toto un così significativo apporto pontificio. D’altro canto, l’impressione è che l’azione di rinnovamento liturgico italiano, dispiegata in occasione della nuova traduzione del Messale, sia stata effettivamente condotta nella generale indifferenza rispetto al contributo di Benedetto XVI.
Non che la cosa stupisca. Mi mancano riscontri da Oltralpe e da Oltreoceano, ma a livello locale dire che i più incisivi e puntuali interventi di Benedetto XVI siano stati del tutto dimenticati e archiviati nell’arco di pochi anni è usare un eufemismo. A volte sembra che verso Ratzinger si sia attuata una ferma damnatio memoriae. E ciò non risparmia certo il suo tentativo di riforma liturgica, anzi.
Nel dettato liturgico ratzingeriano la Chiesa era stata invitata ad attuare una riforma della riforma nella continuità. Potremmo scrivere a lungo e a lungo si è scritto in merito. Tante le critiche da ogni parte, eppure è evidente che Benedetto XVI abbia dato vita a un movimento di riscoperta della liturgia molto concreto e legato a un principio, in fondo, semplice: riscoprire con venerazione la ricchezza della nostra ritualità tradizionale, attingendo senza preconcetti anche all’antico per infondere maggiore autenticità e vitalità alle forme un po’ bistrattate della riforma liturgica post-conciliare. Meglio ancora: rimuovere il Concilio inteso come diga separatrice tra un prima e un poi nella Chiesa e così tornare alla vera riforma indicata e ratificata dai Padri conciliari, così da abbandonare finalmente la riforma parassita pilotata dai mass media e inculcata nel popolo fino a oggi.
Ecco, guardando la nuova traduzione del Messale e ascoltando gli interventi che l’hanno accompagnata la sensazione è che su tale criterio ratzingeriano si sia glissato. È stata fatta una riforma dopo il Concilio Vaticano II, questa riforma è già completa in se stessa, per darle maggior efficacia non abbiamo bisogno di prendere ulteriori consigli da nessuno – men che meno dal liturgismo preconciliare -, bensì sarà sufficiente ritoccare qua e là e aggiornare il lavoro ben fatto negli anni Settanta. Questo mi pare il ragionamento che sta dietro ai diciotto anni di lavoro dedicati all’impresa del Messale Cei.
Vari elementi confermano la tesi: le scelte tipografiche, il pastiche delle traduzioni, l’enfasi nuovamente portata su indicazioni vecchie di cinquant’anni, il latino che rimane un mostro, l’apparato simbolico-gestuale sempre meno ispirato al senso classico-rituale. L’opzione Paladino è molto eloquente a riguardo (Mimmo Paladino è l’artista a cui sono state affidate le illustrazioni del Messale, ndr)). Anche il sussidio Cei Un Messale per le nostre assemblee sembra andare in tale direzione: poche e generiche le citazioni di Benedetto XVI, affatto slegate dalla sua visione liturgica più specifica e audace.
Ora, beninteso, tutto questo non invalida il Messale, né costituisce motivo di particolare biasimo. Non toglie il merito di alcune modifiche testuali interessanti e non peggiora né allevia l’imbarazzo per alcune scelte zoppicanti, già messe in luce da molti altri studiosi. Ma certo questa tesi, se plausibile, rende molto debole e un poco goffa l’intera operazione.
Concludo. La domanda iniziale era: qual è il legame tra il “nuovo Messale” e il magistero liturgico del Sommo Pontefice Benedetto XVI? La risposta sembra essere: nessuno, almeno non nello specifico. Di qui ognuno potrà trarre da sé un criterio di giudizio oggettivo per valutare l’operazione. Circa la quale, a essere sinceri, vanno ammessi due possibili commenti. Il primo è che quella di Benedetto XVI sia stata una parentesi infelice nella storia della Chiesa, e quindi facciamo proprio bene a lasciarcela alle spalle, e anzi bisogna render onore ai prelati nostrani che con tanta finezza stanno evitando di apertamente sconfessare l’imbarazzante operato del vecchio Pontefice emerito. Il secondo è che quella di Ratzinger sia la via del futuro della Chiesa, al che faremmo bene a ricollegarci a essa quanto prima, e in questo caso, guardando alla nuova traduzione del Messale, possiamo solo sperare che essa comporti un rallentamento nell’adeguamento al Magistero petrino e non implichi un grave distanziamento da esso. Nell’uno come nell’altro caso c’è poco da quisquiliare. Come ha insegnato il Divin Maestro, dai frutti lo riconosceremo.
Benedetto XVI però ha solo proposto il suo modello, senza imporlo. anche sulla questione del pro multis lasciò la scelta finale ai vescovi, nonostante gli interventi sulla questione
RispondiEliminai modernisti invece non propongono, impongono. e se non ti adegui sei finito. per questo hanno vinto
Dopo il Cristo migrante...il Cristo extraterrestre.
RispondiEliminaSpero che faccia venire gli incubi ai preti modernisti per anni!