Finalmente qualche vescovo che parla abbastanza chiaro.
Bravo il Vescovo di Ascoli Piceno, Mons. Giovanni D'Ercole.
Luigi
di Federico Cenci, Quotidiano del Sud, 25-8-20
Era il 27 aprile scorso. Per avviare la
tanto agognata fase 2, il governo aveva appena allentato con molta cautela le
restrizioni in vigore durante il lockdown. Tra le attività cui veniva dato il
via libera, mancavano le celebrazioni religiose. Ne seguì una reazione dura di
mons. Giovanni D’Ercole, abruzzese, vescovo di Ascoli Piceno, che in un video
reclamava il diritto di tornare al culto. «Ce lo
chiede la gente. Ci sono turbe psicologiche e noi dobbiamo aiutare i fedeli».
Pochi giorni e il governo accolse le richieste dei vescovi. Ma tre mesi dopo il
ritorno delle Messe con i fedeli, si denota una scarsa partecipazione.
Eccellenza, come lo spiega?
È normale. Dopo che per quasi tre mesi le
chiese sono rimaste chiuse e dopo che è stata instillata la paura del contatto
sociale, la gente si sente scoraggiata a tornare a Messa, almeno che non abbia
una fede molto stabile.
Come si attirano le persone alla Messa?
Non si tratta di doverle attirare, la
Chiesa non è un negozio. È un processo lento, bisogna far riscoprire nei
cristiani la necessità di sentirsi comunità. Perché nel momento in cui ci si
sente comunità, si avverte anche il bisogno di partecipare alla celebrazione
fondante la comunità, che è l’Eucarestia. Durante il lockdown hanno fatto
passare il messaggio che si potesse pregare dappertutto - anche nel bagno, è
stato detto -. In effetti dovunque si può pregare, ma la celebrazione
dell’Eucarestia non è come dire una preghiera, è qualcosa di essenziale. Senza
Messa è come voler vivere senza nutrirsi. E forse questa verità si è un po’
smarrita e va fatta riscoprire.
Si è un po’ smarrita anche per la tendenza,
durante il lockdown, a sopperire con le Messe in tv o in streaming?
La questione è duplice: ha un valore e un limite. Il valore è che gli anziani
impossibilitati a recarsi in chiesa e gli ammalati negli ospedali possono avere
nella tv o nello streaming un importante supporto. Ricordo, a tal proposito,
che andiamo sempre più verso l’invecchiamento della popolazione e la solitudine
delle persone. Il limite è credere che assistere da uno schermo sia come
partecipare fisicamente, ma se si ha una formazione cristiana seria non si
hanno difficoltà a comprendere la differenza.
L’obbligo di mascherina, il
contingentamento numerico, la sostituzione dell’acqua santa con il gel
disinfettante agli ingressi delle chiese: questi aspetti potrebbero aver fatto
smarrire il senso del sacro nei fedeli?
Certo. Il problema è che è stata posta
grande attenzione nei confronti delle chiese, tanto da aver inculcato nei
fedeli una paura particolare: se si vede qualcuno senza mascherina, i fedeli
sono i primi a gridare allo scandalo. Da un lato è positivo, perché si è creata
responsabilizzazione. Però quando la paura domina, non si riesce ad essere
equilibrati.
Il numero dei contagi continua a salire, la
paura è forse giustificata?
Non parliamo di cifre astronomiche e gli
ospedali sono vuoti. Va detto, inoltre, che i positivi asintomatici non sono
malati. Bisogna dunque ragionare e ponderare le preoccupazioni. L’ipotesi di un
lockdown è assurda, chiudere di nuovo l’Italia sarebbe devastante.
Cosa fare allora?
Nella fase 1 la parola d’ordine era
“distanziamento”, oggi deve essere “convivere”. È fondamentale imparare a
convivere con il virus, rispettando le norme ma riprendendo la vita sociale.
E in chiesa? Lei allenterebbe alcune
restrizioni?
Inizierei con il togliere il limite massimo di
partecipanti alle celebrazioni. Mi auguro che si usi il buonsenso per un
graduale ritorno alla normalità.