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mercoledì 10 febbraio 2021

Echi tridentini in gastronomia: il miele

Un'altro ricordo sulla gastronomia cattolica (altri QUI), in questo caso, quasi del tutto pretridentina, ripresa da La Nuova Bussola Quotidiana, che ne ha tratto una serie di articoli.
Luigi

Il miele, simbolo di abbondanza e saggezza
17-01-2021


Da Aristotele a Virgilio, sono molti gli autori antichi che hanno scritto sulle api. Nella Bibbia questo prezioso insetto è citato cinque volte, mentre il prodotto del suo lavoro - il miele - più di sessanta. Simboleggia sempre cose positive, come l’abbondanza, la saggezza e anche la parola di Dio.

La più antica testimonianza dell’allevamento vero e proprio delle api risale a una pittura egiziana del 2400 a.C. (vedi la stilizzazione nel disegno qui in basso). A destra osserviamo l’operazione di prelievo dei favi dagli alveari con l’uso del fumo (si tratta di alveari orizzontali, tipici della tradizione mediterranea), mentre a sinistra del disegno un uomo sigilla le giare. L’immagine fa parte di una serie rinvenuta nel Tempio del Sole, vicino al Cairo.

In effetti il terzo millennio avanti Cristo è l'epoca in cui il miele si “democratizza”, diventando un alimento di largo consumo dopo che inizialmente era un prodotto di lusso e perfino una prerogativa reale (vedi foto di un sigillo reale dell'antico Egitto) e divina. Questo è possibile grazie allo sviluppo dell'allevamento delle api su larga scala. Infatti sono stati rivenuti in tombe private dei vasi di miele e favi databili in quel periodo. Oltre ad essere un alimento, il miele veniva usato anche come offerta nei tempi e dono votivo, ma anche come “moneta” di pagamento dei tributi.

La documentazione relativa al miele ci arriva da alcuni antichi trattati di apicoltura: Aristotele (384 a.C.-322 a.C.), nel trattato De generatione animalium, tenta la prima descrizione anatomica delle api e avanza un’ipotesi sulla formazione del miele: “Il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno”; “l’ape lo porta da tutti i fiori che sbocciano in un calice… essa bottina i succhi di questi fiori con l’organo simile alla lingua”.

Trattati come questo saranno fonte di ispirazione per le opere in latino, pubblicate posteriormente, soprattutto nel I secolo d.C. Avranno carattere letterario ma anche pratico: vedi le Georgiche di Virgilio, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, il De re rustica di Columella. In realtà per i successivi secoli la conoscenza delle api rimarrà bloccata a questo livello primitivo e spesso mitologico.

Autori come Rutilio Tauro Emiliano Palladio, il già citato Plinio il Vecchio e altri ancora hanno presentato questo insetto come emblema di unione, parsimonia, pulizia e operosità, fornendo anche informazioni sulle pratiche di apicoltura più utilizzate ai loro tempi. Impariamo così che nell'antica Roma l’apicoltura si praticava in spazi distanti dai centri abitati. Come scrive Kurt Kristensen in una tesi di laurea sull’argomento (“L’apicoltura in età romana”), «gli autori latini ci informano che il villaticum era considerato tra le peggiori categorie di miele, perché il suo gusto sapeva di letamaio». Qui è interessante notare la passione romana di legiferare su ogni cosa. «Una serie di ordinamenti municipali - continua Kristensen - vietavano la sistemazione degli alveari su terreni pubblici e lungo le strade; e per la legge romana, le api che non erano chiuse in un'arnia erano considerate legittimamente senza padrone. Questa considerazione si rispecchia nella res nullius», letteralmente “cosa di nessuno”. In questa definizione rientrano le cose che non sono mai state proprietà di nessuno (come gli animali oggetto di caccia o pesca), oppure abbandonate dal proprietario. Invece, le api che si riunivano in sciami potevano divenire proprietà di colui che riusciva a recuperarle, secondo lo ius primi occupantis.

Secondo la tradizione dell’epoca agli sposi novelli si somministrava, per buon augurio, una bevanda a base di miele mescolato con acqua o latte: da questa usanza deriva l’espressione “luna di miele”, utilizzata ancora oggi per indicare il primo periodo del matrimonio.

Durante il periodo dell'imperatore Augusto, attorno al 30 d.C., l’apicoltura entra nella sua età d’oro. I metodi per l’allevamento delle api erano ormai consolidati, anche se, come accennato, abbastanza primitivi: le api venivano raccolte in tronchi cavi d'albero e in casse di legno spalmate di creta e sterco bovino. Ma l'apicoltura aveva una grande importanza presso i Romani, dato che il miele veniva usato in diversi modi: come materia dolcificante (oltre al cibo, per addolcire il vino e per la preparazione di bevande come idromele, melicratum, etc.), come medicamento, nonché in alcuni riti religiosi. La cera invece veniva utilizzata per la confezione di tavolette sulle quali si scriveva, nei riti religiosi, in medicina e per l'illuminazione.

Ci limitiamo qui a questi momenti storici per quanto riguarda il miele, perché sono periodi anche biblici. A differenza dell'ape (דְבוֹרָה - deborah in ebraico), che è citata nella Bibbia solo cinque volte, il prodotto del suo lavoro - il miele - viene menzionato per ben più di 60 volte: lo troviamo nelle rocce (Salmi 81:16), nel legno, ma anche nelle carcasse di animali morti (Giudici 14) e simboleggia sempre cose positive: abbondanza (Esodo 3:7-8), saggezza (Proverbi 24:13-14) e perfino la parola di Dio (Salmi 19:10-11 e 119:103 ed Ezechiele 3:3).

Vari passaggi della Bibbia indicano come veniva consumato il miele: puro e semplice (Samuele 14:29), con il favo (Cantico dei Cantici 5:1), con il latte (Cant. 4:11), con il burro e la cagliata (Isaia 7:15), con le locuste (Matteo 3:4), mescolato alla farina (Esodo 16:31).

Il popolo d'Israele usava il miele, al pari dei Romani, non solo come alimento ma come medicinale e per i riti religiosi (benché l'ape fosse considerata - in principio - un insetto impuro). Non ci è dato sapere che varietà di api fossero attive 20 o 30 secoli fa (probabilmente era l'Apis Mellifera Syriaca), ma sappiamo di certo che l'apicoltura era tenuta in grande considerazione.

Quattrodici secoli più tardi, nel 1457, il pittore italiano Andrea Mantegna riunisce in un quadro il Salvatore e il miele. Il dipinto è Gesù nell'orto degli ulivi (conservato al Musée des Beaux-Arts di Tours, Francia), dove vediamo sulla sinistra due eleganti arnie. Ci fa venire in mente il Salmo 117,12:

Mi hanno circondato come api,

come fuoco che divampa tra le spine,

ma nel nome del Signore li ho sconfitti.