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S. Messa tradizionale nell'arte #178 - Et Verbum caro factum est - #natale

Quest'anno il S. Natale cade di mercoledì, proprio nel giorno della nostra rubrica dedicata alla S. Messa tradizionale nell'arte.  P...

lunedì 10 agosto 2020

"...sed et beati Ioseph, eiusdem Virginis Sponsi,...": Sull'introduzione del nome di S. Giuseppe nel Canone Romano


foto "Divinum Officium" - anche in App iMass della Fssp

MiL nel 2013 si era occupato della felicissima introduzione del nome di S. Giuseppe nelle preghiere eucaristiche II, III e IV del Messale di Paolo VI (qui): decisione che fu di Papa Francesco nel 2013 (C.C.D.eD.SS.1° maggio 2013, a compimento di un inter voluto da  Benendetto XVI) e che era stata salutata, giustamente, come una sconfitta dei modernisti in stile anni '70.
Diverse critiche invece erano state (e sono tuttora) mosse a Giovanni XXIII perchè decise,
a suo tempo (S.C.R. 13 novembre 1962), di introdurlo nel Canone Romano - nel "Communicantes" - (ora I preghiera eucarisica nel Messale di Paolo VI 1969), sebbene fosse stata da poco promulgata l'editio typica del Messale del 1962 (quella in uso oggi giusta Summorum Pontificum, artt. 1, 2 e 3) in cui non risultava.
Guido Ferro Canale, che ringraziamo, ci ha inviato un bello studio, che noi ci sentiamo di condividere e pubblicare, con cui spiega i 
motivi per i quali egli ritiene - a nostro avviso con ben ragione - che quella fu una felice introduzione.
Buona lettura. 

Roberto 



L'introduzione del nome di S. Giuseppe nel Canone

Te, Joseph, celebrent agmina caelitum, 
te cuncti resonent christiadum chori,
qui clarus meritis, iunctus es inclitae
casto foedere Virgini.
[Breviarium Romanum (1962),
in die festo S. Joseph, Hymnus ad I Vesperas]


1 – I termini della questione
In ambito tradizionalista, viene spesso criticata la scelta di Giovanni XXIII di introdurre nel Canone il nome di S. Giuseppe (la prima modifica apportatavi da un Papa fin dai tempi di S. Gregorio Magno): per lo più lo si ritiene un atto contrario all'autorità della tradizione e motivato da sola devozione personale. Uno studio più dettagliato - la cui autrice dovrebbe essere, salvo un improbabile caso di omonimia la D.ssa Carol Byrne, già Vicepresidente della benemerita “Latin Mass Society” - mi ha spinto ad approfondire la questione e vorrei condividere con il pubblico i risultati cui sono giunto.
Tra i rilievi critici della D.ssa Byrne, preciso subito che condivido senza riserve il rilievo di S. Tommaso d'Aquino secondo cui ogni cambiamento nella legge è di per sé un male, perché intacca quell'abitudine ad osservare sempre la medesima regola che è il principale fondamento della sua effettività. Inoltre, anch'io penso che la modifica del Canone abbia trasmesso, allora, un segnale “politico” molto pericoloso di incoraggiamento ai novatori, che già premevano per sovvertire e percepivano che nulla veniva considerato intoccabile.
Sebbene validi, però, tali argomenti non mi paiono sufficienti per respingere l'innovazione. E anticipo subito di non condividere gli altri.
Il monito di S. Tommaso ha carattere generalissimo e, appunto per questo, non ha da solo forza cogente, sennò impedirebbe qualsivoglia modifica alla legge (umana). La sua importanza sta nel fatto di prescrivere sempre un raffronto tra il bene che si prevede dalla modifica (in questo caso, l'accresciuto onore di S. Giuseppe) con un danno cui è più facile che non si pensi, quello prodotto dalla mutatio legum come tale. Nel nostro caso, tuttavia, l'argomento sembra particolarmente debole: la stessa D.ssa Byrne definisce addirittura “ovvio” il beneficio e, per contro, la formula del Canone Romano obbligava solo una categoria ben precisa di persone, i Sacerdoti celebranti; non si poteva temere scandalo di sorta nel popolo, dato che la recita avveniva ancora sub secreto, e i Sacerdoti, com'erano abituati a leggere fedelmente la formula di prima, parimenti avrebbero proseguito leggendo la nuova (al più con il fastidio, transitorio, dell'ennesimo “foglietto volante”).
Il problema dell'inopportunità politica di lanciare un simile segnale di disponibilità al cambiamento è senz'altro più serio, ma né da solo né unito al precedente mi pare che basti a imporre o giustificare il rifiuto della modifica legislativa. Non solo, infatti, questo genere di valutazioni spetta in sé e per sé a chi ha la responsabilità del governo, ma in concreto quali erano i danni che ci si poteva ragionevolmente attendere? Un incremento di proposte o iniziative per la modifica di questo o quel rito, che già abbondavano; forse, ma sembra già meno probabile, anche una crescita degli sperimentalismi abusivi di fatto, che già si riscontravano in più luoghi. Riguardo alle prime, spettava pur sempre all'autorità vagliarle... e infatti poi gli errori sono stati commessi “a valle”, nel corso del successivo processo di riforma, non dipendono in senso causale dalla modifica al Canone, che al massimo ne è l'occasio remota e, per giunta, va in direzione diametralmente opposta ai propositi p.es. di Küng, che, ci informa la D.ssa Byrne, avrebbe eliminato ogni e qualsiasi Santo. Quanto poi alle iniziative arbitrarie, si può anche concedere che la novella legislativa abbia costituito per tali soggetti un'occasione di peccato, peraltro ancora una volta remota, e dunque abbia in un certo modo dato scandalo; ma il salto logico che corre tra “Il Papa cambia il Canone” e “Io posso fare quel che mi pare” è tale che parlerei, senza esitazioni, di scandalo farisaico: quello di cui, sull'esempio di Gesù, non ci si deve curare.
Questi, però, sono solo argomenti collaterali. Veniamo al merito.

2 – Le richieste all'origine della modifica del Canone
Come dicevo, non mi sento di condividere la tesi che l'aggiunta di S. Giuseppe si debba alla sola devozione personale di Giovanni XXIII.[1] Per spiegare il perché, debbo andare alle fonti e ripercorrere, almeno in breve, la storia di questa modifica tanto criticata, che non fa parte dell'editio typica del 1962,[2] ma è entrata in vigore l'8 dicembre di quell'anno, mentre il decreto della S.R.C. - i cui riferimenti sono stati correttamente indicati dalla D.ssa Byrne: AAS 54 (1962) 873[3] – data al 13 novembre.
Ciò che più conta, però, detto decreto riferisce di essere un atto esecutivo di una decisione papale esternata quel giorno stesso, ma in altra sede: nell'aula conciliare, per mezzo del Segretario di Stato, Card. Amleto Giovanni Cicognani. E infatti, negli Acta Synodalia, il verbale della seduta ne riporta l'intervento a voce [Acta Concilii Vaticani II – Periodus prima, pars II, pag. 644]. Giuridicamente, ogni Cardinale, ai sensi del can. 239 n. 17 CIC 1917, aveva il privilegio di attestare un oraculum vivae vocis del Sommo Pontefice con la stessa autorità di un notaio, quindi facendo prova piena in foro esterno; questo è appunto un caso del genere.
Si notano, però, due discrepanze tra il discorso e un decreto che ci si attenderebbe pedissequo.
Esaminiamo, per adesso, soltanto la prima: per la S.R.C., la decisione è stata assunta motu proprio; viceversa, il Cardinale riferisce al Concilio che il Papa ha deciso “votis vestris benigne annuens”.
La spiegazione, invero, è agevole: le richieste ci sono state (e tra poco le esamineremo), ma la clausola motu proprio non serve mai a negarne l'esistenza storica, il suo scopo è evitare che errori, omissioni o addirittura falsità nei motivi addotti dai richiedenti invalidino la decisione, come avverrebbe normalmente (cfr., a contrario, l'odierno can. 63 §1),[4] perché il Papa, in quel particolare caso, ha deciso di tenerla ferma comunque, “come se” nessuna richiesta ci fosse mai stata ed Egli avesse deciso in piena autonomia.
Nel caso di specie, poi, l'impiego della clausola era particolarmente opportuno, in quanto le richieste presentate non coincidevano pienamente né per l'oggetto né, soprattutto, per le ragioni addotte.
Il Conspectus Analyticus delle proposte dei Vescovi e degli Ordini religiosi [nell'edizione degli atti, Series I – Antepraeparatoria, vol. II, Appendix, pars II, pag. 275] ci consente di risalire a quelle di tredici Vescovi – se ho contato bene –due Ordini religiosi e una Congregazione; al censimento sono sfuggite, invece, la Pia Società Torinese di S. Giuseppe[5] e la Società dei Missionari di S. Giuseppe, cui bisogna ancora aggiungere la Facoltà Teologica di S. Bonaventura[6] e il Vescovo titolare di Sbida, Vicario Apostolico di Tonga e Niue in Polinesia, misteriosamente contato solo a pag. 349 dell'Indice, nella sezione dedicata al culto dei Santi. Tutti insieme, magari non saranno un esercito, ma direi che bastano a far cadere l'accusa di decisione solitaria motivata da mera devozione personale: dopotutto, anche contati i soli Vescovi, sono rappresentati tutti i continenti, perfino l'Oceania.
I richiedenti però, come ho detto, non sono perfettamente concordi: alcuni vogliono aggiungere il nome di S. Giuseppe “soltanto” nel Canone, altri anche nel Confiteor, nel Suscipe Sancta Trinitas e nell'embolismo.[7] Più di uno non indica particolari motivazioni,[8] a parte la gioia che ne trarrebbero i fedeli, il particolare culto che de facto gli viene tributato o il fatto che S. Giuseppe è lo sposo della Beatissima Vergine;[9] in un solo caso, invero, l'unico motivo che viene addotto è il suo ruolo di Patrono della Chiesa universale.[10] Altri, tuttavia, avanzano argomentazioni teologiche di ordine più elevato,[11] asserendo in particolare che il ruolo particolarissimo svolto da S. Giuseppe nella storia della salvezza ha istituito un nesso specifico, benché estrinseco, tra lui medesimo e l'unione ipostatica,[12] e/o che gli va tributato un culto superiore a tutti gli altri Santi, la c.d. proto-dulia, richiamandosi anche ad una richiesta in tal senso già presentata al Vaticano I.[13]
Nessuno, vale forse la pena di precisarlo, mostra il benché minimo timore che questa teoria, o l'aggiunta in sé, possano in alcun modo nuocere all'onore della Beatissima Vergine, anzi, spesso chiedono contemporaneamente che sia definita la dottrina della Corredenzione, o della Maternità universale.[14]
Ci si può chiedere quale, tra tutti gli argomenti addotti dai fautori della modifica, sia stato fatto proprio dal Papa e supporti la decisione assunta. A mio parere, dati gli effetti caratteristici della clausola motu proprio, nessuno; però, nello stesso tempo, tutti possono essere invocati a tale scopo, appunto perché la questione è rimasta libera, fermo che appaiono rafforzati soprattutto quelli relativi al ruolo di Patrono della Chiesa universale.
Ruolo la cui importanza, per la verità, sembra sfuggita del tutto alla D.ssa Byrne.

3 – Un monumento alla rivoluzione permanente?
Per la Byrne, che qui cita il decreto della S.R.C., la riforma deve servire come 'a memorial and testament of the fruit of the Second Vatican Council.'”,[15] sicché “The substance of this reform lies not in honoring St. Joseph (who was and could still be fittingly honored in the liturgy by other means) but in accepting Vatican II as a break with the past.”.
L'inferenza mi pare un tantino azzardata.[16]
Ma, soprattutto, la traduzione è grammaticalmente scorretta: sia nel decreto sia nell'intervento di Cicognani, fructus è al caso nominativo, non al genitivo.[17] Molto accurata, invece, la resa di mnemosynon, termine greco[18] che la Bibbia dei Settanta usa per tradurre due vocaboli della sfera sacrificale, zikkaron e azkarah. Nondimeno, la traduzione corretta dell'intera espressione può solo essere “memoriale e frutto”.
In che senso, però, si può definire “frutto” del Concilio qualcosa che, dopotutto, non è affatto una decisione conciliare?
L'unica risposta possibile mi sembra: il Papa, al di là dell'impiego della clausola motu proprio, si è psicologicamente determinato a cambiare il Canone per effetto delle richieste pervenute in tal senso durante la fase antepreparatoria. Non dimentichiamoci che, per Giovanni XXIII, in un certo senso – piuttosto concreto – il Concilio “comincia” già nel 1959, quando ne dà l'annuncio, e che egli ha seguito tutto il processo che, dalla raccolta di pareri, ha portato alla formulazione dei progetti che, alla data del 13 novembre 1962, si trovano sottoposti ai Padri da un mese circa.[19] Quindi, la decisione è “conciliare” come frutto di questo specifico processo; supporre, invece, che egli intendesse riferirsi ad un altro processo, uno cioè di rivoluzione permanente, e/o addirittura ai frutti del Concilio-evento mi sembra, nella migliore delle ipotesi, un'inaccettabile “proiezione all'indietro”.
Certamente mnemosynon, se va inteso nel senso di “memoriale”, come anch'io credo, parla di una memoria attualizzante: a questo riguardo, la lettura della Byrne è corretta. Ella, tuttavia, si è fermata al testo del decreto, trascurando di risalire all'oraculum vivae vocis di cui esso sta solo riportando il contenuto; così non ha potuto cogliere il collegamento ivi istituito tra la decisione e il fatto che il Vaticano II è stato posto sotto la protezione di S. Giuseppe.[20] Non certo - aggiungo io e si riscontra dalla relativa Lettera Apostolica – per semplice devozione personale di Giovanni XXIII, ma perché egli era ed è Patrono della Chiesa universale, oltretutto in forza di una decisione assunta da Pio IX sulla scorta del Vaticano I; e ogni Concilio Ecumenico, dopotutto, rappresenta proprio la Chiesa universale.[21] Allora, è proprio questa protezione l'oggetto del ricordo attualizzante, fors'anche perché la decisione assunta dovrebbe attestarne di per sé l'efficacia. E per questo direi che, di tutti gli argomenti a supporto, i più plausibili mi sembrano appunto quelli legati al ruolo di Patrono della Chiesa universale. Ruolo che – beninteso, sempre a mio personale avviso –  giustifica di per sé  l'inserimento nel Canone Romano.

4 – Il peso della protodulia
Per contro, la protodulia, per quanto possa essere una tesi ben argomentata, non mi convince e soprattutto non mi sembrerebbe sufficiente: non basta una sententia communis per cambiare la Liturgia, occorrerebbe almeno che fosse fidei proxima e recepita tanto quanto, prima del Concilio, lo era il Limbo. Tanto più che quella che era una tesi molto diffusa nel 1962 sembra, oggi, pressoché sconosciuta.[22]
Circostanza interessante, il Magistero posteriore offre una sorta di “interpretazione autentica” della decisione di Giovanni XXIII che, pur menzionando tutte le premesse della protodulia, non ne trae alcuna delle conseguenze (a parte, una volta di più, la conferma del ruolo di Patrono della Chiesa universale): “La via propria di Giuseppe, la sua peregrinazione della fede si concluderà prima, cioè prima che Maria sosti ai piedi della Croce sul Golgota e prima che ella - ritornato Cristo al Padre - si ritrovi nel Cenacolo della Pentecoste nel giorno della manifestazione al mondo della Chiesa, nata nella potenza dello Spirito di verità. Tuttavia, la via della fede di Giuseppe segue la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso mistero, del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo depositario. L'Incarnazione e la Redenzione costituiscono un'unità organica ed indissolubile, in cui l'«economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro» («Dei Verbum», 2). Proprio per questa unita papa Giovanni XXIII, che nutriva una grande devozione per san Giuseppe, stabilì che nel canone romano della Messa, memoriale perpetuo della Redenzione, fosse inserito il suo nome accanto a quello di Maria, e prima degli apostoli, dei Sommi Pontefici e dei martiri (cfr. S. Rituum Congreg., «Novis hisce temporibus, die 13 nov. 1962: AAS 54 [1962]).”.[23]
Nessun cenno, si noterà, ai frutti del Concilio.

5 – Diminuito onore della B.V.M. e incongruenza nella serie dei Santi 
Tratto insieme, da ultimo, due obiezioni cui la risposta è congiunta: anzitutto, S. Giuseppe verrebbe a trovarsi quasi equiparato alla Beatissima Vergine e ciò comporterebbe un ridimensionamento dell'iperdulia, notato con soddisfazione anche da illustri protestanti; inoltre, l'asserita incongruenza del suo inserimento nel Communicantes, dove tutti gli altri Santi “were part of the public ministry of Christ, suffered martyrdom or were Pontiffs on whom the Church in Rome was founded”, tanto più che egli scombinerebbe il simbolismo numerico dato dalla presenza, in quella sezione del Canone, di due serie di dodici Santi, a somiglianza dei ventiquattro Seniori della Gerusalemme celeste.
Tali asserti ci portano, infatti, alla seconda incongruenza tra discorso del Cardinale e decreto: i termini stessi dell'aggiunta. L'equiparazione con la Madonna, infatti, poteva sensatamente conseguire se, subito dopo, si fosse detto “...e di S. Giuseppe Suo Sposo, ma anche dei beati Apostoli...”, come annunciato da Cicognani in aula Conciliare;[24] ma, forse proprio perché qualcuno alla S.R.C. ha colto il problema, il decreto si esprime in forma diametralmente opposta: “...ma anche di S. Giuseppe Suo Sposo, e dei beati Apostoli...”.[25]
A questo punto, ogni pericolo di equiparazione con la Beatissima Vergine viene evitato (altro argomento, invero, contro la lettura “protodulica”)[26] e semmai si pone quello della serie numerica dei Santi o delle loro qualità.
Per la verità, l'accostamento ai ventiquattro Vegliardi dell'Apocalisse mi lascia un po' perplesso, perché essi dovrebbero essere, piuttosto, i dodici Apostoli e i dodici Patriarchi, o comunque i santi dell'Antico e del Nuovo Testamento, non del nuovo solamente. E, in ogni caso, le letture simboliche sono frutto del rito così come sta e cambiano con esso, non gli impongono certo la fisionomia.
Ciò posto, chi vuol conservare questo simbolismo non ha che da ricorrere ad una semplice distinzione interpretativa, spiegando cioè che S. Giuseppe si trova lì ad un titolo diverso. Che può essere la protodulia, o lo specifico ruolo di intercessore affidatogli dai Sommi Pontefici, o anche il semplice onore per la sua dignità di Sposo della Vergine; in ogni caso, appunto perché non è stato né Martire né Pontefice, distinguerlo dagli altri riesce facile.
Invece, la discrepanza ora segnalata tra i due testi pone un quesito interessante: se la S. Congregazione avesse il potere di cambiare il testo attestato dall'oraculum vivae vocs, testo che dobbiamo considerare stabilito dal Papa.

Di regola, la risposta negativa sarebbe ovvia; ma, in questo caso, sarei propenso ad una risposta affermativa, considerati tanto i poteri molto ampi della S.R.C. in materia quanto il rimando espresso del Cardinale a un futuro decreto della medesima per la modifica vera e propria dei libri liturgici. In sé, il decreto era perfettamente inutile, la decisione era già completa di tutti gli elementi e poteva anche esser pubblicata direttamente in AAS; ma, appunto per questo, la scelta di far intervenire comunque la S.R.C. significava l'intento del Papa di conformarsi alla prassi per cui essa era l'organ preposto a tradurre in norme concrete tutte, o quasi tutte, le decisioni papali in materia liturgica (come già, a suo tempo, proprio quella di Pio IX che ha fatto di S. Giuseppe il Patrono della Chiesa Universale). Una simile competenza ha sempre incluso anche il potere di definire le norme di dettaglio; e se così, in questo caso, la maggior competenza specifica della S.R.C. ha potuto evitare un possibile problema teologico, tanto meglio. In ogni caso, siccome soltanto il decreto è apparso in AAS, non vi è dubbio che esso solo possa rivendicare forza di legge; e anche questo appare indice della mens pontificia.[27]

Conclusioni
Si può essere favorevoli o contrari sia alla modifica del Canone Romano in genere, sia a questa in particolare. E forse la critica alla decisione di Giovanni XXIII può poggiare su fondamenti solidi.
Tali non sono però, almeno a mio giudizio, quelli ora confutati.
Parlare delle ragioni della modifica senza indagarne affatto la storia; fraintendere il testo in un punto qualificante e non notarne un altro (la posizione del “sed et”); sovrapporre al problema una lettura in termini di attualizzazione “sacramentale” della rivoluzione conciliare la cui stessa attinenza è almeno dubbia; non aver trovato traccia delle specifiche opinioni teologiche che portavano a suffragare la proposta: ciascuno di questi è un difetto grave in sé. Il fatto che si trovino tutti riuniti dice molto, purtroppo, sulla mancanza di serenità, e quindi anche di lucidità, con cui gli studi sulle riforme liturgiche vengono ancora condotti; non resta, nel bene o nel male, che sperare in una pacificazione dei curi che, ad oggi, sembra sempre più improbabile ogni giorno che passa.

Genova, 1 agosto 2020
in SS. Machabaeorum Martyrum commemoratione




[1]    In verità già refutata, temporibus illis, da R. Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Verona 2009, pag. 88: “L'introduzione fu tosto vivamente biasimata, sia per i prevedibili effetti antiecumenici, sia per la sembianza che aveva di seguire una pura preferenza personale del Pontefice, benché in effetto essa fosse invece caldeggiata da lunga pezza da vasti ceti della Chiesa”.
[2]    Questo pone un interessante dubium iuris a chi segue il m.p. “Summorum Pontificum”: a rigore, l'art. 1 del medesimo dichiara l'ininterrotta vigenza dell'editio typica, non di eventuali aggiunte successive, quindi bisognerebbe evitare di inserire S. Giuseppe nel Canone. Ignoro se la questione, che già si poneva in termini simili secondo l'Indulto del 1984, sia mai stata sottoposta alla S. Sede o abbia mai ricevuto un riscontro ufficiale; propenderei, tuttavia, per una soluzione contraria allo stretto tenore letterale. Intanto, l'Indulto del 1984, di cui il “Summorum Pontificum” è successore, si è distinto dai precedenti perché, riferendosi al Messale del 1962, ha escluso ogni obbligo di seguire le modifiche del 1965 e del 1967, ma da ciò sarebbe azzardato inferire, p.es., il divieto di commemorare un Santo canonizzato o dotato di Messa propria nel 1964: il vero discrimine temporale sembrerebbe, dunque, l'inizio dell'attuazione della riforma liturgica. Inoltre, soccorre il criterio dell'intenzione presumibile del legislatore, che quasi certamente non ha pensato che, pur datando allo stesso anno, l'aggiunta di S. Giuseppe non faceva parte dell'editio typica e, se l'avesse notato, difficilmente avrebbe omesso a) di chiarire il punto, b) prescrivendo di seguirla, vuoi perché nel prologo Giovanni XXIII è stato incluso tra i Pontefici che hanno promosso un ordinato rinnovamento liturgico, vuoi soprattutto per dare un qualche spessore, nel punto forse più qualificante dell'intero rito romano, alla tesi per cui esso è unico ma in due forme.
[3]    Si badi che, per un errore nella scansione, la pagina non compare sul file dell'annata presente sul sito della S. Sede.
[4]    Storicamente, e fino al Codice del 1917, si riteneva che anche la concessione di una dispensa implicasse l'esercizio del potere legislativo; in più, era frequente il caso che, anche nella legislazione vera e propria, il Papa procedesse su sollecitazione dei soggetti più svariati, o anche secondo la forma del rescritto (risposta in calce alla supplica, re-scriptum). Per questo motivo la clausola motu proprio si trova apposta tanto agli atti legislativi quanto a quelli che oggi si considerano amministrativi. E, a mio parere, conserva la sua utilità anche nei primi: ad es., il Summorum Pontificum menziona le richieste insistenti dei fedeli “tradizionalisti”, ma, siccome il Papa ha provveduto motu proprio, nessuna contestazione teologica o giuridica ai loro argomenti potrà mai inficiare la decisione.
[5]    Recensita a pag. 349, sotto l'intestazione “De cultu S. Josephi”, con un semplice “Cultus S. Joseph foveatur”.
[6]    Non vi è, purtroppo, un Conspectus analyticus preciso per i desiderata di Dicasteri di Curia e Università, quindi potrebbe essermene sfuggito qualcun altro; quello menzionato è in Series I – Antepraeparatoria, Vol. IV, pars I.2, pagg. 239 e 247. Lo riporto per esteso: “De praecipua S. Iosephi dignitate ac missione post B. V. Mariam in Ecclesia. S. Iosephi, Christi patris putativi ac Deiparae Sponsi virginalis, universalis Ecclesiae Patroni, singularis dignitas, missio et ratio praecipui cultus, qui bene « proto-duliae » audit, opportune hodie proclamari potest, progressu praesertim considerato scientiae sacrae (Iosephologiae) de tanti Ecclesiae Patroni sanctitate et meritis ac transcendenti fere dignitate inter Sanctos. Dogmatica ipsa assertio huius dignitatis, praeparare seu et iustificare quodammodo valeat ampliorem cultum qui, ut ex alia sectione scil. liturgica, ab eodem Concilio decerni possit ipsi augustissimo Sancto […] De S. Iosephi cultu in Ecclesia amplificando. Melius hodie considerata agnitaque singulari dignitate S. Iosephi, patris Christi putativi et virginalis B. Mariae Sponsi, pretii meritum reputatur dignior eidem assignatio cultus in sacra Liturgia. Laudabilis videtur declaratio et affirmatio cultus proto-duliae, tamquam primo Sanctorum, pro arctiore eius communione vitae, mentis et dilectionis cum Verbo Incarnato et cum sanctissima Virgine Deipara; item congrua insertio Eiusdem nominis in Canone Missae, et prior locus, post Deiparam, in aliis actibus et textibus liturgicis. ” (sottolineatura aggiunta).
[7]    Merita una menzione a parte il Vescovo di Nuoro, che proponeva di invocarlo come primo dei Santi nelle relative Litanie, ma non menzionava affatto l'inclusione nel Canone, e prospettava altresì la composizione di un Codice di Diritto Liturgico.
[8]    Votum facio quod in S. Liturgia Sancti Sacrificii Missae Sanctus Ioseph ponatur in maiore evidentia nomenque Eius ponatur in Canone Missae” [Vescovo di Montefeltro, Series Antepraeparatoria, vol. II, pars III, pag. 411];
      Optandum est ut S. Ioseph in canone Missae nominetur” [Agostiniani Recolletti, Series Antepraeparatoria, vol. II, pars VIII, pag. 99];
      Ut nomen S. Ioseph in Canone post nomen B. M. V. inseratur, sicut in Litaniis Sanctorum insertum est” [Vescovo di Gulu, Series Antepraeparatoria, vol. II, pars V, pag. 511];
      Praeter cetera id quoque ex Concilio Oecumenico speratur: S. Ioseph ingrediatur Canonem Missae, et quidem proximus a B. V. Maria.” [Arcivescovo di Portland nell'Oregon, che inserisce la proposta come post scriptum, in Series Antepraeparatoria, vol. II, pars VI, pag. 411].
      Dal canto suo, l'Arcivescovo di Santa Fé sembra addirittura considerarlo quasi un atto dovuto: “Cum Sancto Ioseph debitus honor non dari videatur, velim votum exprimere ut eius nomen in Missae Confessione necnon in Canone introducatur” [Ibid., pag. 442].
      Utrum bonum, dignum et iustum sit si nomen S. Joseph Canoni Missae addatur” [Vescovo tit. di Sbida, Series Antepraeparatoria, vol. II, pars VII, pag. 662].
[9]    Enixe rogamus Concilii Patres ut decernatur nomen S. Ioseph Mariae Virginis Sponsi in Canone sicut et in Litaniis Sanctorum ponatur statim post eiusdem B. Mariae nomen.” [Vescovo di Campagna, S.A., vol. II, pars III, pag. 163];
      S. Ioseph, Sponsi B.M.V., nomen in Canone Missae inseratur” [Vescovo di Cuneo, ibid., pag. 244]; “Ad « Communicantes » post nomen B. M. V. nomen castissimi Eius Sponsi inseratur” [Vescovo di Montalcino, ibid., pag. 406];
      Gaudium magnum erit christifidelibus, si Sancti Ioseph nomen Canoni Missae addatur.” [Vescovo di Johannesburg, S.A. Vol. II, pars V, pag. 541];
      Utrum non deceret pietati Orbis catholici, inserere in textu Canonis Missae nomen Sancti Ioseph, Sponsi B. V. M. qui, iuxta Sacrum Evangelium, « putabatur » Pater Redemptoris.” [Vescovo tit. di Bonusta, S.A. Vol. II, pars VI, pag. 148];
      Attento cultu particularissimo quo de facto hodie Ecclesia prosequitur Sanctum Ioseph, desideratur introductio nominis Sancti Patriarchae in Canonem Missae et in alios textus liturgicos” [Carmelitani Scalzi, S.A., vol. II, pars VIII, pag. 106: il Superiore è il futuro Card. Ballestrero];
      An venerabile nomen Sancti Ioseph, Sponsi B. M. V., in Canonem Missae recipere conveniat.” [Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù, ibid., pag. 228, che in principio nota che le proposte non esprimono necessariamente l'unanimità della Congregazione, “sed nobis visum est ea etiam afferre a quibus dissentire forte convenit, ut haec Pontificia Commissio plane fiat certior de iis quae reapse a multis viris religiosis cogitantur ac dicuntur”].
[10]  Considerari potest opportunitas inserendi nomen Sancti Ioseph, Patroni Ecclesiae Universalis, in formula confessionis « Confiteor » et in « Canone » S. Missae.” [Arcivescovo di Hyderabad, Series Antepraeparatoria, vol. II, pars IV, pagg. 134-5].
[11]  Particolarmente denso di motivi il votum del Vescovo di Nusco: “Enixior commendatio videtur proponenda specialissimi Cultus erga Sanctum Josephum, Ecdesiae Universalis, Familiarum atque Opificum Patroni praecipui: talis cultus enim videtur ita divinitus praeordiatus – etsi debita proportione - ne unquam seiungatur a cultu erga Christum Dominum et Mariam Immaculatam. Aliter: adsunt adhuc plerique Laici et plures Clerici et Nationes, qua tales, qui certe colunt S. Ioseph uti Patronum peculiarem opificum aut morientium, at minus Eum honorant uti primum Amicum Ss. Cordium Iesu et Mariae. (Nationibus forsan exemplum praebere poterit populus canadiensis, qui prae ceteris, a tribus saeculis - ut omnes norunt - in hac salutan devotione et simul serena prosperitate crevit).” [S.A., vol. II, pars III, pag. 461].
[12]  Insiste particolarmente in questo senso il Vescovo di Caiazzo, N.M. Di Girolamo: “ut nomen Sancti Ioseph, Sponsi B. Mariae Virginis, in Confiteor inque S. Missae Canone includatur, scilicet post B. Mariae V. ipsum nomen; 2. ut in Litaniis omnium Sanctorum et commendationis animae ordine nomen Ioseph nominibus Angelorum et aliorum omnium Sanctorum praeponatur; 3. ut Officium et Missa Desponsationis B. Mariae Virginis cum B. Ioseph ad totam Ecclesiam extendatur. Quae commendans vota, opinatur S. Ioseph, uti Sponsum B. Mariae V. et Patrem virginalem et matrimonialem Iesu, ad ipsum Unionis hypostaticae ordinem, quamvis extrinsece, pertinere; nam ut Suarez, vir doctissimus scribit, S. Ioseph « Unionem hypostaticam attingit ». Qua de causa ipsum considerandum esse putat atque in quendam ordinem conferendum, per se stantem, ideoque Superiorem quam Omnium Sanctorum ordinem, ipsius S. Ioannis Baptistae, qui merito Iesu praecursor, non pater sicut B. Ioseph dictus fuit. Si vero B. Maria V. qua summa est dignitate, a Summo Pontifice Leone XIII (in illa Epist. Enc. Quamquam pluries edita A. D. 1889 die 15 augusti) omnibus rebus creatis superior dicta est, tantidem haberi potest, iusta etiam convenientia, S. Ioseph eius sponsus, idest superior omnibus rebus creatis, ideoque iisdem Angelis, qui quidem creati ipsi fuere et « omnes administratorii Dei » appellati, non igitur Pater Iesu, uti B. Ioseph tantum est appellatus. Quare B. Ioseph summa dulia cultu dignum esse putat. Vero in eadem sententia videntur esse Summi Pontifices nostrorum temporum, quibus incliti Patriarchae cultus vel maxime crevit et omnibus ultra consentientibus apud universes christianos diffusus est. Nam Summus P. Pius IX, anno D. 1870, S. Ioseph universae Ecdesiae Patronum promulgavit. Summus P. Leo XIII in eadem Epistula Encyclica anno 1889 edita docuit: Cum Deus B. Ioseph sponsum esse B. Mariae V. constituisset, non modo ipsum esse comitem, sed etiam, ipsa coniugali fide, participem eius excelsae dignitatis voluit. Praeterea Summus P. Pius XI, in acclamationibus, quae fieri solent in Vaticana Basilica, voluit S. Ioseph nomen statim post B. Mariae V. immo ante ipsarum Angelicarum militiarum invocari, quarum S. Michael est dux.” [S.A., vol. II, pars III, pagg. 133-4]; “Officialiter agnoscatur locus qui in oeconomia Redemptionis S. Ioseph occupat et eius nomen in « Confiteor » ac in Canone Missae inseratur.” [Società dei Missionari di S. Giuseppe, S.A. Vol. II, pars VIII, pag. 234]
[13]           Ad petitionem sustentandam rationes sequentes afferuntur: 1. Sanctus Ioseph ratione officii sui dignitate et sanctitate inter omnes viros sanctos maxime eminet. 2. Iustitia et sanctitas superior Sancti Ioseph inter alia apparent ex hoe quod Verbo Incarnato Puero et Iuveni virtutis exemplar fuit. 3. Theologi communiter consentiunt Sancto Ioseph cultus protoduliae dari posse et debere; id est, cultum duliae qui cultum debitum Sanctis Apostolis et Sancto Ioanni Baptistae aliisque Sanctis superet. ” [Arcivescovo di Delhi, S.A., vol. II, pars IV, pag. 125, che addirittura nel proprio votum non tratta d'altro].
                “Primum, nostrae religiosae familiae percarum, ad cultum S. Ioseph publicum magis ampliandum fovendumque se refert, prout in Postulatione iam in Concilio Vaticano habita satis apparet. In qua cum secunda pars petitionis felicem exitum nacta fuerit, proclamatione S. Ioseph Patroni Ecclesiae Universalis a Pio IX f. r. gloriose facta, prima vero pars quae directe cultum liturgicum Protoduliae S. Ioseph tribuendum fovebat, oblivioni est tradita. Scimus tamen, plurimos religiosos viros ac doctos et hodie eandem sententiam quam duodequadraginta Patres Cardinales et plus quam ducenti Episcopi tenuerunt in praefata Concilio Vaticano habita Postulatione, adhuc firmiter retinere ut magis consonam, darissimi Ecclesiae Universalis Patroni sanctitati. Quapropter et humilis nostra religiosa familia haec eadem vota instanter voce depromit mea: scilicet ut S. Ioseph Protoduliae cultus a S. Congr. Rituum decernatur ac venerabile nomen S. Missae Canoni inseratur. ” [Pia Società Torinese di S. Giuseppe, S.A. Vol. II, pars VIII, pag. 232]
[14]  Cfr., suo quisque iam citato loco: Vescovo di Campagna (Mediazione universale, Regalità di Gesù e Maria, riferimento finale al trionfo del Cuore Inmacolato); Vescovo di Montalcino (Mediazione universale e regalità di Maria, regalità di Cristo e Corpo mistico [?]); Vescovo di Nusco (Maternità universale, per spianare la strada alla Corredenzione); Arcivescovo di Hyderabad (Mediazione di tutte le grazie: chiarimento ed estensione della festa a tutta la Chiesa); Vescovo di Gulu (Mediazione e Corredenzione); Arcivescovi di Portland nell'Oregon e di Santa Fé (Mediatrice di tutte le grazie); Agostiniani Recolletti (Mediazione universale); Società dei Missionari di S. Giuseppe (Maternità universale).
[15]  Qui dovrei forse aggiungere che gli auspici del legislatore non sono parte integrante della legge, come non lo sono né la occasio né, a rigore, la stessa ratio legis, che è un criterio interpretativo.
[16]  Non è certo il caso di entrare, qui, nel dibattito sul Concilio, che di recente si è riaperto; mi limito dunque ad osservare che questo mi sembra, ahimè, un ottimo esempio dell'approccio da cui ho ritenuto di dover prendere le distanze.
[17]  Cfr., rispettivamente: “motu proprio etiam decrevit Eius nomen, tanquam optatum mnemosynon et fructus ipsius Concilii, ut in Canone Missae recitaretur.”; “Sub eius patrocinio hoc Concilium Vaticanum II celebratur, et haec concessio ut optatum mnemosynon et fructus ipsius Concilii manebit.”.
[18]  Si trova attestato anche in lessici latini (ad es. Forcellini, ad voc.) sulla scorta di una possibile lettura di Catullo, 12,13 (m. sodalis mei), dove però l'ed. Della Corte preferisce la forma latinizzata mnemosynum, più vicina ai codici, riconducendo il vero e proprio prestito greco ad un intervento congetturale dell'edizione vicentina del 1481. Mnemosynon si trova poi usato, nel latino dell'età moderna, per scritti o medaglie commemorative. Poiché però, nel discorso del Cardinale il termine figura in corsivo, come un vocabolo straniero, sarei propenso a considerarlo greco a tutti gli effetti; non mi sento di escludere un influsso del luogo catulliano, trattandosi di un carme celebre (il furto del fazzoletto), ma semmai nel senso di una presa di distanza, che ha portato – appunto mediante il rimando al greco, quindi ai LXX - a dare consapevolmente al vocabolo un'accezione ben più alta, pertinente e confacente rispetto ad un colloquialismo riferito al “pensierino” di un amico.
[19]  Non ho controllato se e in che misura questa specifica proposta sia stata discussa nella fase preparatoria; di certo non compare nelle spiegazioni apposte alla bozza di Costituzione sulla Liturgia (le quali menzionano, invece, una recita almeno parzialmente ad alta voce del Canone), ma, considerato che essa doveva delineare soltanto gli altiora principia della riforma, evidentemente non poteva trovarvi ingresso una proposta così specifica. Questo però non impediva al Papa di ragionarvi sopra e farla propria.
[20]  Peraltro, il decreto, almeno se letto alla luce del discorso, sembra ancor più chiaro nell'istituire il nesso: patrocinio sulla Chiesa universale – protezione del Concilio – inclusione nel Canone.
[21]  Cfr. Martino P.P. V, bolla Inter cunctas, 22 febbraio 1418, art. 5.
[22]  Al riguardo, non posso offrire che conferme aneddotiche, avendo avviato un piccolo sondaggio informale tra i miei conoscenti meglio formati in ambito religioso: uno solo aveva già sentito il termine “protodulia”... e, sebbene egli faccia onore ai laici domenicani, trovo più significativo ai nostri fini che sia il vocabolo sia la tesi soggiacente giungessero, invece, completamente nuovi ai due Sacerdoti interpellati (nonché a tutti gli altri).
[23]  Giovanni Paolo P.P. II, Lettera Apostolica Redemptoris custos sulla figura e la missione di S. Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa, 15 agosto 1989, n. 6. Il rilievo svolto nel testo circa la protodulia può estendersi all'intero documento, che, salvo errore, è ancora il più recente dedicato ex professo alla figura di S. Giuseppe.
[24]  Locus proprius huius insertionis in Canonem erit ad « Communicantes » post nomen « Mariae »; nempe, verbis « ... in primis gloriosae semper Virginis Mariae, Genetricis Dei et Domini nostri Iesu Christi... »addendum erit « et beati Ioseph eiusdem Virginis Mariae sponsi », ac dein reliqua verba, « ... sed et beatorum Apostolorum », etc. Placuit Sanctitati Suae hoc dispositum in actum deducere sine mora, et iussit ut vigere illud incipiat a die 8 proximi mensis decembris, in festo Immaculatae Conceptionis Mariae. Interim vero fiant acta necessaria apud Sacram Congregationem Rituum, ut decretum ad hoc iuxta normas edatur.
[25]  Quapropter haec S. Rituum Congregatio, voluntatem Summi Pontificis prosecuta, decernit ut infra Actionem post verba: « Communicantes ... Domini nostri Iesu Christi », haec addantur: « sed et beati Ioseph eiusdem Virginis Sponsi » et deinde prosequatur : « et beatorum Apostolorum ac Martyrum tuorum ... ».
      Statuit etiam ipsa S. Congregatio ut huiusmodi praescriptum diebus quoque observetur in quibus peculiaris formula « Communicantes » in Missali praescribitur. Contrariis non obstantibus quibuscumque, etiam speciali mentione dignis.
[26]  Lettura che dev'essere sfuggita ai protestanti lieti della modifica, altrimenti credo che avrebbero reagito in ben altri modi. In ogni caso, non c'è da impensierirsi per una lettura errata; e se poi, per pura ipotesi, avesse mai reso più facile la conversione di qualcuno, tale errore sarebbe l'ennesima riprova di come lo Spirito Santo scriva dritto su righe storte.
[27]  Ovviamente, la prova provata sarebbe il Messale personale di Giovanni XXIII, se per caso si potesse esaminarlo e recasse traccia di quale delle due formule egli abbia usato, negli ultimi mesi di vita, per fare menzione di S. Giuseppe. Tuttavia, come Legislatore supremo, di fatto egli si è espresso in termini legalmente obbligatori solo tramite la S.R.C., sia il decreto sia il Card. Cicognani attestano che tale era la sua intenzione e non sono poi seguite correzioni ufficiali; tanto può bastare a risolvere l'interrogativo “Quid iuris?”. Il resto spetta a biografi e storici.

5 commenti:

  1. Un altro dei cambiamenti senza senso operato nei ruggenti anni '60! Doveva essere proprio insopportabile il prurito di cambiare, modificare, rinnovare qualunque cosa, senza lasciar stare niente. Improvvisamente, ciò che andava bene da duemila anni si è ritenuto inadatto, sopprimibile, modificabile a seconda di dove tirava il vento in quegli anni. Guasti senza logica che hanno iniziato ad instillare nei fedeli quell'idea di "religione fai da te" che oggi appare in tutto il suo fosco splendore.

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  2. In realtà quello di un'assenza di s. Giuseppe nell'edizione tipica vaticana del 1962 è un falso problema. Infatti l'edizione tipica vaticana del messale, benché recante il decreto di approvazione datato 23 giugno 1962, non uscì se non alla fine di quell'anno, con la menzione di s. Giuseppe già inserita nel testo. Quindi non esiste nei fatti un'edizione tipica del 1962 che non riporti il nome di s. Giuseppe nel canone. Ne sono prive soltanto le prime editiones iuxta typicam pubblicate sollertemente dagli editori autorizzati già pochi mesi dopo la promulgazione del Motu proprio "Rubricarum instructum" del 25 luglio 1960 (in genere nel primo semestre del 1961).

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  3. Personalmente ritengo che S. Giuseppe abbia accettato da Dio di svolgere un Compito che pochi uomini nella storia sarebbero stati capaci di sostenere. Resta la domanda sul perché non sia stato inserito sin dall'inizio, scoprire tali motivazioni aiuterebbe a formulare bene i pro ma soprattutto i contro. Vista la provata umiltà di S. Giuseppe non ritengo che per lui cambi qualcosa. Certo gli dispiace che noi fratelli di quel Cristo che accolse, protesse e crebbe come figlio suo in un epoca dove un tale atto era impensabile e causa di disonore sicuro, litighiamo per causa sua.
    Io non avrei modificato il canone solo per il fatto che S. Pio V lo aveva espressamente proibito con un preciso anatema. Al più avrei dato lustro maggiore nel breviario o elevato a maggiore importanza la S.Messa del 19 marzo. Comunque alea iacta est e rispetto alla riforma successiva tutto ciò impallidisce...

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  4. Maria Santissima, gelosa ? Che idiozia ! Chi, più di Lei, ha amato e ama soprannaturalmente lo Sposo messole accanto dallo Spirito Santo ?
    Un giorno santa Bernadette fu trovata dalla madre superiora a pregare davanti a un'immagine di San Giuseppe, e richiamata perché le era stato detto di chiedere una certa grazia alla Vergine; lei rispose: " In Cielo non ci sono di codeste gelosie".
    A prescindere dalle dotte e sottili distinzioni, la mia versione personale è :"Ave... Sancta Maria Mater Dei et sancte Joseph, orate pro nobis peccatoribus..." . Mi scomunicheranno ?

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  5. Bellissimo articolo, grazie. Che San Giuseppe protegga tutte le famiglie soprattutto che interceda affinché venga abolita la legge 119/2017 che obbliga ad usare vaccini con dentro veleni, feti abortito e DNA di scimmia. Salvini aveva promesso di fare qualcosa e non lo ha fatto, intanto molte famiglie vivono l' ansia di avere i figli buttati fuori da scuola e nessuno dice nulla tra preti, vescovi , cardinali e il Papa. Questa storia sta dando molta differenza e i religiosi tacciono.

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