L'episodio a cui fa riferimento è avvenuto in Rivarolo Canavese presso Torino in occasione della solennità pasquale, ma in tutta Italia si sono ripetuti casi analoghi.
Luigi
1. Le misure limitative delle libertà fondamentali durante la pandemia. - Le misure assunte dal Governo a partire dal D.L. 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19) per contrastare e contenere la diffusione del virus hanno limitato la libertà religiosa nonché gli altri diritti fondamentali costituzionalmente protetti in modo particolarmente invasivo tale da stridere con i princìpi dello Stato di diritto.
L’intero Paese ha accettato con encomiabile
senso di responsabilità, in particolare nella fase più intensa di diffusione
del virus, le limitazioni imposte,
dimostrando quel civismo e quello spirito di legalità la cui mancanza viene
spesso – talora esageratamente – addebitata al popolo italiano.
La comunità dei cattolici, consapevole
della delicatezza dell’emergenza sanitaria, ha condiviso la sofferenza comune
rispettando unanimemente le limitazioni imposte alla libertà del culto. Il vulnus inferto all’essenza sacramentale
e comunitaria della Chiesa è stato, tuttavia, estremamente grave,
sproporzionato rispetto alle effettive esigenze sanitarie, atteso che la
prosecuzione della vita sacramentale della Chiesa, attuata con la prudenza che
contraddistingue tradizionalmente l’operato del clero cattolico , sarebbe stata
concretamente possibile senza che si fornisse alcun incentivo alla diffusione
del virus.
Significativamente S.S. Papa Francesco
ha sottolineato nella Messa celebrata in Santa Marta il 17 aprile che “così non
è Chiesa...ed è un pericolo” celebrare la Messa senza popolo, chiarendo che la
situazione era accettata per via del “momento difficile”, non dovendosi però
“viralizzare la Chiesa, i Sacramenti, il popolo”. L’auspicio del Pontefice era
dunque di “uscire dal tunnel e non rimanere così” almeno nella fase successiva
a quella di più intensa diffusione del virus,
quando i contagi sarebbero diminuiti e sarebbero riprese le varie attività
sospese.
2.
Il rispetto della libertà religiosa.
– Siamo pervenuti ora a una fase in cui – grazie all’indebolimento del virus e alla ripresa di controllo della
situazione sanitaria da parte delle strutture competenti – è possibile
ragionare con pacatezza degli eventi trascorsi, assumendoli come lezione di cui
avvalersi per l’attuazione nel futuro di una ragionevole politica di
bilanciamento delle esigenze sanitarie con il rispetto dei diritti
fondamentali. Ciò appare essenziale al fine di evitare qualsiasi deriva
dispotica in materia di limitazione delle libertà costituzionalmente protette.
Ci si limita in questa sede a evocare,
sia pure in sintesi, il tema della libertà religiosa, che è il primo dei
diritti fondamentali, senza però dimenticare che le misure adottate hanno
inciso in modo sproporzionato – senza, peraltro, una copertura legislativa e
senza la possibilità di un adeguato controllo giurisdizionale – sulla libertà
delle persone e sulla loro facoltà di attendere persino ai doveri di solidarietà familiare e sociale.
Con il D.L. n. 19/2020 il Governo ha
dettato misure urgenti imponendo ai cittadini le restrizioni ai diritti
fondamentali previsti dall’art. 1, co. 2, lett. g) ed h), riguardanti
rispettivamente i) “la limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative
di qualsiasi natura, di eventi e di altra forma di ricreazione in luogo
pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo
o religioso”; ii) “sospensione delle
cerimonie civili e religiose,
limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto”.
Il Presidente del Consiglio dei
Ministri, ritenendo di esercitare il potere conferito dal D.L. menzionato, ha
emanato una serie di decreti, tra cui i D.P.C.M. 8.03.2020, 10.04.2020 e
26.04.2020. Con essi i) si sospendevano gli eventi di tipo religioso; ii) si condizionava l’apertura dei luoghi di culto all’adozione di misure organizzative
tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e
delle caratteristiche dei luoghi e tali da garantire ai frequentatori la
possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro; iii) si
sospendevano le cerimonie religiose
comprese quelle funebri (soltanto con
il D.P.C.M. 26.04.2020 si consentivano le cerimonie funebri con l’esclusiva
partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di 15 persone).
3.
La sproporzione delle misure adottate
a riguardo della libertà religiosa. - L’azione amministrativa regolata
dai predetti provvedimenti rivela il completo disinteresse del Governo per la
rilevanza sociale e individuale del senso religioso della popolazione, avendo
inciso in modo sproporzionato sul diritto della Chiesa all’esercizio del culto
e della vita sacramentale. E’ del tutto evidente, infatti, che, tramite
l’interlocuzione con le autorità ecclesiastiche, la normativa avrebbe potuto –
e dovuto – consentire l’esercizio del diritto di libertà religiosa,
contemperandolo con la gestione prudente della situazione nel rispetto delle cautele
sanitarie. Ciò avrebbe consentito il corretto bilanciamento tra il diritto alla
salute, contemplato all’art. 32 della Costituzione, e l’art. 19, che prevede la
libertà di manifestazione degli atti di culto.
Peraltro, allo stesso modo in cui la
stessa apertura delle chiese è stata condizionata all’adozione di misure
organizzative tali da evitare assembramenti di persone, non si comprende per
quali ragioni non sia stata consentita la celebrazione delle cerimonie
religiose adottando le medesime cautele. Anche per questo verso emerge
l’illogicità della sospensione indiscriminata delle cerimonie pubbliche e la
contraddittorietà dei provvedimenti amministrativi.
Occorre ancora sottolineare che il
Governo ha mostrato in questa vicenda di non tener in alcun conto l’impianto
normativo che regola i rapporti tra Stato e Chiesa. La legge di riforma del
Concordato Lateranense, ispirata – per quanto riguarda lo Stato – ai princìpi
della Carta costituzionale e, - per quanto riguarda la Chiesa – alla
dichiarazione del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla libertà religiosa,
riconosce alla Chiesa Cattolica “la piena libertà di svolgere la sua missione
pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In
particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico
esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale,
nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica” (art. 2 L. 121/1985).
Ciò nel più generale quadro dell’essere
lo Stato e la Chiesa “ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, impegnandosi
al rispetto di tale principio nei loro rapporti e alla reciproca
collaborazione, per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” (art. 1 L.
121/1985). Questo significa, in particolare, che, in materia di organizzazione
e di pubblico esercizio del culto, la libertà della Chiesa è piena e non può
subire limitazioni di sorta per intervento unilaterale degli organi di Governo
dello Stato italiano.
Al di là degli aspetti strettamente
tecnico-giuridici della vicenda – in ordine ai quali il Centro Studi Rosario
Livatino ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale Lazio-Roma
avverso i D.P.C.M. 10 aprile e 26 aprile 2020 nella parte in cui sospendevano
le manifestazioni organizzate anche di carattere religioso e le cerimonie
religiose – occorre mantenere ben ferme le questioni di principio, in virtù
delle quali l’Autorità amministrativa non ha alcuna competenza in materia
religiosa. Ciò è essenziale allo scopo di evitare eventuali derive dispotiche in
sede applicativa da parte delle Autorità amministrative subordinate e delle
Forze di Polizia.
4.
Un episodio di vessazione amministrativa
contro la libertà religiosa. - Al fine di
evidenziare possibili rischi in questo settore così delicato è opportuno
segnalare un episodio – che si caratterizza come una vessazione amministrativa
–, avvenuto in Rivarolo Canavese presso Torino in occasione della solennità
pasquale.
Il Parroco della Chiesa di San Giacomo
Apostolo, avendo in precedenza diffuso un comunicato col quale ricordava ai
fedeli che non ci sarebbe stata la possibilità, come negli anni precedenti, di
vivere insieme le tradizionali liturgie del tempo pasquale, stava celebrando, sine populo, la Santa Messa di Pasqua
insieme con altro celebrante alla presenza dei due accoliti e di sei fedeli,
personalmente invitati, affinché svolgessero il servizio della lettura delle
Scritture e prestassero gli altri servizi per la dignitosa officiatura del rito
e per la sicurezza della chiesa.
La Polizia Municipale, avvertita da
qualche improbabile zelatore della salute pubblica, “sorprendeva” – così è
scritto nel verbale di Polizia – sei fedeli “disposti uno per banco e
debitamente distanziati gli uni dagli
altri”, colpevoli di assistere “alla Santa Messa della festività di Pasqua...
inginocchiati e in atteggiamento di preghiera verso l’Altare”.
A seguito dell’accertamento è stato
notificato alle dieci persone “sorprese” alla funzione avviso di contestazione
di illecito da parte della Città di Rivarolo per violazione dell’art. 1, co. 2 lett.
g) D.L. 19/2020, con l’inflizione della pena pecuniaria per ciascuna persona
nella misura di Euro 400,00.
Prescindendo dagli aspetti prettamente
tecnici della contestazione – che è stata
ritualmente gravata con osservazioni al Prefetto della Provincia di Torino –
l’episodio è sintomatico dei rischi concreti di limitazione sproporzionata
della libertà religiosa in virtù di interpretazioni estensive delle regole
emanate dal Governo e dal Presidente del Consiglio.
Occorre osservare come nel caso in
questione: i) era assente qualunque intento di contestazione della normativa
vigente; ii) la Santa Messa era celebrata in forma privata con invito rivolto
esclusivamente a fedeli determinati per lo svolgimento del servizio essenziale
all’Altare e per la proclamazione della Parola di Dio; iii) era completamente
assente qualsiasi rischio di contagio in virtù del rispetto rigoroso del
divieto di assembramento e del criterio del distanziamento tra le persone.
La vicenda in esame costituisce il segno
concreto del rischio che – sulla scia di provvedimenti di dubbia
costituzionalità, incuranti della competenza esclusiva della Chiesa e
irrispettosi del senso religioso dei fedeli – prendano corpo derive
discrezionali delle Autorità amministrative subordinate, che potrebbero portare
alla paralisi del libero esercizio del culto tramite la minaccia di sanzioni
pecuniarie, anche di tipo penale, lesive della libertà religiosa.
Ciò deve valere non soltanto per le attività
che concernono, all’interno delle chiese, la celebrazione del culto e l’amministrazione
dei Sacramenti, ma altresì per tutte le manifestazioni esterne della
religiosità popolare in cui si esprime il sentimento di fede della comunità cristiana.
E’ ovvio che tali manifestazioni dovranno essere organizzate nel rigoroso
rispetto delle norme cautelari che vietano assembramenti e obbligano a rispettare
il criterio del distanziamento e con l’uso delle mascherine. Rispettando tali regole,
però, non dovranno essere imposte limitazioni tali da impedire lo stesso
svolgimento delle manifestazioni religiose nei mesi a venire.
Insegna la storia che le vessazioni
amministrative sono spesso prodromiche di vere e proprie persecuzioni della
libertà religiosa.
Mauro Ronco