Un altro bel commento di musica sacra del Maestro Porfiri.
Luigi
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Sappiamo bene che una delle epoche più gloriose per la musica sacra è quella rinascimentale, un’epoca in cui l’arte vocale raggiunge vertici straordinari, vertici che difficilmente poi saranno superati. In questa epoca, come sappiamo, risplende altissima l’arte di Palestrina, il modello della polifonia sacra. Ma anche altri compositori mostrano il loro enorme talento a servizio spesso della Chiesa ma anche delle corti. Non dimentichiamo che accanto alla straordinaria produzione per la liturgia ci fu anche una grande fioritura della musica profana, che si incarnava specialmente nella forma del madrigale, una forma che vide i suoi esiti più alti proprio in questo periodo.
Ma la musica sacra era il principale sbocco per i compositori dell’epoca. Fra i grandissimi non possiamo non annoverare il sacerdote spagnolo Tomás Luis de Victoria (1548-1611),ancora oggi fra i nomi più conosciuti e fra i compositori più eseguiti. In effetti dei tre identificati come il vertice della scuola romana, cioè Palestrina, Orlando di Lasso e Victoria, quest’ultimo viene identificato come il più mistico, non so con quanta accuratezza. Mi fu detto in passato che di Lasso scriveva musica per le corti, Palestrina per la corte papale e Victoria per Dio. Una sintesi senz’altro imprecisa che vuole rendere conto di una complessità in un modo un poco superficiale. Quello che certamente è vero è che esiste nella musica del compositore spagnolo, che in effetti si dedicò completamente alla musica sacra, una qualità intensa e profondamente spirituale, un misticismo “spagnolo“, nel senso dei grandi santi di quell’epoca che sono alla base della mistica, come Giovanni della Croce e Teresa d’Avila. Con quest’ultima secondo una certa tradizione il Victoria sarebbe stato in contatto ma questo è smentito da quanto leggiamo in un articolo del musicista e carmelitano Antonio Bernaldo de Quirós Álvarez che tra l’altro dice: “È dimostrato già che Santa Teresa e Tomás Luis de Victoria non avevano una relazione diretta. A causa della differenza di età e cammini. Teresa nacque nel 1515 e Victoria nel 1548. Lei, quindi, era trentatré anni più vecchia di Victoria. (Forse il padre di Victoria e Teresa potevano essere della stessa banda di amici, dato che erano della stessa età, più o meno, co-parrocchiani di San Juan, e non vivevano lontano)”. Ma, anche se non ci fu un incontro diretto, si può pensare che il profondo misticismo della grande Teresa, come degli altri grandi santi spagnoli e la rinnovata spiritualità della controriforma cattolica, avevano certamente penetrato nel cuore del musicista spagnolo, facendolo divenire uno dei più grandi compositori dell’epoca rinascimentale.
Fra i brani più celebri del nostro autore c’è O magnum mysterium, a quattro voci miste. Questo mottetto è senz’altro uno dei più straordinari esempi di quelle qualità di cui discutevamo poco sopra, con lo straordinario misticismo e quella intensità spirituale che nella musica di Victoria si percepisce in modo tangibile, si può quasi toccare. Con la sua straordinaria abilità compositiva ci fa abitare in un mondo soprannaturale, un mondo in cui la fede non è semplicemente relegata ad una devozione privata ma si fa amore intenso, passionale ma in modo sublime. Nella dedica delle sua raccolta Cantica Beatae Virginis al cardinale Michele Bonello, Victoria diceva: “Si alguien buscara utilidad, nada es más útil que la música, que penetrando con suavidad en los corazones a través del mensaje de los oídos, parece servir de provecho, no sólo al alma sino también al cuerpo“ (Se qualcuno cercasse l’utilità, niente è più utile della musica, che penetrando dolcemente nei cuori attraverso il messaggio delle orecchie, sembra giovare non solo all’anima ma anche al corpo). In effetti questa idea della musica che attraverso lo spirito fa bene anche al corpo attraversa tanti secoli e viene poi valorizzata dalla moderna musicoterapia. Purtroppo questo non viene compreso molto ai nostri tempi, tempi in cui non si capisce che la musica può avere effetti benefici sul corpo ma anche effetti malefici, se si promuovono stili e generi che non sono confacenti alla dignità del culto divino. Ma è un problema che ci porterebbe lontano.
Il testo del mottetto O magnum mysterium è tratto da uno dei responsori per il mattutino di Natale ma usato anche per la festa della Circoncisione del Signore: “O magnum mysterium et admirabile sacramentum ut animalia viderent Dominum natum iacentem in praesepio. O Beata virgo cuius viscera meruerunt portare Dominum Jesum Christum. Alleluia” (O grande mistero e mirabile sacramento, che gli animali vedessero il Signore appena nato giacente nella mangiatoia. O Vergine Beata, il cui ventre meritò di portare il Signore Gesù Cristo. Alleluia). Il testo di questo responsorio ci introduce con grande efficacia nel mistero del Natale, e nella stessa categoria di “mistero“. Il teologo padre Tarcisio Stramare, recentemente scomparso vittima del covid-19, così ci parla del rapporto fra mistero e liturgia: “Oltre la precisazione circa l’accezione del termine “mistero”, determinante rimane la identificazione dei singoli misteri e il riferimento ai rispettivi “fatti”, che li contengono. Qui il discorso si sposta sulla Liturgia, che ne è l’ “attuazione” e, quindi, per noi il “detector” per individuare il mistero stesso e per risalire al “fatto” che ne sta all’origine. Allo stesso modo che la lettura dell’Antico Testamento va fatta alla luce del Nuovo, ossia di Cristo, così la lettura del Nuovo Testamento va fatta alla luce della Liturgia, nella quale e attraverso la quale Cristo continua la sua presenza e la sua opera. Questa stretta relazione suppone ed esige una corrispondente “metodologia”, certamente praticata nella vita della Chiesa, ma non altrettanto avvertita”. Da non dimenticare quanto dice il benedettino Odo Casel nel suo Das cristliche Kultmysterium (1959) in cui fra l’altro afferma: “Mistero è anzitutto Dio in sé, Dio come colui che è infinitamente lontano, il santo e inaccessibile, al quale nessun uomo può avvicinarsi senza morire, in confronto col quale tutto è impuro, come dice il Profeta: “Io sono un uomo con le labbra impure ed abito in mezzo a un popolo con le labbra impure; eppure io ho venduto con i miei occhi il Re, il Signore degli eserciti“. E questo Essere santissimo rivela il suo mistero, si abbassa alla sua creatura e si manifesta a lei, ma ancora “nel mistero“, e cioè in una rivelazione piena di grazia fatta alle anime da lui scelte, umili, pure di cuore, non agli stolti ed ai presuntuosi. Così anche la Rivelazione rimane un mistero, perché non è manifestata al mondo profano ma ad esso si nasconde per scoprirsi soltanto al credente, all’eletto“.
Il mottetto di cui parliamo è incluso dal Victoria in una sua raccolta stampata a Venezia nel 1572: Thomae Ludovici de Victoria. Abvlensis. Motecta. Que partim, quaternis, partim, quinis, alia, senis, alia, octonis vocibus concinuntur. La raccolta è stampata da Gardani. Nella dedicatoria Victoria tra l’altro dice: “Ma, poiché nulla potrà mai deludere o ingannare chi agisce onestamente, sarebbe davvero necessario per me, il cui scopo non era affatto diverso dalla gloria di Dio e dal comune beneficio dell’umanità, intendere e sperare profondamente di raggiungere approvazione per ottenere tutti i miei obiettivi, qualunque essi siano“. È molto interessante che l’autore identifica correttamente quali sono gli scopi di un compositore liturgico, la gloria di Dio e il beneficio dell’umanità cioè la santificazione dei fedeli.
Lo studioso Bernhard Meier nel suo I modi della polifonia vocale classica categorizza O magnum mysterium nel secondo modo trasportato alla quarta superiore, con frequenti cadenze a Sol e Re. Già dall’esposizione siamo pervasi da quella atmosfera profondamente spirituale, che si ripercuote da voce a voce… A me ha sempre colpito il rapporto fra statico e dinamico in questo pezzo. A volte la polifonia dà spazio all’omoritmia in un modo che a me sembra molto diverso rispetto ad altri mottetti dello stesso autore o dello stesso periodo. Sembra quasi che la contemplazione mistica a volte voglia quasi eternarsi nella staticità delle voci. In effetti la polifonia sembra portare una certa umanità come nelle parole iacentem in praesepio, in cui l’effusione spirituale si fa calda, ma di un calore che arde come fuoco interiore e che si sublima in una fede che brucia dentro. O beata Virgo viene declamato retoricamente in omoritmia, così come un uso della retorica lo osserviamo nella prima parte dell’Alleluia, in ritmo ternario. Il ritmo ternario è associato alla danza, ma qui bisogna stare attenti, perché alcuni cercano di enfatizzare questo aspetto della danza come se si fosse ad una festa profana, ma la danza di cui qui si parla è una danza sacra, una danza spirituale che non cerca la frenesia del corpo ma la leggerezza dello spirito.
Con questo mottetto abbiamo una meditazione splendida sul mistero dell’incarnazione, una meditazione che va fatta in ginocchio e con le mani giunte.
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