Luigi
Periodicamente si fanno commemorazioni su commemorazioni di discorsi, documenti, eventi. La Chiesa, naturalmente, non sfugge a tutto questo. Uno dei documenti più commemorati è la Costituzione Conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Ma di cosa facciamo memoria? Cosa abbiamo ritenuto, per usare il linguaggio paolino nella prima lettera ai Corinzi, quando sono state richiamate alla nostra memoria le vie che la Chiesa (attraverso i padri conciliari) ci ha indicato in Cristo? Cosa abbiamo perduto?
Naturalmente, terrò in primo piano la mia personale prospettiva, che è quella del musicista di chiesa, ma anche mi sfuggiranno alcune considerazioni sul panorama liturgico generale; considerazioni modeste e fatte con spirito di modestia, senza pretendere di dire cose fondamentali, ma esposte solo con il desiderio di “solleticare” lo spirito critico dei molti amanti della liturgia che con attenzione seguono quello che scrivo. Infatti qui vorrei focalizzarmi proprio sul capitolo VI della SC, commentando i passaggi che si riferiscono alla musica sacra. Ma questi passaggi non possono comprendersi senza avere sullo sfondo l’intero documento conciliare.
Al paragrafo 10 della SC viene detto: “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore“. Culmine e fonte e quindi indispensabile fare senso suo modo in cui il documento ci parla.
Documento spesso usato per portare avanti visioni unilaterali e personali. Mi è sembrato, per esempio, molto singolare che da parte di alcuni ci sia una difesa strenua di alcuni paragrafi della SC ma non delle istanze e dello spirito traboccanti dall’intera costituzione conciliare. L’ermeneutica portata avanti da Benedetto XVI e dagli studi di Mons. Agostino Marchetto è quella della continuità. I documenti del Vaticano II vanno letti in continuità con il magistero precedente e non come rottura con la storia e con la Tradizione della Chiesa, “Tradere” non tradire.