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martedì 13 aprile 2021

Confessioni sacramentali: pronto soccorso chiuso nell'ospedale da campo

Dall'amico Stefano.
Mala tempora currunt. Da Roma in giù sempre peggio: "Totalmente solleciti nel rispettare le procedure sanitarie e totalmente dimentichi di offrire i mezzi salvifici. Nell’ospedale da campo bisogna organizzare infermieri e caposala, non c’è tempo per badare ai feriti, e il pronto soccorso resta drammaticamente vuoto nella Domenica della Divina Misericordia"
Luigi

Domenica della Divina Misericordia o in albis depositis. Non importa dove (ma Arcidiocesi di Milano), poiché parliamo di una "piaga" fin troppo diffusa in una Chiesa che abbonda di amuchina e scarseggia di grazia. 
Mi reco nella chiesa principale, dove solitamente c’è un anziano confessore a disposizione mezz’ora prima della Messa. Vado per tempo, ma l’area confessioni (subentrata al confessionale in tempore pestilentiae) è desolatamente vuota. 
L’anziano confessore avrà un impegno altrove, ma ci sono altri tre preti, qualcuno arriverà. Passano i minuti e passa anche il parroco, avanti e indietro, tra l’altare e la porticina che immette sulla canonica, con aria affaccendata. Dalla sacrestia sbuca un altro sacerdote e poi un altro ancora. Si affacciano, danno indicazioni all’organista, a questa o quella pia donna e poi tornano dentro, con un meccanismo a carillon che ricorda il Corteo degli Apostoli dell’orologio astronomico di Praga. 
La Messa inizia e l’area confessioni resta vuota. Il parroco ormai, anche volendo, non può confessare perché è all’altare a celebrare il sacro rito, un altro dei restanti chierici esce definitivamente di chiesa imbacuccato per andare altrove e il più giovane fa capolino di tanto in tanto dalla sacrestia per dare indicazioni a questo o quello. Così indaffarati che non mi pare il caso di disturbarli, prima o poi arriveranno vedendo qualcuno in attesa. Morale: nessuno a disposizione per confessare. 
Mancando il solito confessore, nessuno degli altri si è premurato di sostituirlo. Ad organizzare e allestire sono buoni anche i laici (strano, tanta smania di "ministeri istituiti" e poi…?), ma solo quei tre uomini avevano il potere di perdonare i peccati e lo hanno tenuto per sé.
Nulla di nuovo: il clero secolare sembra più affezionato all’ambone che al confessionale; difficile andare in una parrocchia e trovarne uno ad attendere i penitenti. C’è crisi di vocazioni, dicono – stranamente, però, la crisi di vocazioni finisce quando c’è da concelebrare e non è raro vedere due, tre, cinque preti all’altare, quando ne basterebbe uno a celebrare il Sacrificio e gli altri a rimettere i peccati. Qualche anno fa sembrava che il giubileo della Misericordia potesse almeno suggerire un ritorno alla stola violacea che fa tornare “candidi come la neve”. Niente di tutto questo. Gli unici luoghi con i confessionali sempre aperti erano e sono i santuari, come prima e come dopo. Peccato che le restrizioni in corso non rendano sempre possibile percorrere i km necessari per recarsi al santuario più vicino. Sempre ammesso di non trovarsi davanti al cartello affisso a una sacra soglia, l'anno scorso, prima ancora che il governo decretasse il lockdown: "Confessioni sospese. Pregate a casa". Avviso normale per un non credente, ma per chi crede è come sentirsi dire: "Il medico non c'è, curati da solo".
I siti e i giornali parrocchiali dispensano informazioni su tutto, tranne che sugli orari delle confessioni (per chi volesse almeno provare in settimana). Totalmente solleciti nel rispettare le procedure sanitarie e totalmente dimentichi di offrire i mezzi salvifici. Nell’ospedale da campo bisogna organizzare infermieri e caposala, non c’è tempo per badare ai feriti, e il pronto soccorso resta drammaticamente vuoto nella Domenica della Divina Misericordia.