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domenica 14 febbraio 2021

Echi (pre)tridentini in gastronomia - Cucina e cattolicesimo: il pesce, simbolo di Cristo Salvatore

Grazie alla Bussola e a Liana Marabini riscopriamo che la gastronomia è biblica e cattolica.
Luigi

Il pesce, simbolo di Cristo Salvatore
24-01-2021


Oltre a essere fonte di nutrimento, il pesce è un simbolo molto ricorrente nelle Sacre Scritture. I primi cristiani lo usavano come segno di riconoscimento a indicare il Salvatore. Non a caso Gesù si serve molto nei suoi discorsi della metafora della pesca. E nella figura di Pietro, uno degli Apostoli pescatori e primo Papa, possiamo vedere l’anello di congiunzione tra Cristo e i credenti.


Il pesce è un alimento che nella Bibbia reca con sé molti significati. Oltre a essere fonte di nutrimento, è anche simbolo cristologico e quindi di riconoscimento.

L’aspetto del pesce come simbolo segreto di riconoscimento usato dai primi cristiani è spiegato da sant’Agostino nel De Civitate Dei (XVIII,23): “Se unisci le prime lettere delle cinque parole greche che sono 'Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υἱός Σωτήρ, e significano Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, si avrà ΙΧΘΥΣ, cioè pesce, termine con cui simbolicamente si raffigura il Cristo perché ebbe il potere di rimanere vivo, cioè senza peccato, nell’abisso della nostra mortalità, simile al profondo delle acque”.

Nelle catacombe romane di San Callisto, Santa Domitilla e San Sebastiano e in quelle napoletane di San Gennaro, Sant’Eusebio e San Vito, il simbolo del pesce è sempre presente, attraverso iscrizioni su lapidi o affreschi. Lo stesso simbolo viene raffigurato in mosaici nelle prime basiliche cristiane, dunque negli anni successivi all’Editto di Costantino del 313.

Gesù si serve molto del pesce e della pesca nei suoi discorsi, perché nel mondo antico il pesce era un alimento base e la pesca un’occupazione comune: dei Suoi dodici apostoli, i pescatori erano probabilmente sette. La professione di pescatori, che era il loro sostentamento, divenne simbolo per la loro nuova vocazione di diffondere la buona notizia della salvezza.

Un’interessante chiave di lettura è la figura di Pietro, appunto un pescatore (i Vangeli lo presentano come tale in diversi episodi, tra cui la pesca miracolosa in Luca 5, 1-11 e la chiamata dei primi discepoli in Matteo 4, 18-22 e Marco 1, 16-20), che possiamo considerare come anello di congiunzione tra Cristo e i credenti. La frase “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”, racchiusa come abbiamo visto nell’acronimo greco che sta per “pesce”, è già significata dalle parole pronunciate da Pietro nella sua Confessione, prima di essere nominato di fatto primo Papa della Chiesa:

Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». (Matteo 16,16).

Il legame tra la figura di Pietro e la simbologia del pesce non si esaurisce con questo versetto, ma è presente in altri episodi. Oltre a quelli citati prima, Pietro ha assistito, insieme ai discepoli, al fenomeno della moltiplicazione dei pani e pesci (Giovanni 6:1-14). Inoltre, in alcune rappresentazioni dell’Ultima Cena (come nell’affresco interno alle Catacombe di San Callisto) il pane viene sostituito proprio con il pesce (foto in alto). 

È interessante notare che nessun pesce è menzionato per nome né nell’Antico né nel Nuovo Testamento, tuttavia la parola generica pesce è menzionata 49 volte. Un bell’esempio di simbologia del pesce ce lo offre il Libro di Giona che descrive il salvataggio del profeta ribelle dall’annegamento nel mare in tempesta quando Dio mandò un «grande pesce» per inghiottirlo. Al di là del racconto storico, il grande pesce rappresenta anche un’immagine della liberazione e della misericordia di Dio. Il racconto mostra chiaramente che il pesce era il mezzo di salvezza di Giona. Era anche un segno della maggiore salvezza offerta tramite Cristo. Gesù ricordò la storia di Giona nel suo confronto con i farisei e collegò simbolicamente i tre giorni e le notti che Giona trascorse nel pesce con il tempo che sarebbe trascorso tra la sua crocifissione e la risurrezione (Matteo 12, 38-42)

Nell’Antico Testamento l’immagine del pesce è a volte collegata all’incertezza della vita: “Infatti l’uomo non conosce neppure la sua ora: simile ai pesci che sono presi dalla rete fatale e agli uccelli presi al laccio, l’uomo è sorpreso dalla sventura che improvvisa si abbatte su di lui” (Ecclesiaste 9:12).

I pesci e le reti per catturarli sono spesso usati dai profeti anche per simboleggiare il giudizio di Dio sui nemici di Israele (Ezechiele 26:5, 26:14; 29:3-7) o sulla ribellione degli israeliti, che in particolare si traduce nella loro cattività straniera (Amos 4:2; Abacuc 1:1-17). In questo caso Dio è il pescatore che raccoglie gli uomini come il pescatore che raccoglie i pesci per il giudizio o la benedizione.

Una curiosità ce la offre il Vangelo di Matteo, che descrive il pesce come pagamento per la tassa del tempio che Gesù deve pagare:

Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te» (Matteo 17:24-27).

Infine, riguardo al pesce come alimento, ai tempi biblici (come anche oggi nella cucina ebraica) era diviso in puro (con squame e pinne) e impuro (i crostacei, i molluschi, i frutti di mare, le anguille). Veniva preparato semplicemente, alla griglia, lesso, o in umido, con olive e limone oppure con salsa di cipolla. Era servito a tutti i pasti (anche al mattino, sotto forma di bocconcini formati con striscioline di pesce arrotolato e condito con limone).

Il lago di Tiberiade era la principale fonte di pesca e forniva, oltre alla tilapia, che era mangiata spesso grigliata, anche il pesce che è alla base di una ricetta classica israeliana conosciuta in tutto il mondo: la carpa. Ma questo lago è tuttora molto pescoso e forse i pesci che vi si trovano oggi sono gli stessi della pesca miracolosa. Il lago non ha un nome unico e definito ma ha preso diversi nomi dalle località più importanti che sorgevano sulle sue sponde. Nell’Antico Testamento è chiamato Mare di Kinneret (nome che deriva dalla parola ebraica kinnor, che significa arpa) per la sua forma particolare; all’epoca dei Maccabei e nel Nuovo Testamento è chiamato generalmente Mare o Lago di Genesaret dal nome della pianura che lo costeggia a nord-ovest. Il lago era detto anche Mare di Galilea; oggi lo si chiama comunemente Lago di Tiberiade dalla città omonima che sorge sulle sue sponde.

Ai nostri giorni un pesce molto pregiato che si pesca in questo lago è il San Pietro. Nel 2010, il governo israeliano ha vietato per due anni la pesca del San Pietro, per ripopolare il lago, e oggi questo delizioso pesce si pesca nuovamente qui. Il lago di Tiberiade, lungo circa ventidue chilometri (da nord a sud) e largo tredici e mezzo (da ovest a est), è il principale serbatoio di acqua dolce di Israele.

Il fiume Giordano era, a quei tempi, un’altra fonte di pesca: carpa, trota, pesce-gatto, scazzone (vedi foto, perché poco conosciuto), sono alcune delle specie. Piccola curiosità: ancora oggi l’acqua del Giordano è utilizzata per il battesimo dei futuri sovrani d’Inghilterra (ma anche dei loro figli). Questo fiume ha diversi affluenti e si riversa nel Mar Morto. Tutti i pesci che arrivano al Mar Morto, scendendo lungo il fiume Giordano, sono destinati a morire quando raggiungono delle acque così salate: ma spesso tornano indietro appena si avvicinano, perché sentono il pericolo dell’assenza di vita. Nel Mar Morto niente può vivere, o quasi: solo degli esseri altamente “specializzati” come gli archeobatteri rossi e le alghe verdi vi trovano dimora.

Ai tempi di Gesù si mangiava la carpa alla griglia, la trota alla cannella, il persico alle cipolle, la tilapia al limone, il pesce-gatto farcito di olive, il dentice avvolto in foglie di vite, ecc. Quando viaggiamo a Roma, vale la pena di andare nel Ghetto, dove diversi ristoranti offrono piatti che ci fanno tornare ai tempi biblici. Ma prima di allora, possiamo tornare con la mente a quell’epoca riflettendo su queste parole dell’Antico Testamento: “Ho visto anche sotto il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la guerra e neppure dei sapienti il pane e degli accorti la ricchezza e nemmeno degli intelligenti il favore, perché il tempo e il caso raggiungono tutti”. (Ecclesiaste 9:11).