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giovedì 6 agosto 2020

6 agosto 1875, moriva assassinato Garcia Moreno, il politico santo: "Dios no muere"

Gabriel García Moreno (Guayaquil, 24 dicembre 1821 – Quito, 6 agosto 1875) (vedere QUI, QUI, QUI, QUI, ) è stato un politico e statista ecuadoriano, eletto due volte presidente dell'Ecuador (1859-1865 e 1869-1875). Fu assassinato il 6 agosto 1875, durante il suo secondo mandato, per mano dei sicari della Massoneria. Crivellato di colpi, al loro grido: «Muori, carnefice della libertà!», egli ebbe ancora la forza di rispondere: «Dios no muere!» (Dio non muore!)
Preghiamolo per i nostri politici.
Sotto la sua vita, di Rino Cammilleri, tratto da Santi e Beati.
Luigi

Il 30 gennaio 1985, in occasione della visita in Ecuador, Giovanni Paolo II ha rinnovato l’atto di consacrazione dell’Ecuador al Sacro Cuore di Gesù, ripetendo letteralmente quello pronunciato il 25 marzo 1874 dall’allora Presidente della repubblica Ecuadoriana, don Gabriel Garcia Moreno.
Noi, abituati a ben altri atti politici, difficilmente riusciamo ad immaginare un Presidente intento in enunciazioni di principio siffatte e una Costituzione Repubblicana che preamboli riferendosi direttamente al Re dei Re. Eppure è accaduto, e in tempi non certo meno difficili, giusto all’indomani della breccia di Porta Pia, in quel Sudamerica ove i circoli massonici provocavano rivoluzioni e colpi di mano militari quasi a getto continuo.
L’intuizione di fondo di Garcia Moreno fu che l’unità e l’identità del suo popolo riposavano sul cattolicesimo e non su pezzi di carta più o meno solenni. Egli riuscì in pochi anni a pacificare e a far prosperare il suo Paese, applicando semplicemente i principi della Dottrina Sociale Cattolica. E il successo del suo progetto è testimoniato proprio dal tragico epilogo della sua vicenda: i propugnatori della laicizzazione totale dello Stato non ebbero altra risorsa – dopo aver tentato tutte le vie; non escluse l’insurrezione armata e la propaganda diffamatoria – che quella del pugnale. Garcia Moreno venne infatti assassinato mentre usciva dalla cattedrale il 6 agosto 1875, il giorno prima del suo mandato presidenziale.
Prima di tracciare la figura e l’opera di questo politico cattolico (che riuscì persino a diminuire le tasse), vediamo qual era la situazione del Sudamerica a quel tempo.

Il continente delle rivoluzioni
Chi ha visto il film "Mission" può farsi un’idea di quel che fosse il Sudamerica prima di Bolivar. La tratta degli schiavi, propugnata da illuministi come Voltaire e il marchese di Pombal, l’espulsione dei Gesuiti, lo sfruttamento sistematico e congiunto sia da parte di sovrani "illuminati", come quelli di Francia e Inghilterra, sia dai "cattlicissimi" di Spagna e Portogallo, avevano fatto di quello sventurato continente terra di saccheggio e di massacro.
L’indipendenza – ottenuta come quella italiana – non fu altro che cambiar padrone e passare dal servaggio all’aristocrazia "illuminata" e cicisbea a quella più odiosa del denaro. C’è un altro film a questo proposito che meriterebbe esser rivisto: "Queimada", di Gillo Pontecorvo. L’"anima" delle varie "indipendenze" era, come al solito, l’Inghilterra, che con la sovversione e le dottrine economiche di Ricardo andava convincendo i popoli della terra dei vantaggi della sua supremazia.
Il "libertador" Simon Bolivar aveva quasi immediatamente visto la sua opera degenerare in un inferno continuo di "liberazioni", l’una dietro l’altra, dal tiranno di turno. Nel 1822 sulle mura di Quito si leggeva una frase tracciata da mano anonima, che riassumeva la situazione: "Ultimo dìa del despotismo, y el primero del lo mismo". Gli ecuadoregni avevano perfettamente capito, pur senza aver letto il "Gattopardo".
Bolivar doveva vedere coi suoi occhi lo sfacelo di quel aveva creato e i suoi generali – come quelli di Alessandro Magno – dividersene gli avanzi.

Il giovane Garcia Moreno
L’uomo che stacca l’Ecuador dalla grande repubblica di Simon Bolivar assumendone la dittatura è il generale Florés.
Immediatamente, in omaggio ai principi liberali, lo Stato viene totalmente secolarizzato coi soliti sistemi: abolizione delle cattedre di diritto naturale e canonico, espropriazione dei beni ecclesiastici, chiusura dei conventi, controllo statale sulla nomina dei vescovi, eccetera.
E’ in questo clima in cui muove i suoi primi passi Garcia Moreno.
Nato nel 1821 da un gentiluomo della vecchia Castiglia emigrato in America a cercar fortuna, Gabriel dimostra precoce attitudine per gli studi di ogni tipo. Provvisto di una intelligenza di tipo eclettico, si interessa di tutto, mostrando particolare predilezione per le scienze matematiche e naturali. L’educazione religiosa di stampo tradizionale che gli viene impartita in famiglia ne tempra il carattere, dandogli quella risolutezza di determinazioni che sarà la caratteristica principale della sua personalità.
Come spesso accade ai forti temperamenti che optano per un cattolicesimo autentico in tempi di scristianizzazione, anche il giovane Garcia Moreno subisce per un certo periodo l’attrattiva della vita sacerdotale. Ma dopo qualche anno comprende che non è questa la sua vocazione e, dovendo guadagnarsi di che vivere, si avvia agli studi giurisprudenziali. Conseguita la laurea, comincia ad esercitare la professione di avvocato e si sposa, ma non abbandona la naturale curiosità per le scienze, che lo porta a pericolose spedizioni all’interno del vulcano Pichincha, a quel tempo attivo.
L’attività di avvocato non gli risulta molto redditizia, in quanto don Gabriel rifiuta di assumere il patrocinio di clienti della cui innocenza non sia assolutamente sicuro. Né, del resto, ha molto tempo da dedicare alla professione, data la sua fiera opposizione al regime. Nel 1845 si trova a prender parte a un’insurrezione armata contro il dispotico governo di Florés. Il colpo di mano riesce, costringendo Florés all’esilio. Tuttavia il successore, Roca, apre subito un periodo di malgoverno anche peggiore del precedente. Contro di lui Garcia prende la penna e fonda un foglio satirico antigovernativo, "La frusta".
In breve tempo attorno al giornale si stringe tutta l’opposizione del paese, cosa che costringe Roca a scendere a patti. A ciò si aggiunge anche la notizia che il deposto dittatore sta tramando in Europa per tornare in Ecuador "manu militari" con l’appoggio straniero. Garcia Moreno accetta la tregua proposta da Roca e parte, provvisto di un incarico diplomatico, per un giro nei paesi confinanti, ove intavola trattative con i sostenitori di Florés. Costui però non riesce a trovare i fondi necessari per la progettata spedizione a causa dell’opposizione di Palmerston, più interessato al mantenimento dello "status quo" nella zona.
Cessato il pericolo di un’invasione straniera, Garcia Moreno rompe la tregua con Roca pubblicando un altro giornale, "El diablo".
Non passa però molto tempo che la terra comincia a scottargli sotto i piedi, essendo Roca deciso a farla finita una volta per tutte col giovane polemista. Prima di fuggire in Europa riesce, grazie ad una infiammata campagna che trova il sostegno dell’opinione pubblica, a ottenere il permesso d’asilo in Ecuador per i Gesuiti espulsi dalla Nuova Granada.
Sta via pochi mesi. Al suo ritorno trova che un ennesimo "golpe" ha portato al potere il massone Urbina. Questi, come primo atto del suo governo, espelle la Compagnia di Gesù dall’Ecuador.
Ancora Garcia Moreno fonda un giornale, "La Nacion". Ma Urbina non ha la pazienza di Roca e Garcia Moreno viene immediatamente arrestato.
In prigione ci resta tuttavia poco tempo: riesce ad evadere nottetempo e a darsi alla latitanza. Durante la sua assenza, l’opposizione lo candida senatore e riesce a farlo eleggere quasi a furor di popolo. Urbina finge di arrendersi al fatto compiuto solo per potergli mettere ancora le mani addosso. Questa volta è l’esilio in Perù.
Da Lima Garcia Moreno si imbarca per Parigi. Ci resterà due anni, dal 1854 al 1856. A Parigi, la "vasta fabbrica di anticristi e di idoli", come la definisce Louis Veuillot, entra in contatto coi circoli "ultramontani" e si familiarizza col pensiero politico cattolico che troverà di lì a poco espressione nel "Sillabo".
Nel frattempo in Ecuador Urbina rinnova con maggior virulenza la politica anticattolica. Requisisce conventi col pretesto che le caserme sono insufficienti, si serve del diritto di "exequatur" per disfarsi dei pastori d’anime a lui molesti, incoraggia i libelli che intrattengono i lettori sulla presunta corruzione del clero. Con una legge, poi, che chiama "della libertà degli studi" autorizza gli studenti universitari a conseguire la laurea senza obbligo di frequenza (cosa a cui oggi siamo abituati, ma che allora era semplicemente scandalosa).
Infine, la necessità – tipica di ogni capo militare – di compensare i "fedelissimi", ricade in nuovi e più pesanti tributi su un popolo già poverissimo e prostrato da anni di lotte. E a ciò si aggiunga la vendita per un tozzo di pane delle isole Galapagos agli Stati Uniti. Questo però è il colpo di grazia. Il malcontento montante fa intuire all’astuto Urbina che è giunto il momento di uscire temporaneamente di scena, infatti nel 1856 fa eleggere al suo posto il debole Roblez. Per pacificare gli animi viene concessa un’ampia amnistia. Così Garcia Moreno può tornare in patria.
Le elezioni del 1857 lo vedono senatore e – naturalmente – capo dell’opposizione. Ancora una volta fonda un giornale, "L’Unione Nazionale", sul quale vengono quotidianamente pubblicati gli atti parlamentari, in modo che il popolo possa sapere quel che viene deciso sulla sua testa. Accetta anche la carica di Rettore dell’Università Centrale di Quito (conferitagli ad onta dell’opposizione liberale), ma non riesce a far passare una proposta di legge sulla riorganizzazione degli studi. Esponendosi come sempre, arriva a proporre in Parlamento la chiusura delle logge massoniche, anche qui vanamente. L’unico successo lo ottiene nel far abolire l’imposta di capitazione che gravava sugli indios locali, imposta odiosa e ingiusta che stremava quella gente (che perdi più viveva in condizioni di estrema indigenza ed era esclusa da ogni impiego pubblico).

Una vita avventurosa
La tranquillità "legale" ancora una volta non dura molto. Prendendo spunto da una disputa territoriale col vicino Perù, urbina trova il modo di far imporre la legge marziale. Ma adesso c’è Garcia Moreno in patria ed è subito rivolta.
Per qualche mese don Gabriel vive fra battaglie, agguati, fughe rocambolesche, assedi. La sorte tuttavia è sfavorevole agli insorti e una volta in più Garcia Moreno deve fuggire.
Rimasti padroni della situazione, i liberali cominciano ad azzannarsi fra loro e dalla riaccesa lotta delle fazioni emerge un "uomo nuovo", Franco, che riesce a prendere in pugno la situazione grazie all’appoggio militare del Perù (cui ha promesso generosi compensi territoriali).
Questo da nuovo slancio alla resistenza conservatrice che reclama Garcia Moreno alla sua testa. Con un incredibile attraversamento della jungla – da solo – questi giunge in Ecuador e riorganizza l’opposizione. Catturato ancora una volta, ancora una volta riesce a fuggire e a rientrare subito dopo (altra marcia romanzesca, adesso attraverso le Ande). E’ la guerra civile. Da una parte è Garcia Moreno, coi conservatori e il popolo; dall’altra, Franco, i liberali e l’esercito, con l’appoggio del Perù.
Per far cessare lo sterminio fratricida invano Garcia Moreno propone a Franco l’esilio per entrambi; la lotta continua, ma alla fine la vittoria arride definitivamente agli insorti. Il 24 settembre 1860 (mentre nell’altro emisfero Garibaldi prosegue la sua opera in Sicilia) Franco è battuto a Guayaquil. Viene approvata a furor di popolo la richiesta di Garcia Moreno di consacrare l’esercito a Nostra Signora della Mercede e la costituzione di un governo provvisorio eletto a suffragio universale.
Non è inopportuno a questo punto ricordare che il voto ad ogni cittadino (indios compresi) che avesse compiuto i ventun anni e sapesse leggere e scrivere era per quell’epoca un fatto veramente straordinario. I governi liberali intesero sempre il suffragio come rigorosamente censitario. In Italia il suffragio allargato (maschile) si avrà solo con Giolitti e nel nostro secolo.

Presidente
Nel "fatale" 1860 l’Ecuador si dà un Presidente della Repubblica cattolico "intransigente".
Tuttavia, più che intransigenza dottrinale (Garcia Moreno non è tanto un pensatore quanto un uomo d’azione) la sua è intransigenza politica, che si può riassumere in una sua frase: "Libertà per tutto e per tutti, tranne che per il male ed i malfattori".
Il nuovo presidente si rimbocca le maniche: la prima cosa da fare è trarre l’Ecuador dallo sfacelo. E dai debiti spaventosi che i precedenti governi hanno contratto con gli intrallazzatori di tutto il continente.
L’impresa titanica e – per noi che siamo abituati a convivere con deficit pazzeschi – quasi impossibile, è condotta da Garcia Moreno nel modo più semplice e ovvio: taglio drastico delle spese, licenziamento in tronco dei funzionari disonesti o incapaci, verifica sistematica di tutti i debiti pubblici con eliminazione di quelli fraudolentemente contratti. La creazione di una Corte dei Conti davanti alla quale far comparire periodicamente gli agenti del fisco, dichiarati personalmente responsabili, completa l’opera.
Del suo assegno presidenziale Garcia Moreno fa il seguente uso: metà lo versa nelle casse dello Stato, l’altra metà va al Fondo per le Opere Caritative.
Il taglio della spesa pubblica ("mostro" che le democrazie elettroniche del duemila non riescono a domare) avviene in questo modo (ed è l’uovo di Colombo): disinfestazione della pubblica amministrazione dai parassiti; copiosa riduzione degli effettivi dell’esercito – misura che, oltre a ridurre l’aggravio per lo Stato, previene il pericolo di altri "pronunciamientos" e permette la costituzione di un’armata professionale agile e ben pagata; diffusione delle scuole libere e affidate a ordini religiosi, cosa che toglie allo Stato il peso dell’educazione pubblica; altro disgravio per le finanze statali è ottenuto con l’affidamento ad altri ordini religiosi degli ospedali e delle carceri. Lo Stato si riserva naturalmente il compito dell’alta supervisione e dell’eventuale sostegno, secondo il principio di sussidiarietà.
Nel 1862 Garcia Moreno chiude per l’Ecuador quattro secoli di supremazia dello Stato sulla Chiesa col proporre a Pio IX un Concordato che faccia giustizia sia delle leggi di "patronato", ereditate dal vecchio regalismo, sia dell’idea liberale di "separazione totale" di Stato e Chiesa. Il giovane sacerdote Ordonez viene inviato a Roma in qualità di plenipotenziario "ad hoc". Il 26 ottobre 1862 il Concordato è firmato dal cardinal Antonelli.
Questo Concordato sarà il più favorevole al cattolicesimo che la Chiesa avrà mai avuto. Con esso si ridà semplicemente al Papa la giurisdizione totale sul clero dell’Ecuador, cosa che contribuisce non poco al ritorno dell’ordine nel paese. Il clero locale, infatti, da sempre "selezionato" di fatto dallo Stato era largamente imbevuto di idee liberali. Questo, oltre a screditarlo agli occhi del popolo, lo rendeva praticamente prono ai voleri del padrone del momento.
L’operazione non è indolore. I riottosi vengono immediatamente ridotti allo stato laicale. I più preferiscono emigrare, sostituiti da massicce importazioni di religiosi europei, molto più istruiti ed esperti nei campi in cui devono operare.
Insomma, la restaurazione dell’Ecuador avviene senza persecuzioni e senza l’apporto di manovre particolarmente geniali: solo alcune misure tanto semplici quanto ovvie, che hanno immediato successo per il fatto di essere semplicemente applicate.

Difesa della libertà
Lo stesso anno un incidente di frontiera, causato dalla guerra civile che insanguina la vicina Nuova Granada (Colombia), porta Garcia Moreno alla testa delle truppe. Ne nasce una breve guerra che gli costa una ferita alla gamba.
Ma nello Stato confinante va l potere la fazione massonica, la quale scatena contro l’Ecuador un’offensiva che ricorda molto il sistema usato dai Piemontesi per impadronirsi della penisola italiana.
La continua infiltrazione di bande di "liberatori" e gli attacchi di "corsari" via mare, fanno prendere a Garcia Moreno una risoluzione che il Borbone di Napoli non ebbe il coraggio di attuare di fronte a una guerra mai formalmente dichiarata: "Nessuno potrà mai credere che per salvare quel pezzo di carta che qui da noi viene strappato ogni quattro anni, e che si chiama costituzione, io sia obbligato a consegnare la Repubblica nelle mani dei suoi carnefici".
E’ quanto diceva Donoso Cortés: "Quando la legalità basta a salvare la società, sia la legalità; quando non basta, sia la dittatura".
Così Garcia Moreno comincia col far fucilare seduta stante la "quinta colonna" operante all’interno del paese, sordo a tutti gli appelli (liberali) di clemenza.
"La generosità e la clemenza verso i nemici della Patria sono virtù male intese", dichiara. "Se la società può far scomparire un colpevole per un delitto di diritto comune, a più forte ragione lo può fare per i criminali che cospirano alla sua rovina". Nessun "perdonismo": la pietà vada indirizzata dove deve andare. "Vi scongiuro di aver pietà per gli innocenti che perirebbero per causa vostra, perché se io risparmio questi criminali, domani il sangue correrà in qualche nuova rivoluzione".
La campagna – non solo armata – lanciata contro l’Ecuador inalbera i soliti slogan rivoluzionari: Indipendenza, Unità, Libertà.
Garcia Moreno risponde con un proclama:
"L’indipendenza, essendo la vita di un popolo e per conseguenza il primo dei suoi beni, io voglio l’indipendenza per l’Ecuador. E’ appunto per questo che io detesto e combatto, con tutta la possibile energia, i grandi nemici di questa indipendenza, che sono la licenza e l’anarchia.
L’unità, garanzia di pace e condizione di forza, fu sempre il primo dei miei desideri. L’Ecuador vuole stringere vincoli che lo uniscano alle altre nazioni, rispettando il diritto e la giustizia in confronto di tutti i popoli. Esso non ha mai sofferto che sul suo territorio si armassero in piena pace delle bande di perturbatori per mettere in rivolta i vicini, ciò che del resto non permetterà mai ad un paese che comprende ancora le leggi dell’onore e della lealtà.
La libertà per ogni uomo sincero non è un grido di sterminio, ma un mezzo di progresso, sempre ben inteso che la moralità regni nel popolo, la giustizia nelle leggi e la probità nel governo. Per conseguenza il vero amico della libertà è l'uomo che consacra le sue forze per rendere morale il proprio Paese, per correggere le ingiustizie sociali, per radunare insieme gli onesti a lavorare senza posa per il bene pubblico".
L’Ecuador ha ben presto ragione del nemico, non peritandosi il suo Presidente di andare personalmente, pugnale alla mano, all’arrembaggio delle navi corsare.
Naturalmente, alla data della scadenza del mandato presidenziale, il numero dei nemici interni ed esterni di Garcia Moreno è incalcolabile. Tutti i funzionari destituiti, tutto il clero liberale, tutti i generali mandati a spasso o in esilio, tutti gli sfruttatori che si so visti chiudere il rubinetto degli affari, hanno una sole voce: "Morte al tiranno!".
La Presidenza passa al moderato Carrion, brava persona, ma più preoccupato di apparire al di sopra delle parti che d’altro. Durante il suo mandato Garcia Moreno rimane ferito nel primo di quegli attentati di cui sarà d’ora in poi quasi ininterrottamente oggetto.
Benché ferito da tre colpi di rivoltella, riesce ad uccidere il suo assalitore, ma si guadagna un’imputazione per omicidio da parte dei giudici liberali che il debole Carrion ha nel frattempo reintegrato. Viene assolto, ma perde ogni incarico pubblico e deve ritirarsi a vita privata.

Liberali alla riscossa
Non ci vuol molto perché Carrion diventi (in assoluta buona fede, quella che per eccesso di democratismo diventa dabbenaggine) lo zimbello dei liberali. Nel giro di pochi mesi tutto è come prima e peggio di prima: il Concordato è abolito, le vecchie leggi ripristinate, i religiosi espulsi.
Convinto dagli amici Garcia Moreno si ricandida senatore e viene eletto a schiacciante maggioranza. Ma la giunta per le Elezioni convalida tutte le nomine, tranne la sua.
Neutralizzato Garcia Moreno, è facile per i liberali riprendere il controllo del Parlamento e sbarazzarsi dell’ormai inutile Carrion. Il Presidente infatti viene messo in stato d’accusa per malversazione.
Si va a nuove elezioni presidenziali. Garcia Moreno, pur dolorosamente colpito dalla morte di una figlioletta, opera per far convergere i voti dell’opposizione sul cattolico Espinosa. La manovra riesce ed Espinosa viene eletto a stretta maggioranza.
Tuttavia costui, bene intenzionato ma ingenuo, nel cercare di crearsi una più vasta base di consensi finisce per concedere ai liberali diversi ministeri chiave. L’opera di Garcia Moreno è completamente vanificata.
Ma interviene un fatto inaspettato: il 13 agosto 1868 un terremoto di inaudite proporzioni, accompagnato da eruzioni vulcaniche, fa strage nella provincia di Ibarra, tagliandola fuori dal resto del paese. Subito bande di predoni e di indios confinanti calano sulla preda, mettendo a sacco quel che ne resta.
Espinosa nomina Garcia Moreno capo militare e civile della provincia, con pieni poteri. Questi immediatamente interviene e, operando con la solita energia, in breve tempo riesce a mettere le cose a posto, cosa che accresce la sua già grande popolarità.
Alla vigilia della scadenza elettorale, incurante delle immancabili accuse di peculato che gli piovono addosso dall’opposizione, accetta di ricandidarsi per la Presidenza. Questa volta la sua vittoria è data per sicura e le logge cercano di correre ai ripari. In tutta fretta viene preparato un "pronunciamiento" per rovesciare Espinosa, ma un "pentito" rivela tutto a Garcia Moreno. Il tempestivo intervento delle truppe, comandate dallo stesso Garcia Moreno, riesce a sventare il complotto.
Le elezioni sono un trionfo: Garcia Moreno viene eletto per la seconda volta. E’ il 1869.

La seconda presidenza
Reso più accorto dalle precedenti esperienze, questa volta Garcia Moreno non ha esitazioni: la sua prima misura è quella di chiudere senz’altro l’Università di Quito, vero e proprio "cervello" della rivoluzione radicale.
Il suo secondo atto è quello di ristabilire il Concordato.
Terzo atto: fa votare (e ottiene all’unanimità) una Costituzione tratta di peso dal "Sillabo". Questo il preambolo:
"Nel nome di Dio, Uno e trino, autore, conservatore e legislatore dell’Universo, la Convenzione Nazionale ha decretato la presente Costituzione".
All’articolo primo si dichiara "la Religione Cattolica Apostolica Romana religione dello Stato ad esclusione di ogni altra" e che lo Stato "la mantiene nel possesso inalienabile dei diritti e delle prerogative di cui le leggi di Dio e le prescrizioni canoniche l’hanno investita con l’obbligo per i pubblici poteri di proteggerla e farla rispettare". E in uno degli articoli successivi si enuncia il principio "che non si può essere elettore o eleggibile, o funzionario di qualunque categoria senza professare la Religione Cattolica".
A chi gli fa notare come tutto ciò sia forse eccessivo, risponde: "Perché le nazioni cattoliche dovrebbero lasciar scalfire in casa propria l’unità della fede, quando i sovrani di Londra e Pietroburgo fanno l’impossibile per unificare sotto il rapporto religioso i loro sudditi d’Irlanda e di Polonia?".
Un deputato insinua che quando l’autorità ecclesiastica gode di un potere così vasto, basta un monaco a propagare la Riforma. Ma la risposta di Garcia Moreno è pronta: "Proclamando il libero esame, Lutero non ha declamato contro gli eccessi d’autorità, ma contro l’autorità stessa". E alla fine del discorso ottiene l’inserimento nella Costituzione di un articolo che dichiara "decaduto dai suoi diritti di cittadino chiunque appartenga a una società condannata dalla Chiesa".
Restando, malgrado tutto, il pericolo derivante dall’onnipotenza del parlamento – sempre esposto al pericolo di finire in balia dei maestri del controllo delle assemblee – un ulteriore articolo costituzionale concede al presidente il diritto di "veto" sulle leggi per la durata di una legislatura.
Completamente neutralizzate sul piano legale, le logge massoniche ricorrono ancora una volta al pugnale: il 14 dicembre dello stesso anno un attentato contro il Presidente fallisce. Il sicario, reo confesso, per la sua giovane età è graziato e mandato in esilio. Una volta al sicuro oltre la frontiera, la riconoscenza di costui si esprime nella pubblicazione di un libello contro il "mostro" che regna in Equador.
Altri nemici personali si aggiungono ai precedenti quando Garcia Moreno fa emanare una legge sul servizio militare che elenca tassativamente i casi di esenzione: quelli che prima evitavano la naja a colpi di "bustarelle" (scaricandola quindi sui più poveri) devono adesso indossare la divisa. I cappellani militari hanno l’obbligo di aprire scuole nelle caserme per chi sia privo dell’istruzione essenziale. Esperti vengono inviati in Prussia a studiare le nuove strategie.
Mi sia consentita a questo punto l’apertura di una breve parentesi.
Quale sia stata la posizione personale di Garcia Moreno sulla leva obbligatoria, introdotta nei regimi moderni dalla Rivoluzione francese, le fonti non ce lo dicono. Si tratta comunque di una questione che la Dottrina Sociale lascia all’apprezzamento dei laici.
In ogni caso a quel tempo, per uno Stato cattolico circondato da potenziali nemici, c’era poco da andare per il sottile, tenuto conto anche del tipo di guerra – e di armi – a cui i tempi obbligavano. In ogni caso nella valutazione del Presidente sarà entrata anche la considerazione della possibilità di istruzione capillare che la leva obbligatoria offriva.

Modernizzazione dell’Ecuador
Fermamente convinto che la moralità sia la spina dorsale di un popolo e che solo il cattolicesimo possa dare unità agli irrequieti ecuadoregni, Garcia Moreno comincia una vasta opera di riassetto normativo.
Per prima cosa introduce nel codice penale sanzioni contro i bestemmiatori e gli ubriaconi. Per gli alcolizzati cronici inaugura un vero e proprio servizio sociale di affidamento e di assistenza. Ai concubinari viene imposto il matrimonio o la separazione in alternativa. Ben distinguendo tra "moralismo" protestante e "moralità" cattolica, procura di far presente a costoro che sono liberissimi di perdersi, ma non di dare pubblico scandalo.
Questa volta passa anche il suo vecchio progetto di riforma degli studi. Dopo aver addottorato "cum laude" un laureando in legge, Garcia Moreno, nella sua veste di rettore, chiede al giovane se conosca il catechismo. Avutane risposta negativa, lo rinvia a studiare la dottrina cattolica per alcuni mesi, se vuole esercitare la professione: non basta conoscere a memoria il diritto per difendere la giustizia.
Nel campo dell’istruzione, per spezzare il monopolio delle università, e soprattutto per alfabetizzare gli indios e le donne, il Presidente crea in tutto il paese una fitta trama di scuole gratuite e libere. L’istruzione viene dichiarata obbligatoria per tutti fino a dodici anni. Gli adulti che si rifiutano di seguire un corso di istruzione vengono pesantemente multati. Corsi speciali sono istituiti per i carcerati e i militari di truppa.
Particolare attenzione viene prestata soprattutto all’insegnamento primario che, secondo le parole dello stesso Garcia Moreno, "è sempre stata la carriera di coloro che sono incapaci di prenderne un’altra".
Un largo impiego di borse di studio, infine, cerca di creare un nucleo di maestri indios, affinché la loro gente possa partecipare di fatto alla vita del paese a pieno titolo.
Con insegnanti importati dagli Stati Uniti nascono le prime scuole professionali; il Presidente stesso fonda il Politecnico di Quito, dove vengono attirati scienziati di fama internazionale. Seguono a ruota un’Accademia di belle Arti e un Conservatorio.
Un altro vecchio progetto di Garcia Moreno può finalmente vedere la luce: l’Osservatorio Astronomico internazionale di Qito, da tempo auspicato dagli scienziati di tutto il mondo per la favorevolissima posizione della città. Dopo aver chiesto contributi agli Stati interessati, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti (che però rifiutano di metter mano alla borsa con tergiversazioni varie), i lavori cominciano lo stesso, a totale carico dell’Ecuador. Insomma, in pochi anni il Paese entra di diritto nel novero delle nazioni più moderne.
Notevoli energie vengono anche dedicate alla lotta al pauperismo e all’emarginazione. Nascono orfanotrofi e case di accoglienza per ragazze, in un’epoca in cui miseria e prostituzione vanno di pari passo. (Alla morte di Garcia Moreno le case di accoglienza per fanciulle saranno le prime ad essere smantellate: è sempre la prima cura delle varie "liberazioni". Chi ricorda la scritta che campeggiò per lungo tempo, nel ’68, sui muri della Cattolica, "Dite a Papa Montini: meno chiese e più casini"?). Sconti di pena e libertà condizionale vengono promesse ai detenuti che si distinguono negli studi. I vecchi sanatori sono rasi al suolo e sostituiti con moderni ospedali.
Il Presidente in persona si assicura che tutto proceda conformemente alle leggi. Un episodio: trovati gli ammalati di Guayaquil distesi su stuoie per mancanza di letti, il presidente ordina al Governatore di abbandonare l’alloggio di Stato e di trasferirsi all’ospedale. In soli due giorni i letti e i materassi per gli ammalati vengono reperiti. Protagonismo? Paternalismo? Sono le parole che in genere usa chi non fa e non tollera che altri faccia. Il contrario della demagogia sono i fatti.
Per fare fronte a tutte queste spese si economizza su tutto: il tradizionale banchetto offerto al corpo diplomatico viene abolito e dell’uso dell’assegno personale del Presidente si è già detto (la stessa moglie di Urbina, il più implacabile nemico di Garcia Moreno, riceve una pensione defalcata dell’assegno medesimo).

Sviluppo economico
All’inizio di questa breve biografia ho accennato al film "Mission": non sarà sfuggito a chi l’ha visto come la cacciata dei Gesuiti dalle "reducciones" abbia significato per gli indios la scelta tra la schiavitù e il ritorno nella jungla, alla vita tribale. Bene, Garcia Moreno ripercorre il cammino in senso inverso, inviando i Gesuiti a civilizzare le tribù della foresta. Purtroppo dopo la sua morte si ripeterà il tragico epilogo del film.
Ma l’opera più importante di Garcia Moreno è la costruzione di strade.
L’orografia dell’Ecuador è, da questo punto di vista, fra le più infelici: montagne, foreste, paludi e burroni tagliano fuori per mesi, nella stagione delle piogge, intere provincie. Un’imponente rete di vie di comunicazione cambia in breve tempo il volto del paese, avviando uno sviluppo economico che la mancanza di infrastrutture rendeva impensabile.
Le grandi economie sulle spese di polizia (realizzate grazie all’assoluta tranquillità dell’ordine pubblico durante la presidenza di Garcia Moreno), unite a quelle di cui abbiamo già parlato, permettono l’aumento dei salari medi per oltre un terzo nonché la riduzione (quando non l’abolizione) di molte imposte.
In pace coi vicini (l’esercito è piccolo, ma organizzato sul modello prussiano), in pace all’interno, l’economia in pieno sviluppo, il sistema finanziario riformato, il carico tributario più equamente ripartito, il successo nella lotta al contrabbando e alla frode, la provata serietà d’intenti della classe politica, finiscono per avere ulteriori benefiche ricadute in quanto danno fiducia agli operatori economici. Con lo sviluppo dell’economia e dei commerci (grazie anche alla nuova viabilità) aumenta il reddito nazionale e, per conseguenza, aumentano le entrate dello Stato. Sta tutta qui la "formula magica" che permette a Garcia Moreno di sobbarcarsi tutte le spese che abbiamo visto. Cifre alla mano, dal 1869 al 1872 le rendite dell’Ecuador sono semplicemente raddoppiate.

Consacrazione dell’Ecuador
I complotti, mai assenti dalla storia del continente, accompagnano costantemente l’operato di Garcia Moreno. Ma non destano eccessiva preoccupazione: gli affari sono floridi, nessuno ha voglia di rimettere tutto in discussione . Spesso le congiure sono sventate con sistemi che sembrano tratti dai film western: il Presidente è informato di un conciliabolo contro di lui che si tiene nella bottega di un barbiere; egli va, solo e disarmato, si siede e ordina il taglio dei capelli. I congiurati, disorientati, si dileguano.
Quasi a coronamento della sua amministrazione, il 13 aprile 1873 Garcia Moreno ottiene dal parlamento uno storico decreto:
"Il Congresso, considerato che questo atto, il più efficace per conservare la fede, è nello stesso tempo il miglior mezzo per assicurare il progresso e la prosperità dello Stato, decreta che la Repubblica, consacrata al Cuore di Gesù, lo adotti per suo Patrono e Protettore. La festa del Sacro Cuore, festa civile di prima classe, ci celebrerà in tutte le cattedrali con la più grande solennità. Inoltre verrà eretto in ogni cattedrale un altare al Sacro Cuore, sul quale sarà collocata a spese dello Stato una lapide commemorativa che porterà inciso il presente decreto".
A questo viene unita una vibrata protesta diplomatica contro il Regno d’Italia per la spoliazione perpetrata ai danni del Pontefice, al quale viene assegnato il dieci per cento della decima percepita dallo Stato dell’Ecuador sulle rendite ecclesiastiche.
La fama di Garcia Moreno si sparge in tutto il mondo, ma al plauso dei cattolici fa eco una rinnovata attività libellistica dei radicali. Tutta la stampa liberale sudamericana reclama la testa del "tiranno". Fallisce un ennesimo attentato. Ma prima ancora che giunga la notizia che il colpo è andato a vuoto la stampa di Bogotà all’unisono con quella di Lima (vera capitale massonica del continente) pubblica il necrologio del Presidente dell’Ecuador. Per "coincidenza" le veline erano già pronte lo stesso giorno dell’agguato.

Don Gabriel Garcia Moreno
Secondo le regole della letteratura agiografica, a questo punto dovrei parlare dell’uomo e del cristiano. Onestamente devo dire che non amo molto le biografie dei "santi" perché sono sempre carenti in qualche cosa. Generalmente chi le scrive tende a porre in luce le "virtù", così che il lettore quasi niente sa dei "difetti" e i "santi" sembrano nati già tali. Le autobiografie sono più attendibili, anche se spesso cadono nell’eccesso opposto, per umiltà.
Garcia Moreno non è stato beatificato, né ha lasciato scritto nulla di sé. Quel che si conosce di lui è solo ciò che è apparso in pubblico.
Certo, è difficile pensare a una vita come la sua (cui non furono risparmiati dolori e sofferenze) e a un’opera così riuscita (contro tutti e tutti) di applicazione "pratica" del cristianesimo, senza il supporto di una autentica pietà. Garcia Moreno cominciava la sua giornata con l’orazione e non prendeva decisione importante senza aver trascorso qualche tempo in adorazione davanti al Santissimo. Più d’una volta si vide il Presidente dell’Ecuador, rivestito delle insegne del suo grado, caricarsi della croce nelle processioni e precedere il popolo. Questi gesti di pubblica devozione (e d'esempio per chi rappresenta lo Stato) oggi sarebbero definiti "plateali" o "bigotti". Certo, è più "laico" portare corone d’alloro al Milite Ignoto o drappeggiarsi con grembiulini di cuoio ornati di squadre e compassi. E anche all’epoca di Garcia Moreno gli "spiriti forti" consideravano quanto meno poco virile fare pubbliche manifestazioni di fede, o restare fedeli alla propria moglie. O avere una vita privata assolutamente integerrima. O non aver "sistemato" nessun parente. O non aver rubato il denaro pubblico. O alzarsi alle quattro del mattino per adempiere personalmente a tutte le incombenze della carica.
Siamo abituati a pensare agli uomini politici "santi" come fenomeni dei Medioevo. Certo, nel Medioevo cristiano era più facile, o quanto meno non stupefacente. Bene, non c’è altro allora da dire: proprio questo depone a favore di una lettura "agiografica" di Garcia Moreno.
Scrive a un certo punto San Paolo a Timoteo:
"Sappi che negli ultimi giorni ci saranno dei tempi difficili. Allora gli uomini saranno egoisti, avidi d’oro e d’argento, vanagloriosi, superbi, blasfemi, ribelli ai genitori, ingrati, empi, disamorati, sleali, calunniatori, intemperanti, crudeli, disumani, traditori, protervi, temerari, amanti più del piacere che di Dio, aventi le apparenze della pietà, ma privi di quanto ne forma l’essenza".
Se San Paolo abbia avuto la visione di un Congresso di partito non sappiamo. Né sappiamo quando finiranno questi tempi "difficili". Di cero Garcia Moreno ebbe in sorte di vivere in uno di questi tempi e dovette sentirne senza dubbio l’angoscioso peso. Fino all’ultimo.

La morte
Adesso la pelle di Garcia Moreno non vale un soldo, questo è ormai sulla bocca di tutti. A chi gli suggerisce di circondarsi di una scorta, fa notare che non avrebbe modo di proteggersi dalla scorta stessa. Così arriva a quel fatale 6 agosto 1875. Viene letteralmente crivellato di colpi all’uscita della cattedrale. "Dios no muere", è la sua ultima frase. La folla lincia parte dei congiurati; gli altri se la cavano con condanne miti e con l’esilio.
Louis Veuillot, sul suo "Univers" del 27 settembre, pubblica un lungo elogio: "Egli ha dato un esempio unico nel mondo e nei tempi in cui è vissuto; egli è stato il vanto del suo Paese; la sua morte un bene fors’anche più grande, in quanto per essa ha dimostrato a tutto il genere umano quali capi Dio può dargli ed a quali miserabili esso si affida nella sua follia".
La morte di Garcia Moreno realizza la cupa profezia di Simon Bolivar: àNon c’è più fede in America, né tra gli uomini, né tra le nazioni. Le costituzioni e le leggi non sono che pezzi di carta ; le elezioni, esercizi di pugilato; la libertà un brigantaggio, e la vita un inferno".
Il nuovo Presidente dell’Ecuador, Borrero, si incarica di dar compimento a questa frase dichiarando all’atto del giuramento che è sua intenzione riformare la Costituzione "dispotica" dell’Ecuador. L’anno dopo vieta la commemorazione pubblica del Presidente defunto. Lo stesso anno un "pronunciamiento" lo rovescia.
Comincia per l’Ecuador un lungo e nero periodo contrassegnato dalle persecuzioni religiose, le confische di beni ecclesiastici, gli avvelenamenti di vescovi, i "golpe" continui.
I lavori pubblici restano al punto in cui Garcia Moreno li ha lasciati.

Conclusione
La figura di Garcia Moreno ci si presenta con quella grandezza "ispanica" dai tratti così caratteristici, tipica degli uomini del "tutto-o-niente", come Ignazio di Loyola e Francesco Saverio.
La sua vita e la sua opera possono dirsi l’applicazione concreta del pensiero di quel grande suo contemporaneo che fu Donoso Cortés. A parte le sorprendenti analogie (stessa estrazione sociale, stessi lutti familiari, stessa precoce morte), questi due uomini ci appaiono come il braccio e la mente della dottrina sociale cattolica: Donoso Cortés ebbe gran parte nell’elaborazione del "Sillabo"; Garcia Moreno lo mise in pratica, dimostrando al mondo intero che i principi cristiani sono fonte di progresso, anche materiale.
"Allo stesso modo che la fede senza le opere non salva il cristianesimo, le tesi sociali non salveranno la società dall’anarchia se non si tenta neppure di applicarle". Con queste parole il Presidente dell’Ecuador liquidava i cattolici timidi, afflitti da complessi di inferiorità nei confronti del liberalismo.
La sua forza e il suo ottimismo derivavano da una vita di pietà intensamente vissuta e dallo sforzo costante di fidarsi di Dio.
"Non mi farò affatto scortare; la mia sorte è nelle mani di Dio, che mi chiamerà da questo mondo quando e come piacerà a lui".
Ma sbaglieremmo se pensassimo quest’uomo come una specie di eroe omerico scolpito nel granito. Pochi giorni prima della sua morte, nel salutare un amico che partiva non riuscì a trattenere le lacrime: "Addio, non ci rivedremo mai più. Sto per essere assassinato".
Fatto di carne e di sangue, dunque, non di roccia. A questo "martire, perché coscientemente aveva accettato il sacrificio", Pio IX fece erigere un monumento in Roma, nell’Istituto Pio Latino Americano.
Il suo "modus operandi" come Capo di Stato oggi verrebbe con stolida sufficienza definito "dispotismo paternalistico". In realtà fu questo il suo colpo di genio. Per quel popolo abituato ad obbedire a caporioni carismatici (e a non obbedire a governi impersonali o deboli), una "repubblica presidenziale" era quanto di più "temperato" si potesse escogitare.
Indubbiamente per noi moderni – che ci aspettiamo tutto dalle leggi e dalle riforme – può riuscire difficile non guardare con sospetto un governo in cui la responsabilità politica sia personale e i rappresentanti del popolo diano per primi l’esempio di quel che comandano. E’ auspicabile che prima o poi la Dottrina Sociale della Chiesa sia messa in forma catechistica, perché questo è: catechismo per uomini politici.
In questi tempi in cui si fa gran parlare di riforme istituzionali – almeno da noi – l’insegnamento che Garcia Moreno ci trasmette è questo: non c’è riforma che tenga senza assunzione personale di responsabilità. Chi se ne fa carico (giacché nessuno ci chiama, ma ci si candida) deve renderne conto, senza scaricarla sul successore. D'altronde ancora oggi come ieri chi si rimbocca realmente le maniche è travolto dalle solite demagogiche invettive: "personalista", "paternalista", "protagonista", "decisionista". Così che i politici ben intenzionati (lo sono tutti, all’inizio) divengono schiavi dell’opinione pubblica e di chhi la manovra. E divengono schiavi essi stessi (quando non conniventi) dell’ombra: "manovre di corridoio", "tirare le fila", "imbastire trame", "lanciare segnali" a chi deve intendere, parlare involuto per poter - se del caso – negare. Così la politica – che è la carità sociale – si risolve nella furbizia del quotidiano.
La deresponsabilizzazione personale – così acutamente individuata da Augusto del Noce in tanti suoi saggi – è il vero male oscuro che affligge questi nostri tempi. Tutte le colpe vengono di volta in volta accollate ad entità astratte come "il sistema", "la società", àla storia"; da qui la cupa rassegnazione di un corpo elettorale che si lamenta, ma non vede alternative possibili. Per cui diserta le urne e "rifluisce nel privato". O si fa "furbo" e tenta la "scalata" a colpi di gomito per "emergere" ed entrare nell’"establishment".
Il fatto è che non c’è nessuno che non si pensi "furbo". Ecco allora l’importanza dell’esempio (per cui auspico migliori riproposizioni) di Gabriel Garcia Moreno: al di là della retorica, la politica come servizio, come dono totale di sé fino al sacrificio, il dovere inteso come missione, unito a una pratica costante di pietà che conduca all’intimità con lo Spirito Santo, essenziale per non cadere nell’ingenuità.
E tuttavia anche questo non basta, se non si abbia un’idea chiara che il solo ordine possibile è quello cristiano.
"Bisogna che la religione sia il fondamento e il coronamento dell’istruzione a tutti i grandi", scriveva Pio IX nell’enciclica "Rappresentanti". Trono e altare? Sì, ma nel senso chiarito dal Cardinal Pie: "Gesù Cristo ha unito in sé, indissolubilmente, l’ordina naturale e quello soprannaturale, e impone alla società cristiana un’unione analoga. Come in Gesù Cristo la natura divina e quella umana sono distinte, senza confondersi, conservando ciascuna (…) le proprie qualità e operazioni, ma unite indissolubilmente, senza mai separarsi, nell’unica Persona del Figlio di Dio, in maniera analoga la Cristianità è costituita da due elementi, la Chiesa e lo Stato, che devono essere distinti, non confusi, ma uniti e non separati".

Autore: Rino Cammilleri

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