Sabato 8 agosto scorso è morto Mons. Pedro Casaldáliga, vescovo brasiliano alfiere della Teologia della Liberazione e comunista (QUI): a fianco e in fondo foto vestito da guerrigliero: "Al culmine della serata, l’avvocato Idibal Piveta presentò una divisa militare da guerrigliero a mons. Pedro Casaldáliga, vescovo di São Félix do Araguaia, Brasile. Indossandola, il prelato entrò in una sorta di “estasi”, dichiarando: “Vorrei ringraziare questo sacramento di liberazione che ricevo con i fatti e, se ce ne fosse bisogno, anche col sangue! Vestito da guerrigliero io mi sento come parato da sacerdote. La guerriglia e la Messa sono la stessa celebrazione che ci spinge verso la stessa speranza. Dobbiamo testimoniare il nostro impegno fino alla morte!”".
QUI lo ricorda Vatican Insider in un articolo indegno persino di essere letto, per la piaggeria verso la new wave ecclesiale che ora impera.
Gli amici della TFP italiana, che ringraziamo, ci hanno inviato un articolo sulla sua vita e sulle sue pessime idee, che pubblichiamo sotto.
Oremus pro eo ma combattiamo l'ideologia che ha pervaso tutta la sua vita e i suoi epigoni che abitano dalle parti di S. Marta.
Luigi
La teologia della liberazione perde un suo araldo
Samuele Maniscalco
È deceduto in Brasile, agli inizi di agosto, il religioso claretiano e poeta spagnolo Pedro Casaldáliga, vescovo emerito della diocesi amazzonica di Sao Félix de Araguaia e uno dei più attivi esponenti della Teologia della Liberazione. A causa della sua avanzata età, non era venuto al recente Sinodo sull’Amazzonia, ma i documenti sinodali e persino l’esortazione apostolica Querida Amazonia avevano voluto ricordarlo in omaggio al ruolo da protagonista occupato nelle decadi precedenti.
Pochi ormai ricordano alcuni gesti spettacolari del prelato catalano come, per esempio, quello del 28 febbraio 1980, quando nell’ambito di una “Serata Sandinista” nella Pontificia Università Cattolica di San Paolo, il capo guerrigliero del Nicaragua Daniel Ortega, che aveva dappoco preso il potere, accompagnato dal suo cappellano e teologo liberazionista Uriel Molina e altri esponenti del nuovo regime sandinista, diedero in omaggio a mons. Casaldáliga una divisa da guerrigliero. In un clima di rovente entusiasmo ed esplicito incitamento a ripetere in altri Paesi della regione la sanguinosa guerra civile nicaraguense, il prelato, preso da una sorta di trance mistico, indossò la giacca militare e rispose con queste parole:
“Vorrei ringraziare questo sacramento di liberazione che ricevo con i fatti e, se ce ne fosse bisogno, anche col sangue! Vestito da guerrigliero io mi sento come parato da sacerdote. La guerriglia e la Messa sono la stessa celebrazione che ci spinge verso la stessa speranza. Dobbiamo testimoniare il nostro impegno fino alla morte!”1.
A causa di questo e altri episodi simili, come le invasioni di terre agricole, le autorità brasiliane dell’epoca pensarono di espellerlo dal Paese in quanto, sebbene ordinario di una diocesi amazzonica, era pur sempre un cittadino straniero che stimolava la sovversione violenta. Ma l’ineffabile presule catalano trovava sempre sostenitori di peso come il Cardinale di San Paolo Paulo E. Arns che nel 1976 dichiarò: “Ho sentito dallo stesso Paolo VI che toccare mons. Pedro Casaldáliga è come toccare il Papa”2.
Durante il convegno internazionale “Amazzonia: la posta in gioco”, organizzato dall’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira a Roma, presso l’Hotel Quirinale, il 5 ottobre 2019, lo studioso James Bascom della TFP nordamericana, in un intervento dal titolo Il Verde è il nuovo Rosso ha affermato:
“L’indio primitivo pre-cristiano delle Americhe funge da modello per il socialismo e per l’ecologia. Fu in America Latina, e in particolare in Brasile, negli anni ‘70, che la sinistra cattolica adottò e attuò tali idee. (…) In risposta a questa rivoluzione, nel 1977, Plinio Corrêa de Oliveira scrisse «Tribalismo indigeno: ideale comunista-missionario per il Brasile del XXI secolo». Lì, il professor Plinio Corrêa de Oliveira mostrò come i missionari della sinistra cattolica in Brasile vedevano nello stile di vita, nella morale e nella religione degli indios brasiliani l’espressione, nel suo più alto grado, dei principi del socialismo e dell’ecologia. Gli indios primitivi vivono senza capitalismo, proprietà privata, fede o morale cristiana, in armonia con la terra. In altre parole, vivono l’utopia socialista ed ecologica. Pertanto, per salvare la Terra e sé stessi dalla distruzione, gli occidentali devono distruggere le loro istituzioni economiche, politiche e sociali e imitare la vita tribale degli indios amazzonici.
“Il vescovo Pedro Casaldáliga, una delle figure di spicco del tribalismo indigeno in Brasile negli anni Settanta, descrive sé stesso e il movimento come “transcomunista”, cioè basato sugli stessi principi del comunismo, ma portati alle più radicali conseguenze, ovvero alla perfetta realizzazione del comunismo. Allo stesso modo, il tribalismo indigeno ecologico che il Sinodo Panamazzonico intende sposare non è altro che il vecchio progetto comunista metamorfizzato. Il comunismo non è morto, ma vive sotto forma di ecologia. Il verde è il nuovo rosso. L’ecologia è la perfetta realizzazione del sogno egualitario di Karl Marx e la totale sovversione dell’ordine gerarchico che Dio ha stabilito nell’universo. Sarebbe impossibile concepire un maggiore rifiuto di questo ordine”3.
Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso le sortite a dire poco azzardate di mons. Casaldáliga si moltiplicarono. In un articolo dal titolo "Comincia la raffica" (Folha de S. Paulo, 20-7-1981; ripreso in Italia su Cristianità 9, N. 80 – dicembre 1981), Plinio Corrêa de Oliveira scriveva:
“(...) si sta facendo sentire una raffica di dichiarazioni riformistiche di fonte episcopale. Si è messo alla testa, parlando nel Rio Grande do Sul, mons. Pedro Casaldáliga, vescovo di Sao Félix do Araguaia. Ha cominciato con una aspra censura alla stessa Chiesa: se questa, «nei suoi venti secoli, avesse seguito il programma delle beatitudini, avremmo una società socializzata [...]. L’ideale cristiano equivale all’ideale del socialismo». Poco più avanti, il prelato è stato ancora più chiaro quanto alle sue propensioni e simpatie: «Non canonizzo il socialismo sovietico o cubano, ma esistono aspetti positivi: Cuba ha dato lezioni di sanità e di educazione a tutto il suo popolo [...]. Il socialismo del Nicaragua è una buona strada». E infine, dopo avere contestato che il socialismo sia causa della insufficienza dei raccolti in Russia, il disinibito prelato afferma: «Nei paesi socialisti il popolo vive meglio e la fame è minore là di quanto non sia nei paesi capitalisti» (Jornal do Brasil, 17-6-1981). Il che è propriamente enorme”.
Più enorme sembra ancora un altro fatto. Mons. Casaldáliga è deceduto all’avanzata età di 92 anni, in tempo per vedere la smentita clamorosa della sua affermazione che “nei paesi socialisti il popolo vive meglio” ma anche in tempo per vedere molte delle sue utopie social-tribaliste, simboleggiate nella figura della Pachamama, proposte come modelli di “buon vivere” (Querida Amazonia 8, 26, 71) in confronto ai presunti o reali disagi che affliggono la civiltà occidentale, per decadi oggetto di un continuo vilipendio da parte del presule catalano. Mons. Casaldáliga ha fatto tutto il percorso dal vetero-marxismo socio-economico al neo-marxismo culturale e verde, esattamente come gli altri principali esponenti della Teologia della Liberazione.
1. Catolicismo, luglio-agosto 1980
2. O São Paulo, 6-01-76