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venerdì 28 agosto 2020

La "buona morte cristiana" e le Confraternite

Riceviamo da uno studioso delle Confraternite italiane questo pregevole studio storico che pubblichiamo ringraziando l'Autore. 
AC  





La “Buona morte” cristiana e le Confraternite…  

Nel 1538, venne costituita in Roma la confraternita di Morte ed Orazione con lo scopo “di seppellire quei morti che, per la loro povertà o per essere deceduti lontani dalla loro dimora, restano senza sepoltura o sono tumulati in luogo non sacro”. 
Al tempo in cui fu fondata questa Confraternita, non esisteva ancora nessun servizio pubblico che provvedesse alla sepoltura dei cadaveri; il triste compito era assolto in genere da qualche sodalizio o dai familiari del defunto. 
Per coloro che non appartenevano ad alcuna organizzazione e per le famiglie a cui la miseria non permetteva il trasporto della salma, provvedeva la carità popolare senza
strutturazioni; qualche volonteroso raccoglieva le offerte dai passanti e, raggiunta una somma sufficiente, incaricava due facchini di portare al cimitero il cadavere, steso su di una tavola e nulla più, per procedere alla sepoltura.
Lo spirito di sacrificio dei confratelli, fortificato dalla fede e sostenuto dal mandato ecclesiale conferito, non conosceva limiti: il recupero delle salme avveniva in qualunque stagione, di giorno, di notte, col caldo, col gelo. 
E’ facile immaginare quanta abnegazione fosse necessaria per trasportare sulle spalle, per diversi chilometri, un cadavere dell’Agro Romano. 
Nel 1598, ad es., dopo la grande inondazione del Tevere, i confratelli andarono fino ad Ostia a ricercare i corpi trascinati dalla corrente. 
Nel 1552 Papa Giulio III approvò la Confraternita di cui trattiamo, le concesse numerose indulgenze e le impose il titolo “dell’Orazione“ in aggiunta a quello “della Morte", perché oltre a seppellire i cadaveri, vi era già l’uso di pregare per la loro anima (i confratelli, una volta al mese, partecipavano alle Quarant’Ore e diedero impulso alla devozione dei 100 requiem, di solito praticata ogni lunedì). Pio IV, nel 1560, nel confermare il sodalizio, lo eresse ad Arciconfraternita ossia a casa-madre con facoltà di aggregarne altre simili nel mondo. 
Poiché le opere di misericordia spirituale non vanno disgiunte da quelle di misericordia corporale, in base a questi fondamenti etici, questa Arciconfraternita romana fu innovativa per alcune realizzazioni di cui è sua la paternità: ad es., mantenimento, con propri fondi, di cattedre alla Facoltà di Medicina all’Università di Roma. 
Ovvio che - oltre a seppellire i defunti verso i quali occorreva intervenire - i Confratelli partecipavano e tutt’ora partecipano alle esequie dei propri iscritti. In alcuni casi le sepolture avvenivano nelle proprie chiese (famosi gli ipogei di Roma, e Napoli ma anche quelli di Urbania PU e Masone GE), attualmente ciò si fa ancora in alcuni cimiteri di diretta gestione e proprietà confraternale, ad es. in Toscana, Campania e Puglia ma era abbastanza comune farlo anche altrove, fino all’avvio delle leggi in materia cimiteriale. 
Queste nostre associazioni portano come abito confraternale una veste di colore nero in quanto colore simbolico della terra (scura perché fertile), da cui ha principio la vita, che, con la morte, alla terra ritorna. 
Per questi motivi un simile colore è adottato dalle Confraternite della Buona Morte ("buona" nel senso cristiano del termine, sia innanzitutto dal punto di vista di una adeguata preparazione ed assistenza spirituale, che da quello del provvedere ai servizi necessari ai diversi atti e situazioni che accompagnano quest'ultimo momento della vita, compreso il sostegno ai superstiti in difficoltà). 
Il nero viene inteso come indicatore di lutto, ma non è questo il suo significato originario o comunque principale. 
Lo si può vedere come un colore cupo, ma cupo in quanto colore che può far riflettere sull'abbandono di segni più vivaci, quindi colore che fa riflettere sul lasciarsi alle spalle le cose del mondo e ciò che recano con sé (ma questo vale più per i vivi intenti a ravvedersi, che per i morti). In ogni caso, nel nostro settore, è un colore che non va visto in senso negativo (nero dell'oscurità, del baratro, ecc., che sono concetti assolutamente non cristiani ed aggiunti in seguito sulla base di “sensibilità laiche“ assolutamente non pertinenti col nostro argomento) ma solo come "morire al mondo" per risorgere con Cristo. 
Va intesa in questo senso ed in questa prospettiva di speranza, l'azione confortatrice operata per lungo tempo dalle Confraternite che si occupano di morte in senso lato e dei servizi inerenti. Sono passati almeno 8 secoli dall’inizio del movimento confraternale il quale ha ancora molto da dire perché il mondo ha tuttora e sempre bisogno di fraternità cristiana ovvero connotata non solo da compassionevole spirito umanitario ma pure ed in maniera qualificante da carità cristiana. 
Non va dimenticato che è col Cristianesimo che si definisce il concetto di persona cioè, come ricorda San Paolo apostolo, di tutto ciò che forma l’individuo: corpo materiale, anima vale a dire principio di vita dato da Dio, spirito ossia qualità immateriali ma qualificanti della persona. 
Di conseguenza, nella coscienza cristiana si sviluppa il senso dell’importanza di tradurre in pratica l’amore di Dio che si esterna nell’amore per l’altro, attraverso opere coerenti ed adeguate che non toccano singoli aspetti slegati tra loro. 
In sostanza, lo sviluppo integrale della persona, recentemente rivalutato da Papa Francesco nell’istituire il dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, era una preoccupazione che i nostri predecessori avevano già ben presente, in adempimento alla raccomandazione di San Paolo sopra ricordata che richiamava l’importanza di considerare tuto ciò che compone la persona. 
Una delle caratteristiche, ed anche un punto di forza, di questo nostro tipo di associazioni è di riuscire ad essere presente ed operante con efficacia perché i suoi iscritti fanno parte della comunità locale: vivendoci sanno a cosa bisogna provvedere, cercano quindi con lo stile confraternale di dare una risposta cristiana ad una necessità o di compiere un servizio (se ci si riuscì molto bene in passato, perché non si dovrebbe riuscire a fare altrettanto o di meglio adesso, con tutti i mezzi di cui si può disporre?). 
È solo il caso di ricordare quanto si può fare attualmente ed in particolare dopo le recentissime disposizioni pontificie sul ruolo del laicato organizzato, per i funerali cristiani (procedura che già avviene in Francia, ad esempio), il sostegno e l’assistenza al moribondo ed alla famiglia, il post-lutto specie per gli indigenti, gli emarginati, soli, inabili a vario titolo, e per i servizi sanitari e socio-assistenziali. 
Non manca neppure il lavoro se si considera quanti decessi avvengono di persone sole, abbandonate, anonime, senza dimora, ecc. per le quali è già tanto se esiste la possibilità di una sepoltura a spese del Municipio. 
Non vanno tantomeno dimenticate le interruzioni di gravidanza dove spesso il feto viene smaltito e non sepolto… 
Non va infine neppure sottintesa la gestione cimiteriale (legalmente possibile) per garantire una sepoltura decorosa ed evitare aberranti forme di eliminazione del corpo considerato solo come un “contenitore” vuoto ed inutile… 
Già prima dell’Illuminismo alcune realtà finirono per autocompiacersi della propria esperienza pregressa, si assistette così alla sostituzione delle procedure relative ad alcuni concetti: per “buona morte” si finì solo per intendere ciò che poteva in qualche modo alleviare le sofferenze interiori del moribondo, senza più “sporcarsi le mani” nella gestione diretta del lutto, limitandosi solo a “confortare” a parole… 
Cosicché esse vennero progressivamente messe in condizione di esprimersi soltanto nei limiti delle Parrocchie come enti a prevalente scopo devozionale, od in paese come società di assistenza però distanti dal popolo. 
Perciò, pur registrandosi un numero elevato di Confraternite, non si svilupparono più, per secoli, rapporti di reciproco contatto organico ma ciascuna di esse continuava a vivere concentrata sulla particolare forma di devozione o sul servizio alla propria comunità senza “fare rete” come era invece tra i motivi ispiratori della procedura delle affiliazioni alla rispettiva casa-madre. 
Tutto ciò fa emergere o riemergere in concreto la necessità di affermare e difendere la propria missione istituzionale (e la relativa organizzazione “sul campo”) e riceverne sostegno per la propria esistenza (aspetto tanto più importante se si tratta di essere aiutati anche per il proprio avanzamento spirituale). 
GPV