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venerdì 7 agosto 2020

Porfiri: il canto gregoriano e il Graduale simplex

U'altra interessante riflessione del maestro Aurelio Porfini in tema di musica sacra.
Luigi


22 Luglio 2020 Pubblicato da Marco Tosatti

[...]

Continuando nella lettura del sesto capitolo della Sacrosanctum Concilium, laddove si parla più specificamente del canto gregoriano, si trova al punto 117 questo passaggio: “Si conduca a termine l’edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un’edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole”.
Come abbiamo visto in precedenza, specialmente a Solesmes, ma non solo, era cominciato un cammino di studio profondo ed articolato del repertorio gregoriano, un cammino che non solo si riproponeva un lavoro di ricostruzione melodica basandosi sui manoscritti migliori disponibili, ma anche una proposta interpretativa, proposta che non sarà, come è nell’ordine di queste cose, univoca, pur se tra gli studiosi ci sarà un consenso ampio e basato su dati importanti sull’avanzamento degli studi semiologici grazie all’operato del benedettino Eugène Cardine, di cui abbiamo già parlato. L’approfondimento di questi studi, unito con la comprensione maggiore dell’evoluzione modale del repertorio grazie al lavoro dell’altro grande studioso benedettino dei tempi recenti, Jean Claire, ha posto le premesse per “edizioni più critiche” dei libri di canto gregoriano. E in effetti in tempi recenti abbiamo avuto nel 1974 la nuova edizione del Graduale Romanum, che contiene i canti per la Messa, e di queste nuove edizioni parla un noto gregorianista come Johannes Berchmans Göschl di scuola solesmense, che in un testo dal nome di Cento anni di Graduale Romanum (reperibile in gregoriano-virigalilei.it) così commenta: “La crisi nella quale il canto gregoriano venne a trovarsi in seguito alla riforma liturgica non condusse però al suo naufragio, bensì rese possibile la fortuna di un nuovo inizio, sotto il segno della semiologia. In effetti la semiologia ha vissuto il suo slancio più grande proprio negli anni immediatamente dopo il Concilio e negli anni 70. Prove di tale nuovo inizio consistono in un grande numero di pubblicazioni scientifiche su questioni semiologiche, avanti a tutte la Semiologia Gregoriana (1968) di dom Eugène Cardine, il cui originale italiano è stato tradotto negli anni successivi in numerose lingue; come pure la pubblicazione di importanti libri di canto: il Graduel neumé (1966), il Graduale Simplex (1967/1975), il Graduale Romanum (1974), che tiene conto della riforma dell’anno liturgico e del rinnovato ordine delle Letture, il Graduale Triplex (1979) e l’Offertoriale Triplex (1978/1985)“. E in effetti, come afferma il noto studioso, questi saranno momenti importanti nel cammino di ricostruzione di un canto gregoriano più “autentico” (se prendiamo con cautela questo termine, secondo quanto esposto in precedenza) ma che si è scontrato con un venir meno della pratica gregoriana nelle chiese. Quindi, più si approfondivano gli studi e si comprendeva certi aspetti della monodia liturgica, ma meno essa si praticava, con il rischio che si riducesse questo venerabile repertorio a campo per dispute fra sparuti e disp(e)arati esperti.

Un caso interessante è quello del Graduale Simplex del 1967, già citato in precedenza e che contiene melodie sempre dal canto gregoriano ma più semplici (in usum minorum ecclesiarum) e con la possibilità di scelta di brani comuni per tempi liturgici più che per le singole domeniche. Come detto, questo libro era inteso dome aiuto per le chiese con meno mezzi musicali, ma per una interessante eterogenesi dei fini, come mi fu anche detto da un Maestro delle Celebrazioni Pontificie, in realtà il posto in cui fu maggiormente usato fu proprio nelle celebrazioni più solenni, quelle con alla presenza del Santo Padre nella Basilica di San Pietro. Ci fu un tempo in cui in cui la Cappella Sistina eseguiva composizioni dell’allora Maestro Domenico Bartolucci i cui testi erano spesso e volentieri tratti proprio dal Graduale Simplex. Questo, con l’intento di coinvolgere di più nel canto l’assemblea, nel caso delle celebrazioni pontificie anche aiutata da un coro guida.

Recentemente il professor Giacomo Baroffio ha posto ancora il problema di questo repertorio che se da una parte certamente poteva svolgere una funzione di ausilio, dall’altra rappresenta un oggettivo impoverimento dell’idea che sta dietro al canto gregoriano, cioè quella che ogni celebrazione, ogni momento liturgico, ha il suo canto e testo proprio, connotato anche stilisticamente a seconda del momento della celebrazione liturgica in cui viene eseguito. Certo, questo è un problema importante che va poi anche considerato sotto un’altra prospettiva? Quanto ha il Graduale Simplex veramente contribuito a fare in modo che il canto gregoriano giocasse un ruolo ancora importante nella liturgia? Questo, penso, è sotto gli occhi di tutti, malgrado le migliori intenzioni degli estensori.

Aurelio Porfiri

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