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MiL nel 2013 si era occupato della felicissima introduzione del nome di S. Giuseppe nelle preghiere eucaristiche II, III e IV del Messale di Paolo VI (qui): decisione che fu di Papa Francesco nel 2013 (C.C.D.eD.SS.1° maggio 2013, a compimento di un inter voluto da Benendetto XVI) e che era stata salutata, giustamente, come una sconfitta dei modernisti in stile anni '70.
Diverse critiche invece erano state (e sono tuttora) mosse a Giovanni XXIII perchè decise,
a suo tempo (S.C.R. 13 novembre 1962), di introdurlo nel Canone Romano - nel "Communicantes" - (ora I preghiera eucarisica nel Messale di Paolo VI 1969), sebbene fosse stata da poco promulgata l'editio typica del Messale del 1962 (quella in uso oggi giusta Summorum Pontificum, artt. 1, 2 e 3) in cui non risultava.Diverse critiche invece erano state (e sono tuttora) mosse a Giovanni XXIII perchè decise,
Guido Ferro Canale, che ringraziamo, ci ha inviato un bello studio, che noi ci sentiamo di condividere e pubblicare, con cui spiega i motivi per i quali egli ritiene - a nostro avviso con ben ragione - che quella fu una felice introduzione.
Buona lettura.
Roberto
L'introduzione
del nome di S. Giuseppe nel Canone
Te, Joseph, celebrent agmina caelitum,
te cuncti resonent christiadum chori,
qui clarus meritis, iunctus es inclitae
casto foedere Virgini.
[Breviarium Romanum (1962),
in die festo S. Joseph, Hymnus ad I Vesperas]
qui clarus meritis, iunctus es inclitae
casto foedere Virgini.
[Breviarium Romanum (1962),
in die festo S. Joseph, Hymnus ad I Vesperas]
1 – I termini della questione
In ambito
tradizionalista, viene spesso criticata la scelta di Giovanni XXIII di
introdurre nel Canone il nome di S. Giuseppe (la prima modifica apportatavi da
un Papa fin dai tempi di S. Gregorio Magno): per lo più lo si ritiene un atto
contrario all'autorità della tradizione e motivato da sola devozione personale.
Uno studio
più dettagliato - la cui autrice dovrebbe essere, salvo un improbabile caso di
omonimia la D.ssa Carol Byrne,
già Vicepresidente della benemerita “Latin Mass Society” - mi ha spinto
ad approfondire la questione e vorrei condividere con il pubblico i risultati
cui sono giunto.
Tra i rilievi
critici della D.ssa Byrne, preciso subito che condivido senza riserve il
rilievo di S. Tommaso d'Aquino secondo cui ogni cambiamento nella legge è di
per sé un male, perché intacca quell'abitudine ad osservare sempre la medesima
regola che è il principale fondamento della sua effettività. Inoltre, anch'io
penso che la modifica del Canone abbia trasmesso, allora, un segnale “politico”
molto pericoloso di incoraggiamento ai novatori, che già premevano per
sovvertire e percepivano che nulla veniva considerato intoccabile.
Sebbene
validi, però, tali argomenti non mi paiono sufficienti per respingere
l'innovazione. E anticipo subito di non condividere gli altri.
Il monito di
S. Tommaso ha carattere generalissimo e, appunto per questo, non ha da solo
forza cogente, sennò impedirebbe qualsivoglia modifica alla legge (umana). La
sua importanza sta nel fatto di prescrivere sempre un raffronto tra il bene che
si prevede dalla modifica (in questo caso, l'accresciuto onore di S. Giuseppe)
con un danno cui è più facile che non si pensi, quello prodotto dalla mutatio
legum come tale. Nel nostro caso, tuttavia, l'argomento sembra
particolarmente debole: la stessa D.ssa Byrne definisce addirittura “ovvio”
il beneficio e, per contro, la formula del Canone Romano obbligava solo una
categoria ben precisa di persone, i Sacerdoti celebranti; non si poteva temere
scandalo di sorta nel popolo, dato che la recita avveniva ancora sub secreto,
e i Sacerdoti, com'erano abituati a leggere fedelmente la formula di prima,
parimenti avrebbero proseguito leggendo la nuova (al più con il fastidio,
transitorio, dell'ennesimo “foglietto volante”).
Il problema
dell'inopportunità politica di lanciare un simile segnale di disponibilità al cambiamento
è senz'altro più serio, ma né da solo né unito al precedente mi pare che basti
a imporre o giustificare il rifiuto della modifica legislativa. Non solo,
infatti, questo genere di valutazioni spetta in sé e per sé a chi ha la
responsabilità del governo, ma in concreto quali erano i danni che ci si poteva
ragionevolmente attendere? Un incremento di proposte o iniziative per la
modifica di questo o quel rito, che già abbondavano; forse, ma sembra già meno
probabile, anche una crescita degli sperimentalismi abusivi di fatto, che già
si riscontravano in più luoghi. Riguardo alle prime, spettava pur sempre
all'autorità vagliarle... e infatti poi gli errori sono stati commessi “a
valle”, nel corso del successivo processo di riforma, non dipendono in senso
causale dalla modifica al Canone, che al massimo ne è l'occasio remota
e, per giunta, va in direzione diametralmente opposta ai propositi p.es. di Küng, che, ci informa la
D.ssa Byrne, avrebbe eliminato ogni e qualsiasi Santo. Quanto poi alle
iniziative arbitrarie, si può anche concedere che la novella legislativa abbia
costituito per tali soggetti un'occasione di peccato, peraltro ancora una volta
remota, e dunque abbia in un certo modo dato scandalo; ma il salto logico che
corre tra “Il Papa cambia il Canone” e “Io posso fare quel che mi pare” è tale
che parlerei, senza esitazioni, di scandalo farisaico: quello di cui,
sull'esempio di Gesù, non ci si deve curare.
Questi, però,
sono solo argomenti collaterali. Veniamo al merito.
2 – Le
richieste all'origine
della modifica del Canone
Come dicevo,
non mi sento di condividere la tesi che l'aggiunta di S. Giuseppe si debba alla
sola devozione personale di Giovanni XXIII.[1] Per spiegare il perché, debbo
andare alle fonti e ripercorrere, almeno in breve, la storia di questa modifica
tanto criticata, che non fa parte dell'editio typica del 1962,[2] ma è entrata in vigore l'8
dicembre di quell'anno, mentre il decreto della S.R.C. - i cui riferimenti sono
stati correttamente indicati dalla D.ssa Byrne: AAS
54 (1962) 873[3]
– data al 13 novembre.
Ciò che più
conta, però, detto decreto riferisce di essere un atto esecutivo di una
decisione papale esternata quel giorno stesso, ma in altra sede: nell'aula
conciliare, per mezzo del Segretario di Stato, Card. Amleto Giovanni Cicognani.
E infatti, negli Acta Synodalia, il verbale della seduta ne riporta
l'intervento a voce [Acta
Concilii Vaticani II – Periodus prima, pars II, pag. 644].
Giuridicamente, ogni Cardinale, ai sensi del can. 239 n. 17 CIC 1917, aveva il
privilegio di attestare un oraculum vivae vocis del Sommo Pontefice con
la stessa autorità di un notaio, quindi facendo prova piena in foro esterno;
questo è appunto un caso del genere.
Si notano,
però, due discrepanze tra il discorso e un decreto che ci si attenderebbe
pedissequo.
Esaminiamo,
per adesso, soltanto la prima: per la S.R.C., la decisione è stata assunta motu
proprio; viceversa, il Cardinale riferisce al Concilio che il Papa ha
deciso “votis
vestris benigne annuens”.
La
spiegazione, invero, è agevole: le richieste ci sono state (e tra poco le
esamineremo), ma la clausola motu proprio non serve mai a negarne
l'esistenza storica, il suo scopo è evitare che errori, omissioni o addirittura
falsità nei motivi addotti dai richiedenti invalidino la decisione, come
avverrebbe normalmente (cfr., a contrario, l'odierno can. 63 §1),[4] perché il Papa, in quel
particolare caso, ha deciso di tenerla ferma comunque, “come se” nessuna
richiesta ci fosse mai stata ed Egli avesse deciso in piena autonomia.
Nel caso di
specie, poi, l'impiego della clausola era particolarmente opportuno, in quanto
le richieste presentate non coincidevano pienamente né per l'oggetto né,
soprattutto, per le ragioni addotte.
Il Conspectus
Analyticus delle proposte dei Vescovi e degli Ordini religiosi
[nell'edizione degli atti, Series
I – Antepraeparatoria, vol. II, Appendix, pars II, pag. 275] ci
consente di risalire a quelle di tredici Vescovi – se ho contato bene –due
Ordini religiosi e una Congregazione; al censimento sono sfuggite, invece, la
Pia Società Torinese di S. Giuseppe[5] e la Società dei Missionari
di S. Giuseppe, cui bisogna ancora aggiungere la Facoltà Teologica di S.
Bonaventura[6]
e il Vescovo titolare di Sbida, Vicario Apostolico di Tonga e Niue in
Polinesia, misteriosamente contato solo a pag. 349 dell'Indice, nella sezione
dedicata al culto dei Santi. Tutti insieme, magari non saranno un esercito, ma
direi che bastano a far cadere l'accusa di decisione solitaria motivata da mera
devozione personale: dopotutto, anche contati i soli Vescovi, sono rappresentati
tutti i continenti, perfino l'Oceania.
I richiedenti
però, come ho detto, non sono perfettamente concordi: alcuni vogliono
aggiungere il nome di S. Giuseppe “soltanto” nel Canone, altri anche nel Confiteor,
nel Suscipe Sancta Trinitas e nell'embolismo.[7] Più di uno non indica
particolari motivazioni,[8] a parte la gioia che ne
trarrebbero i fedeli, il particolare culto che de facto gli viene
tributato o il fatto che S. Giuseppe è lo sposo della Beatissima Vergine;[9] in un solo caso, invero,
l'unico motivo che viene addotto è il suo ruolo di Patrono della Chiesa
universale.[10]
Altri, tuttavia, avanzano argomentazioni teologiche di ordine più elevato,[11] asserendo in particolare che
il ruolo particolarissimo svolto da S. Giuseppe nella storia della salvezza ha
istituito un nesso specifico, benché estrinseco, tra lui medesimo e l'unione
ipostatica,[12]
e/o che gli va tributato un culto superiore a tutti gli altri Santi, la c.d. proto-dulia,
richiamandosi anche ad una richiesta in tal senso già presentata al Vaticano I.[13]
Nessuno, vale
forse la pena di precisarlo, mostra il benché minimo timore che questa teoria,
o l'aggiunta in sé, possano in alcun modo nuocere all'onore della Beatissima
Vergine, anzi, spesso chiedono contemporaneamente che sia definita la dottrina
della Corredenzione, o della Maternità universale.[14]
Ci si può
chiedere quale, tra tutti gli argomenti addotti dai fautori della modifica, sia
stato fatto proprio dal Papa e supporti
la decisione assunta. A mio parere, dati gli effetti caratteristici della clausola
motu proprio, nessuno; però, nello stesso tempo, tutti possono essere
invocati a tale scopo,
appunto perché la questione è rimasta libera, fermo che appaiono
rafforzati soprattutto quelli relativi al ruolo di Patrono della Chiesa
universale.
Ruolo la cui
importanza, per la verità, sembra sfuggita del tutto alla D.ssa Byrne.
3 – Un
monumento alla rivoluzione permanente?
Per la Byrne,
che qui cita il decreto della S.R.C., la riforma deve servire come “'a
memorial and testament of the fruit of the Second Vatican Council.'”,[15] sicché “The
substance of this reform lies not in honoring St. Joseph (who was and could
still be fittingly honored in the liturgy by other means) but in accepting
Vatican II as a break with the past.”.
L'inferenza mi pare un tantino azzardata.[16]
Ma, soprattutto, la traduzione è
grammaticalmente scorretta: sia
nel decreto sia nell'intervento di Cicognani, fructus è al caso
nominativo, non al genitivo.[17]
Molto accurata, invece, la resa di mnemosynon, termine greco[18]
che la Bibbia dei Settanta usa per tradurre due vocaboli della sfera
sacrificale, zikkaron e azkarah. Nondimeno, la traduzione
corretta dell'intera espressione può solo essere “memoriale e frutto”.
In che senso, però, si può
definire “frutto” del Concilio qualcosa che, dopotutto, non è affatto una
decisione conciliare?
L'unica risposta possibile mi
sembra: il Papa, al di là dell'impiego della clausola motu proprio, si è
psicologicamente determinato a cambiare il Canone per effetto delle richieste
pervenute in tal senso durante la fase antepreparatoria. Non dimentichiamoci
che, per Giovanni XXIII, in un certo senso – piuttosto concreto – il Concilio
“comincia” già nel 1959, quando ne dà l'annuncio, e che egli ha seguito tutto
il processo che, dalla raccolta di pareri, ha portato alla formulazione dei
progetti che, alla data del 13 novembre 1962, si trovano sottoposti ai Padri da
un mese circa.[19] Quindi,
la decisione è “conciliare” come frutto di questo specifico processo; supporre,
invece, che egli intendesse riferirsi ad un altro processo, uno cioè di
rivoluzione permanente, e/o addirittura ai frutti del Concilio-evento mi
sembra, nella migliore delle ipotesi, un'inaccettabile “proiezione
all'indietro”.
Certamente mnemosynon, se
va inteso nel senso di “memoriale”, come anch'io credo, parla di una memoria
attualizzante: a questo riguardo, la lettura della Byrne è corretta. Ella,
tuttavia, si è fermata al testo del decreto, trascurando di risalire all'oraculum
vivae vocis di cui esso sta solo riportando il contenuto; così non ha
potuto cogliere il collegamento ivi istituito tra la decisione e il fatto che
il Vaticano II è stato posto sotto la protezione di S. Giuseppe.[20]
Non certo - aggiungo io e si riscontra dalla relativa
Lettera Apostolica
– per semplice devozione personale di Giovanni XXIII, ma perché egli era ed è
Patrono della Chiesa universale, oltretutto in forza di una decisione assunta
da Pio IX sulla scorta del Vaticano I; e ogni Concilio Ecumenico, dopotutto,
rappresenta proprio la Chiesa universale.[21]
Allora, è proprio questa protezione l'oggetto del ricordo attualizzante,
fors'anche perché la decisione assunta dovrebbe attestarne di per sé l'efficacia.
E per questo direi che, di tutti gli argomenti a supporto, i più plausibili mi
sembrano appunto quelli legati al ruolo di Patrono della Chiesa universale.
Ruolo che – beninteso, sempre a mio personale avviso – giustifica di per sé l'inserimento nel Canone Romano.
4 – Il peso della protodulia
Per contro, la protodulia, per
quanto possa essere una tesi ben argomentata, non mi convince e soprattutto non
mi sembrerebbe sufficiente: non basta una sententia communis per
cambiare la Liturgia, occorrerebbe almeno che fosse fidei proxima e
recepita tanto quanto, prima del Concilio, lo era il Limbo. Tanto più che
quella che era una tesi molto diffusa nel 1962 sembra, oggi, pressoché
sconosciuta.[22]
Circostanza interessante, il
Magistero posteriore offre una sorta di “interpretazione autentica” della
decisione di Giovanni XXIII che, pur menzionando tutte le premesse della
protodulia, non ne trae alcuna delle conseguenze (a parte, una volta di più, la
conferma del ruolo di Patrono della Chiesa universale): “La via propria di Giuseppe, la sua peregrinazione della
fede si concluderà prima, cioè prima che Maria sosti ai piedi della Croce sul
Golgota e prima che ella - ritornato Cristo al Padre - si ritrovi nel Cenacolo
della Pentecoste nel giorno della manifestazione al mondo della Chiesa, nata
nella potenza dello Spirito di verità. Tuttavia, la via della fede di Giuseppe
segue la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso mistero,
del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo depositario. L'Incarnazione
e la Redenzione costituiscono un'unità organica ed indissolubile, in cui
l'«economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi
tra loro» («Dei Verbum», 2). Proprio
per questa unita papa Giovanni XXIII, che nutriva una grande devozione per san
Giuseppe, stabilì che nel canone romano della Messa, memoriale perpetuo della
Redenzione, fosse inserito il suo nome accanto a quello di Maria, e prima degli
apostoli, dei Sommi Pontefici e dei martiri (cfr. S. Rituum Congreg., «Novis
hisce temporibus, die 13 nov. 1962: AAS 54 [1962]).”.[23]
Nessun cenno, si noterà, ai
frutti del Concilio.
5 –
Diminuito onore della B.V.M. e incongruenza nella serie dei Santi
Tratto insieme, da ultimo, due obiezioni cui la risposta
è congiunta: anzitutto, S. Giuseppe verrebbe a trovarsi quasi equiparato alla
Beatissima Vergine e ciò comporterebbe un ridimensionamento dell'iperdulia,
notato con soddisfazione anche da illustri protestanti; inoltre, l'asserita
incongruenza del suo inserimento nel Communicantes, dove tutti gli altri
Santi “were
part of the public ministry of Christ, suffered martyrdom or were Pontiffs on
whom the Church in Rome was founded”, tanto più che egli
scombinerebbe il simbolismo numerico dato dalla presenza, in quella sezione del
Canone, di due serie di dodici Santi, a somiglianza dei ventiquattro Seniori
della Gerusalemme celeste.
Tali asserti
ci portano, infatti, alla seconda incongruenza tra discorso del Cardinale e
decreto: i termini stessi dell'aggiunta. L'equiparazione con la Madonna,
infatti, poteva sensatamente conseguire se, subito dopo, si fosse detto “...e
di S. Giuseppe Suo Sposo, ma anche dei beati Apostoli...”, come
annunciato da Cicognani in aula Conciliare;[24] ma, forse proprio perché
qualcuno alla S.R.C. ha colto il problema, il decreto si esprime in forma
diametralmente opposta: “...ma anche di S. Giuseppe Suo Sposo, e
dei beati Apostoli...”.[25]
A questo
punto, ogni pericolo di equiparazione con la Beatissima Vergine viene evitato
(altro argomento, invero, contro la lettura “protodulica”)[26] e semmai si pone quello
della serie numerica dei Santi o delle loro qualità.
Per la verità,
l'accostamento ai ventiquattro Vegliardi dell'Apocalisse mi lascia un po'
perplesso, perché essi dovrebbero essere, piuttosto, i dodici Apostoli e i
dodici Patriarchi, o comunque i santi dell'Antico e del Nuovo Testamento, non
del nuovo solamente. E, in ogni caso, le letture simboliche sono frutto del
rito così come sta e cambiano con esso, non gli impongono certo la fisionomia.
Ciò posto, chi
vuol conservare questo simbolismo non ha che da ricorrere ad una semplice
distinzione interpretativa, spiegando cioè che S. Giuseppe si trova lì ad un
titolo diverso. Che può essere la protodulia, o lo specifico ruolo di
intercessore affidatogli dai Sommi Pontefici, o anche il semplice onore per la
sua dignità di Sposo della Vergine; in ogni caso, appunto perché non è stato né
Martire né Pontefice, distinguerlo dagli altri riesce facile.
Invece, la
discrepanza ora segnalata tra i due testi pone un quesito interessante: se la
S. Congregazione avesse il potere di cambiare il testo attestato dall'oraculum
vivae vocs, testo che dobbiamo considerare stabilito dal Papa.
Di regola, la
risposta negativa sarebbe ovvia; ma, in questo caso, sarei propenso ad una
risposta affermativa, considerati tanto i poteri molto ampi della S.R.C. in
materia quanto il rimando espresso del Cardinale a un futuro decreto della
medesima per la modifica vera e propria dei libri liturgici. In sé, il
decreto era perfettamente inutile, la decisione era già completa di tutti
gli elementi e poteva anche esser pubblicata direttamente in AAS; ma, appunto
per questo, la scelta di far intervenire comunque la S.R.C. significava
l'intento del Papa di conformarsi alla prassi per cui essa era l'organ preposto
a tradurre in norme concrete tutte, o quasi tutte, le decisioni papali in
materia liturgica (come già, a suo tempo, proprio quella di Pio IX che ha fatto
di S. Giuseppe il Patrono della Chiesa Universale). Una simile competenza ha
sempre incluso anche il potere di definire le norme di dettaglio; e se così, in
questo caso, la maggior competenza specifica della S.R.C. ha potuto evitare un
possibile problema teologico, tanto meglio. In ogni caso, siccome soltanto il
decreto è apparso in AAS, non vi è dubbio che esso solo possa rivendicare forza
di legge; e anche questo appare indice della mens pontificia.[27]
Conclusioni
Si può essere
favorevoli o contrari sia alla modifica del Canone Romano in genere, sia a
questa in particolare. E forse la critica alla decisione di Giovanni XXIII può
poggiare su fondamenti solidi.
Tali non sono
però, almeno a mio giudizio, quelli ora confutati.
Parlare delle
ragioni della modifica senza indagarne affatto la storia; fraintendere il testo
in un punto qualificante e non notarne un altro (la posizione del “sed et”);
sovrapporre al problema una lettura in termini di attualizzazione
“sacramentale” della rivoluzione conciliare la cui stessa attinenza è almeno
dubbia; non aver trovato traccia delle specifiche opinioni teologiche che
portavano a suffragare la proposta: ciascuno di questi è un difetto grave in
sé. Il fatto che si trovino tutti riuniti dice molto, purtroppo, sulla mancanza
di serenità, e quindi anche di lucidità, con cui gli studi sulle riforme
liturgiche vengono ancora condotti; non resta, nel bene o nel male, che sperare
in una pacificazione dei curi che, ad oggi, sembra sempre più improbabile ogni
giorno che passa.
Genova, 1 agosto 2020
in SS.
Machabaeorum
Martyrum commemoratione
[1] In verità già refutata, temporibus illis,
da R. Amerio, Iota Unum. Studio
delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Verona 2009, pag.
88: “L'introduzione fu tosto vivamente biasimata, sia per i prevedibili
effetti antiecumenici, sia per la sembianza che aveva di seguire una pura
preferenza personale del Pontefice, benché in effetto essa fosse invece
caldeggiata da lunga pezza da vasti ceti della Chiesa”.
[2] Questo pone un interessante dubium iuris
a chi segue il m.p. “Summorum Pontificum”: a rigore, l'art. 1 del
medesimo dichiara l'ininterrotta vigenza dell'editio typica, non di
eventuali aggiunte successive, quindi bisognerebbe evitare di inserire S.
Giuseppe nel Canone. Ignoro se la questione, che già si poneva in termini
simili secondo l'Indulto del 1984, sia mai stata sottoposta alla S. Sede o
abbia mai ricevuto un riscontro ufficiale; propenderei, tuttavia, per una
soluzione contraria allo stretto tenore letterale. Intanto, l'Indulto del 1984,
di cui il “Summorum Pontificum” è successore, si è distinto dai
precedenti perché, riferendosi al Messale del 1962, ha escluso ogni obbligo di
seguire le modifiche del 1965 e del 1967, ma da ciò sarebbe azzardato inferire,
p.es., il divieto di commemorare un Santo canonizzato o dotato di Messa propria
nel 1964: il vero discrimine temporale sembrerebbe, dunque, l'inizio
dell'attuazione della riforma liturgica. Inoltre, soccorre il criterio
dell'intenzione presumibile del legislatore, che quasi certamente non ha
pensato che, pur datando allo stesso anno, l'aggiunta di S. Giuseppe non faceva
parte dell'editio typica e, se l'avesse notato, difficilmente avrebbe
omesso a) di chiarire il punto, b) prescrivendo di seguirla, vuoi
perché nel prologo Giovanni XXIII è stato incluso tra i Pontefici che hanno
promosso un ordinato rinnovamento liturgico, vuoi soprattutto per dare un
qualche spessore, nel punto forse più qualificante dell'intero rito romano,
alla tesi per cui esso è unico ma in due forme.
[3] Si badi che, per un errore nella scansione,
la pagina non compare sul file dell'annata presente sul sito della S. Sede.
[4] Storicamente, e fino al Codice del 1917, si
riteneva che anche la concessione di una dispensa implicasse l'esercizio del
potere legislativo; in più, era frequente il caso che, anche nella legislazione
vera e propria, il Papa procedesse su sollecitazione dei soggetti più svariati,
o anche secondo la forma del rescritto (risposta in calce alla supplica, re-scriptum).
Per questo motivo la clausola motu proprio si trova apposta tanto agli
atti legislativi quanto a quelli che oggi si considerano amministrativi. E, a
mio parere, conserva la sua utilità anche nei primi: ad es., il Summorum
Pontificum menziona le richieste insistenti dei fedeli “tradizionalisti”,
ma, siccome il Papa ha provveduto motu proprio, nessuna contestazione
teologica o giuridica ai loro argomenti potrà mai inficiare la decisione.
[5] Recensita a pag. 349, sotto l'intestazione “De
cultu S. Josephi”, con un semplice “Cultus S. Joseph foveatur”.
[6] Non vi è, purtroppo, un Conspectus
analyticus preciso per i desiderata di Dicasteri di Curia e
Università, quindi potrebbe essermene sfuggito qualcun altro; quello menzionato
è in Series
I – Antepraeparatoria, Vol. IV, pars I.2, pagg. 239 e 247. Lo riporto
per esteso: “De praecipua S. Iosephi dignitate ac missione post B. V. Mariam in
Ecclesia. S. Iosephi, Christi patris putativi ac Deiparae Sponsi virginalis,
universalis Ecclesiae Patroni, singularis dignitas, missio et ratio praecipui
cultus, qui bene « proto-duliae » audit, opportune hodie proclamari potest,
progressu praesertim considerato scientiae sacrae (Iosephologiae) de tanti
Ecclesiae Patroni sanctitate et meritis ac transcendenti fere dignitate inter
Sanctos. Dogmatica ipsa assertio huius dignitatis, praeparare seu et
iustificare quodammodo valeat ampliorem cultum qui, ut ex alia sectione scil.
liturgica, ab eodem Concilio decerni possit ipsi augustissimo Sancto […] De
S. Iosephi cultu in Ecclesia amplificando. Melius hodie considerata
agnitaque singulari dignitate S. Iosephi, patris Christi putativi et virginalis
B. Mariae Sponsi, pretii meritum reputatur dignior eidem assignatio cultus in
sacra Liturgia. Laudabilis videtur declaratio et affirmatio cultus
proto-duliae, tamquam primo Sanctorum, pro arctiore eius communione vitae,
mentis et dilectionis cum Verbo Incarnato et cum sanctissima Virgine Deipara;
item congrua insertio Eiusdem nominis in Canone Missae, et prior locus,
post Deiparam, in aliis actibus et textibus liturgicis. ” (sottolineatura
aggiunta).
[7] Merita una menzione a parte il Vescovo di
Nuoro, che proponeva di invocarlo come primo dei Santi nelle relative Litanie,
ma non menzionava affatto l'inclusione nel Canone, e prospettava altresì la
composizione di un Codice di Diritto Liturgico.
[8] “Votum facio quod in S. Liturgia Sancti
Sacrificii Missae Sanctus Ioseph ponatur in maiore evidentia nomenque Eius
ponatur in Canone Missae” [Vescovo di Montefeltro, Series
Antepraeparatoria, vol. II, pars III, pag. 411];
“Optandum
est ut S. Ioseph in canone Missae nominetur” [Agostiniani Recolletti, Series
Antepraeparatoria, vol. II, pars VIII, pag. 99];
“Ut
nomen S. Ioseph in Canone post nomen B. M. V. inseratur, sicut in Litaniis
Sanctorum insertum est” [Vescovo di Gulu, Series
Antepraeparatoria, vol. II, pars V, pag. 511];
“Praeter
cetera id quoque ex Concilio Oecumenico speratur: S. Ioseph ingrediatur Canonem
Missae, et quidem proximus a B. V. Maria.” [Arcivescovo di Portland
nell'Oregon, che inserisce la proposta come post scriptum, in Series
Antepraeparatoria, vol. II, pars VI, pag. 411].
Dal canto
suo, l'Arcivescovo di Santa Fé sembra addirittura considerarlo quasi un atto
dovuto: “Cum Sancto Ioseph debitus honor non dari videatur, velim votum
exprimere ut eius nomen in Missae Confessione necnon in Canone introducatur”
[Ibid., pag. 442].
“Utrum
bonum, dignum et iustum sit si nomen S. Joseph Canoni Missae addatur”
[Vescovo tit. di Sbida, Series
Antepraeparatoria, vol. II, pars VII, pag. 662].
[9] “Enixe rogamus Concilii Patres ut
decernatur nomen S. Ioseph Mariae Virginis Sponsi in Canone sicut et in
Litaniis Sanctorum ponatur statim post eiusdem B. Mariae nomen.” [Vescovo
di Campagna, S.A., vol. II, pars III, pag. 163];
“S.
Ioseph, Sponsi B.M.V., nomen in Canone Missae inseratur” [Vescovo di Cuneo,
ibid., pag. 244]; “Ad « Communicantes » post nomen B. M. V. nomen
castissimi Eius Sponsi inseratur” [Vescovo di Montalcino, ibid.,
pag. 406];
“Gaudium
magnum erit christifidelibus, si Sancti Ioseph nomen Canoni Missae addatur.”
[Vescovo di Johannesburg, S.A. Vol. II, pars V, pag. 541];
“Utrum
non deceret pietati Orbis catholici, inserere in textu Canonis Missae nomen
Sancti Ioseph, Sponsi B. V. M. qui, iuxta Sacrum Evangelium, « putabatur »
Pater Redemptoris.” [Vescovo tit. di Bonusta, S.A. Vol. II, pars VI, pag.
148];
“Attento
cultu particularissimo quo de facto hodie Ecclesia prosequitur Sanctum Ioseph,
desideratur introductio nominis Sancti Patriarchae in Canonem Missae et in
alios textus liturgicos” [Carmelitani Scalzi, S.A., vol. II, pars VIII,
pag. 106: il Superiore è il futuro Card. Ballestrero];
“An
venerabile nomen Sancti Ioseph, Sponsi B. M. V., in Canonem Missae recipere
conveniat.” [Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù, ibid.,
pag. 228, che in principio nota che le proposte non esprimono necessariamente
l'unanimità della Congregazione, “sed nobis visum est ea etiam afferre a
quibus dissentire forte convenit, ut haec Pontificia Commissio plane fiat
certior de iis quae reapse a multis viris religiosis cogitantur ac dicuntur”].
[10] “Considerari potest opportunitas inserendi
nomen Sancti Ioseph, Patroni Ecclesiae Universalis, in formula confessionis «
Confiteor » et in « Canone » S. Missae.” [Arcivescovo di Hyderabad, Series
Antepraeparatoria, vol. II, pars IV, pagg. 134-5].
[11] Particolarmente denso di motivi il votum
del Vescovo di Nusco: “Enixior commendatio videtur proponenda specialissimi
Cultus erga Sanctum Josephum, Ecdesiae Universalis, Familiarum atque Opificum
Patroni praecipui: talis cultus enim videtur ita divinitus praeordiatus – etsi
debita proportione - ne unquam seiungatur a cultu erga Christum Dominum et
Mariam Immaculatam. Aliter: adsunt adhuc plerique Laici et plures Clerici et
Nationes, qua tales, qui certe colunt S. Ioseph uti Patronum peculiarem
opificum aut morientium, at minus Eum honorant uti primum Amicum Ss. Cordium
Iesu et Mariae. (Nationibus forsan exemplum praebere poterit populus
canadiensis, qui prae ceteris, a tribus saeculis - ut omnes norunt - in hac
salutan devotione et simul serena prosperitate crevit).” [S.A., vol. II, pars
III, pag. 461].
[12] Insiste particolarmente in questo senso il
Vescovo di Caiazzo, N.M. Di Girolamo: “ut nomen Sancti Ioseph, Sponsi B.
Mariae Virginis, in Confiteor inque S. Missae Canone includatur,
scilicet post B. Mariae V. ipsum nomen; 2. ut in Litaniis omnium Sanctorum et
commendationis animae ordine nomen Ioseph nominibus Angelorum et aliorum omnium
Sanctorum praeponatur; 3. ut Officium et Missa Desponsationis B. Mariae
Virginis cum B. Ioseph ad totam Ecclesiam extendatur. Quae commendans vota, opinatur
S. Ioseph, uti Sponsum B. Mariae V. et Patrem virginalem et matrimonialem Iesu,
ad ipsum Unionis hypostaticae ordinem, quamvis extrinsece, pertinere; nam ut
Suarez, vir doctissimus scribit, S. Ioseph « Unionem hypostaticam attingit ».
Qua de causa ipsum considerandum esse putat atque in quendam ordinem
conferendum, per se stantem, ideoque Superiorem quam Omnium Sanctorum ordinem,
ipsius S. Ioannis Baptistae, qui merito Iesu praecursor, non pater sicut B.
Ioseph dictus fuit. Si vero B. Maria V. qua summa est dignitate, a Summo
Pontifice Leone XIII (in illa Epist. Enc. Quamquam pluries edita A. D. 1889 die
15 augusti) omnibus rebus creatis superior dicta est, tantidem haberi potest,
iusta etiam convenientia, S. Ioseph eius sponsus, idest superior omnibus rebus
creatis, ideoque iisdem Angelis, qui quidem creati ipsi fuere et « omnes
administratorii Dei » appellati, non igitur Pater Iesu, uti B. Ioseph tantum
est appellatus. Quare B. Ioseph summa dulia cultu dignum esse putat. Vero in
eadem sententia videntur esse Summi Pontifices nostrorum temporum, quibus
incliti Patriarchae cultus vel maxime crevit et omnibus ultra consentientibus
apud universes christianos diffusus est. Nam Summus P. Pius IX, anno D. 1870,
S. Ioseph universae Ecdesiae Patronum promulgavit. Summus P. Leo XIII in eadem
Epistula Encyclica anno 1889 edita docuit: Cum Deus B. Ioseph sponsum esse B.
Mariae V. constituisset, non modo ipsum esse comitem, sed etiam, ipsa coniugali
fide, participem eius excelsae dignitatis voluit. Praeterea Summus P. Pius XI,
in acclamationibus, quae fieri solent in Vaticana Basilica, voluit S. Ioseph
nomen statim post B. Mariae V. immo ante ipsarum Angelicarum militiarum
invocari, quarum S. Michael est dux.” [S.A., vol. II, pars III, pagg.
133-4]; “Officialiter agnoscatur locus qui in oeconomia Redemptionis S.
Ioseph occupat et eius nomen in « Confiteor » ac in Canone Missae inseratur.”
[Società dei Missionari di S. Giuseppe, S.A. Vol. II, pars VIII, pag. 234]
[13] “Ad petitionem sustentandam rationes sequentes afferuntur:
1. Sanctus Ioseph ratione officii sui dignitate et sanctitate inter omnes viros
sanctos maxime eminet. 2. Iustitia et sanctitas superior Sancti Ioseph inter
alia apparent ex hoe quod Verbo Incarnato Puero et Iuveni virtutis exemplar
fuit. 3. Theologi communiter consentiunt Sancto Ioseph cultus protoduliae dari
posse et debere; id est, cultum duliae qui cultum debitum Sanctis Apostolis et
Sancto Ioanni Baptistae aliisque Sanctis superet. ” [Arcivescovo di Delhi,
S.A., vol. II, pars IV, pag. 125, che addirittura nel proprio votum non
tratta d'altro].
“Primum, nostrae religiosae
familiae percarum, ad cultum S. Ioseph publicum magis ampliandum fovendumque se
refert, prout in Postulatione iam in Concilio Vaticano habita satis apparet. In
qua cum secunda pars petitionis felicem exitum nacta fuerit, proclamatione S.
Ioseph Patroni Ecclesiae Universalis a Pio IX f. r. gloriose facta, prima vero
pars quae directe cultum liturgicum Protoduliae S. Ioseph tribuendum fovebat,
oblivioni est tradita. Scimus tamen, plurimos religiosos viros ac doctos et
hodie eandem sententiam quam duodequadraginta Patres Cardinales et plus quam
ducenti Episcopi tenuerunt in praefata Concilio Vaticano habita Postulatione,
adhuc firmiter retinere ut magis consonam, darissimi Ecclesiae Universalis
Patroni sanctitati. Quapropter et humilis nostra religiosa familia haec eadem
vota instanter voce depromit mea: scilicet ut S. Ioseph Protoduliae cultus a S.
Congr. Rituum decernatur ac venerabile nomen S. Missae Canoni inseratur. ”
[Pia Società Torinese di S. Giuseppe, S.A. Vol. II, pars VIII, pag. 232]
[14] Cfr., suo quisque iam citato loco:
Vescovo di Campagna (Mediazione universale, Regalità di Gesù e Maria,
riferimento finale al trionfo del Cuore Inmacolato); Vescovo di Montalcino
(Mediazione universale e regalità di Maria, regalità di Cristo e Corpo mistico
[?]); Vescovo di Nusco (Maternità universale, per spianare la strada alla
Corredenzione); Arcivescovo di Hyderabad (Mediazione di tutte le grazie:
chiarimento ed estensione della festa a tutta la Chiesa); Vescovo di Gulu
(Mediazione e Corredenzione); Arcivescovi di Portland nell'Oregon e di Santa Fé
(Mediatrice di tutte le grazie); Agostiniani Recolletti (Mediazione
universale); Società dei Missionari di S. Giuseppe (Maternità universale).
[15] Qui dovrei forse aggiungere che gli auspici
del legislatore non sono parte integrante della legge, come non lo sono né la occasio
né, a rigore, la stessa ratio legis, che è un criterio interpretativo.
[16] Non è certo il caso di entrare, qui, nel
dibattito sul Concilio, che di recente si è riaperto; mi limito dunque ad
osservare che questo mi sembra, ahimè, un ottimo esempio dell'approccio da cui ho
ritenuto di dover prendere le distanze.
[17] Cfr., rispettivamente: “motu proprio etiam
decrevit Eius nomen, tanquam optatum mnemosynon et fructus ipsius Concilii, ut
in Canone Missae recitaretur.”; “Sub
eius patrocinio hoc Concilium Vaticanum II celebratur, et haec concessio ut
optatum mnemosynon
et fructus ipsius Concilii manebit.”.
[18] Si trova attestato anche in lessici latini (ad
es. Forcellini,
ad voc.) sulla scorta di una possibile lettura di Catullo, 12,13 (m.
sodalis mei), dove però l'ed. Della Corte preferisce la forma latinizzata mnemosynum,
più vicina ai codici, riconducendo il vero e proprio prestito greco ad un
intervento congetturale dell'edizione vicentina del 1481. Mnemosynon si
trova poi usato, nel latino dell'età moderna, per scritti o medaglie
commemorative. Poiché però, nel discorso del Cardinale il termine figura in
corsivo, come un vocabolo straniero, sarei propenso a considerarlo greco a
tutti gli effetti; non mi sento di escludere un influsso del luogo catulliano,
trattandosi di un carme celebre (il furto del fazzoletto), ma semmai nel senso
di una presa di distanza, che ha portato – appunto mediante il rimando al
greco, quindi ai LXX - a dare consapevolmente al vocabolo un'accezione ben più
alta, pertinente e confacente rispetto ad un colloquialismo riferito al
“pensierino” di un amico.
[19] Non ho controllato se e in che misura questa
specifica proposta sia stata discussa nella fase preparatoria; di certo non
compare nelle spiegazioni apposte alla bozza di Costituzione sulla Liturgia (le
quali menzionano, invece, una recita almeno parzialmente ad alta voce del
Canone), ma, considerato che essa doveva delineare soltanto gli altiora
principia della riforma, evidentemente non poteva trovarvi ingresso una
proposta così specifica. Questo però non impediva al Papa di ragionarvi sopra e
farla propria.
[20] Peraltro, il decreto, almeno se letto alla luce
del discorso, sembra ancor più chiaro nell'istituire il nesso: patrocinio sulla
Chiesa universale – protezione del Concilio – inclusione nel Canone.
[21] Cfr. Martino
P.P. V, bolla Inter cunctas, 22 febbraio 1418, art. 5.
[22] Al riguardo, non posso offrire che conferme aneddotiche, avendo
avviato un piccolo sondaggio informale tra i miei conoscenti meglio formati in
ambito religioso: uno solo aveva già sentito il termine “protodulia”... e,
sebbene egli faccia onore ai laici domenicani, trovo più significativo ai
nostri fini che sia il vocabolo sia la tesi soggiacente giungessero, invece,
completamente nuovi ai due Sacerdoti interpellati (nonché a tutti gli altri).
[23] Giovanni
Paolo P.P. II, Lettera Apostolica Redemptoris
custos sulla figura e la missione di S. Giuseppe nella vita di Cristo e
della Chiesa, 15 agosto 1989, n. 6. Il rilievo svolto nel testo circa la protodulia può estendersi
all'intero documento, che, salvo errore, è ancora il più recente dedicato ex
professo alla figura di S. Giuseppe.
[24] “Locus
proprius huius insertionis in Canonem erit ad « Communicantes » post nomen «
Mariae »; nempe, verbis « ... in primis gloriosae semper Virginis Mariae,
Genetricis Dei et Domini nostri Iesu Christi... »addendum erit « et beati
Ioseph eiusdem Virginis Mariae sponsi », ac dein reliqua verba, « ... sed et
beatorum Apostolorum », etc. Placuit Sanctitati Suae hoc dispositum in actum
deducere sine mora, et iussit ut vigere illud incipiat a die 8 proximi mensis
decembris, in festo Immaculatae Conceptionis Mariae. Interim vero fiant acta
necessaria apud Sacram Congregationem Rituum, ut decretum ad hoc iuxta normas
edatur.”
[25] “Quapropter haec S. Rituum Congregatio,
voluntatem Summi Pontificis prosecuta, decernit ut infra Actionem post verba: «
Communicantes ... Domini nostri Iesu Christi », haec addantur: « sed et beati Ioseph eiusdem
Virginis Sponsi » et deinde prosequatur : « et beatorum Apostolorum ac Martyrum
tuorum ... ».
Statuit
etiam ipsa S. Congregatio ut huiusmodi praescriptum diebus quoque observetur in
quibus peculiaris formula «
Communicantes » in Missali praescribitur. Contrariis non obstantibus
quibuscumque, etiam speciali mentione dignis.”
[26] Lettura che dev'essere sfuggita ai protestanti
lieti della modifica, altrimenti credo che avrebbero reagito in ben altri modi.
In ogni caso, non c'è da impensierirsi per una lettura errata; e se poi, per
pura ipotesi, avesse mai reso più facile la conversione di qualcuno, tale
errore sarebbe l'ennesima riprova di come lo Spirito Santo scriva dritto su
righe storte.
[27] Ovviamente, la prova provata sarebbe il
Messale personale di Giovanni XXIII, se per caso si potesse esaminarlo e recasse
traccia di quale delle due formule egli abbia usato, negli ultimi mesi di vita,
per fare menzione di S. Giuseppe. Tuttavia, come Legislatore supremo, di fatto
egli si è espresso in termini legalmente obbligatori solo tramite la S.R.C.,
sia il decreto sia il Card. Cicognani attestano che tale era la sua intenzione
e non sono poi seguite correzioni ufficiali; tanto può bastare a risolvere
l'interrogativo “Quid iuris?”. Il resto spetta a biografi e storici.
Un altro dei cambiamenti senza senso operato nei ruggenti anni '60! Doveva essere proprio insopportabile il prurito di cambiare, modificare, rinnovare qualunque cosa, senza lasciar stare niente. Improvvisamente, ciò che andava bene da duemila anni si è ritenuto inadatto, sopprimibile, modificabile a seconda di dove tirava il vento in quegli anni. Guasti senza logica che hanno iniziato ad instillare nei fedeli quell'idea di "religione fai da te" che oggi appare in tutto il suo fosco splendore.
RispondiEliminaIn realtà quello di un'assenza di s. Giuseppe nell'edizione tipica vaticana del 1962 è un falso problema. Infatti l'edizione tipica vaticana del messale, benché recante il decreto di approvazione datato 23 giugno 1962, non uscì se non alla fine di quell'anno, con la menzione di s. Giuseppe già inserita nel testo. Quindi non esiste nei fatti un'edizione tipica del 1962 che non riporti il nome di s. Giuseppe nel canone. Ne sono prive soltanto le prime editiones iuxta typicam pubblicate sollertemente dagli editori autorizzati già pochi mesi dopo la promulgazione del Motu proprio "Rubricarum instructum" del 25 luglio 1960 (in genere nel primo semestre del 1961).
RispondiEliminaPersonalmente ritengo che S. Giuseppe abbia accettato da Dio di svolgere un Compito che pochi uomini nella storia sarebbero stati capaci di sostenere. Resta la domanda sul perché non sia stato inserito sin dall'inizio, scoprire tali motivazioni aiuterebbe a formulare bene i pro ma soprattutto i contro. Vista la provata umiltà di S. Giuseppe non ritengo che per lui cambi qualcosa. Certo gli dispiace che noi fratelli di quel Cristo che accolse, protesse e crebbe come figlio suo in un epoca dove un tale atto era impensabile e causa di disonore sicuro, litighiamo per causa sua.
RispondiEliminaIo non avrei modificato il canone solo per il fatto che S. Pio V lo aveva espressamente proibito con un preciso anatema. Al più avrei dato lustro maggiore nel breviario o elevato a maggiore importanza la S.Messa del 19 marzo. Comunque alea iacta est e rispetto alla riforma successiva tutto ciò impallidisce...
Maria Santissima, gelosa ? Che idiozia ! Chi, più di Lei, ha amato e ama soprannaturalmente lo Sposo messole accanto dallo Spirito Santo ?
RispondiEliminaUn giorno santa Bernadette fu trovata dalla madre superiora a pregare davanti a un'immagine di San Giuseppe, e richiamata perché le era stato detto di chiedere una certa grazia alla Vergine; lei rispose: " In Cielo non ci sono di codeste gelosie".
A prescindere dalle dotte e sottili distinzioni, la mia versione personale è :"Ave... Sancta Maria Mater Dei et sancte Joseph, orate pro nobis peccatoribus..." . Mi scomunicheranno ?
Bellissimo articolo, grazie. Che San Giuseppe protegga tutte le famiglie soprattutto che interceda affinché venga abolita la legge 119/2017 che obbliga ad usare vaccini con dentro veleni, feti abortito e DNA di scimmia. Salvini aveva promesso di fare qualcosa e non lo ha fatto, intanto molte famiglie vivono l' ansia di avere i figli buttati fuori da scuola e nessuno dice nulla tra preti, vescovi , cardinali e il Papa. Questa storia sta dando molta differenza e i religiosi tacciono.
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