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domenica 28 giugno 2020

Dall'Ungheria qualche vescovo con la schiena dritta e le idee chiare

Una bella intervista dell'arcivescovo metropolita greco cattolico ungherese su coronavirus, apertura delle chiese, distribuzione della S. Comunione e dintorni.
Luigi


Monsignor Fülöp Kocsis, arcivescovo metropolita della Chiesa Greco Cattolica nazionale, racconta alla Nuova Bussola come il popolo ungherese stia superando la pandemia da coronavirus, anche grazie ad una buona azione del governo. Ma soprattutto di come i cattolici abbiano una marcia in più: «Si può valutare come dono la pandemia? Sì, con gli occhi della fede. Anche perché ci insegna tantissimo».
L'Ungheria si è dimostrata capace di contenere la diffusione del coronavirus grazie a quelli che Il Sole 24 ore ha definito “interventi tempestivi e spesso meno rigidi di quelli adottati in Occidente”. Ma in questi mesi in Italia si è parlato del Paese dell'Europa orientale prevalentemente per criticare – o per difendere – la decisione del Parlamento di Budapest di affidare al primo ministro poteri straordinari, come l'autorizzazione a sospendere le elezioni e le leggi vigenti fino alla fine dell'emergenza.
La Nuova Bussola Quotidiana ha chiesto a monsignor Fülöp Kocsis, arcivescovo metropolita della Chiesa Greco Cattolica nazionale, di raccontare ai nostri lettori come il popolo magiaro – e in particolare la comunità cattolica di rito bizantino – ha vissuto i momenti più drammatici della pandemia mondiale.

Monsignor Kocsis, lei ha detto che se “per coloro che non contano sul Signore Dio, questa epidemia è solo un fenomeno fisico, per una persona religiosa una situazione del genere può spingere la porta della coscienza per rendersi conto che deve cambiare la sua vita”. Qual è il modo più corretto per interpretare quello che ci è capitato alla luce della fede?
Quando si riesce a superare una situazione difficile, si tende a guardare con pacatezza a ciò che è accaduto. Più passa il tempo da un evento e più diventa facile valutare se poteva essere meglio agire diversamente e immaginare le eventuali conseguenze positive del comportamento non adottato. La fede ci solleva dall'intensità della caotica vita quotidiana. La fede ci solleva, ci eleva e già nel presente ci rende capaci in un certo modo di allontanarci dalla situazione attuale. Essa, cioè, non ci lascia affogare nelle difficoltà, non lascia che le onde ci travolgano ma ci solleva dai problemi e ci aiuta a vedere più chiaro. E questo non è un metodo meramente psicologico. La fede non solo dona la capacità di vedere ma ci solleva realmente. Perché mediante la fede mi aggrappo a Colui che tutto osserva dall’Alto. In questa situazione è Dio stesso che mi solleva, mi attira a sé, mi fa sedere al suo fianco e mi dà la sua pace divina e infinita. Ma chi può possedere una fede così profonda, grande? Forse, i santi. Noi stessi quanto più viviamo con fede crescente, tanto più sperimentiamo quanto sia veloce e reale questa elevazione. Il panico è l’atteggiamento dell’incredulità: perduta la speranza affondo in tutto ciò che mi circonda. La fede, invece, mi consente di vedere quello che sta per avvenire come un dono di Dio. Si può valutare come dono la pandemia? Sì, con gli occhi della fede. Anche perché ci insegna tantissimo.

Nell'arcidiocesi di Hajdúdorog ha deciso di lasciare aperte le porte delle chiese. Cosa ha provato di fronte alle immagini provenienti dall'Italia dove la polizia ha fatto irruzione ai piedi degli altari per interrompere le Messe e ha multato i fedeli che si recavano in chiesa per dire una preghiera? Anche in Ungheria avete avuto scene simili?
Grazie a Dio, in Ungheria non è capitato niente del genere. Nel rispetto di alcune disposizioni ricevute dal Governo abbiamo dovuto evitare assembramenti di persone, i contatti umani e non avvicinarci al prossimo più di quanto era prescritto. È un dato acclarato che in Ungheria la malattia non ha avuto una diffusione così forte come ad esempio in Italia. Abbiamo ricevuto notizie e immagini orrende ma esse non ci hanno trovato impreparati. Ci dispiace molto per i nostri fratelli italiani, essendo stati i primi colpiti dall’epidemia. Tornando al tema delle chiese: in gran parte dei Paesi esse sono state chiuse. In un primo momento sono stati i nostri fratelli protestanti a chiuderle. In quella circostanza ho pensato che noi cattolici non le avremmo mai chiuse. Poi i vescovi cattolici, uno dopo l’altro, hanno dato le loro disposizioni. In questo processo siamo stati noi greco-cattolici gli ultimi a prendere la decisione di far chiudere le chiese. La Conferenza Episcopale d’Ungheria ha deciso di lasciare ai singoli vescovi diocesani (gerarchi eparchiali) la responsabilità di agire secondo la propria volontà. Io ero incapace di convincermi a far chiudere le chiese. Col passare del tempo sono stato costretto a far chiudere le chiese (greco-cattoliche) di Budapest. All’inizio solo le nostre chiese sono rimaste aperte in quel periodo e i fedeli cattolici di rito latino cominciavano a frequentare le chiese greco-cattoliche. Siamo relativamente pochi nella Capitale, si tratta di una scarsa presenza, solamente 1-2% della popolazione locale. Se cominciavano a frequentare le nostre celebrazioni tutti quelli che desideravano partecipare alla Santa Messa, c'era il rischio che si formassero folle nelle nostre piccole chiese. Siamo stati così costretti a scegliere le trasmissioni on-line. In altre parti d’Ungheria sono rimaste aperte le chiese e abbiamo consigliato ai fedeli di restare a casa. Alcuni hanno obbedito, altri no. Apprezzo entrambi i comportamenti. Nessuno è stato cacciato con la forza. Per noi cristiani d’Oriente la chiesa è molto importante, non ce la facciamo a vivere senza di essa. La chiesa non è solo luogo di assembramenti di persone ma è l’archetipo terrestre del Regno di Dio. Sentiamo il bisogno di stare, di esser presenti in chiesa. Non posso chiudere il Regno di Dio. Devo aggiungere che le disposizioni statali ci hanno reso possibile di frequentare la chiesa. Ad ogni disposizione è stata aggiunta la possibilità e il diritto che le comunità cristiane agissero a giudizio proprio, lo Stato non ci metteva ostacoli. Lo Stato ha accennato al fatto che proprio nelle situazioni difficili, come la pandemia, la gente ha bisogno dell’appoggio spirituale e proprio per questo è stato affidato ai pastori il compito di risolvere la situazione dimostrando obbedienza alle disposizioni statali, ma allo stesso tempo stando al servizio dei fedeli. Per esempio, abbiamo ascoltato le confessioni all’aperto nel cortile delle chiese.

Quali sono state le conseguenze delle misure anti-coronavirus sulle celebrazioni liturgiche dei greco-cattolici? Siete stati più penalizzati rispetto ai cattolici di rito romano?
Non era facile trovare la soluzione giusta. Anche perché la ‘soluzione giusta’ neppure esisteva, esistevano soltanto quella peggiore e quella meno peggiore. Da una parte, come ho già detto, non ci sono stati afflussi eccessivi nelle nostre chiese. E questo è stato un fatto rassicurante che dimostrava come la gente ragionasse con senso di responsabilità. Siamo stati costretti a sospendere la nostra usanza tradizionale di ‘baciare’ le icone. Per noi questo gesto è molto importante, ci teniamo molto ad esprimere anche fisicamente il nostro amore verso Dio e i Santi. Questa sospensione è stata particolarmente dolorosa per il nostro caro santuario mariano, Máriapócs, dove arrivano migliaia di fedeli per poter salutare con il gesto del bacio l’icona miracolosa della Madonna, della Theotokos. Abbiamo dovuto per forza sospendere questa prassi, e con gli occhi lacrimanti abbiamo potuto pregare davanti all’icona della nostra Madre Celeste soltanto da lontano. Ma l’abbiamo accettato. Lei comunque non si è allontanata da noi per niente. Questo l’abbiamo sentito, l’abbiamo sperimentato. L’altra difficoltà significativa, che fa parte integrante del nostro rito orientale, è la Comunione sotto le due specie. Abbiamo dovuto modificare la modalità. Con grande avversione iniziale abbiamo dovuto introdurre la prassi di distribuire la Comunione con tanti cucchiai. Perché secondo la nostra tradizione la Sacra Eucarestia - il Corpo e Sangue di Cristo - viene distribuita dal calice con un cucchiaio liturgico dorato dal sacerdote. Avendo considerato il fatto che l’uso di un unico cucchiaio per la Comunione di tutti poteva risultare fonte di infezione, abbiamo acquistato un gran numero di cucchiai per ogni nostra parrocchia, e li abbiamo sterilizzati dopo ogni Liturgia. Grazie a Dio non c'è stato nessun problema causato da questa prassi. Non si è verificato alcun caso di infezione nelle nostre chiese.

Quali indicazioni ha dato la Chiesa cattolica greca ai fedeli ungheresi? In Italia, ad esempio, ha fatto largamente discutere un documento con cui i tecnici del Governo italiano imponevano ai sacerdoti di utilizzare i guanti per la distribuzione dell'Eucarestia.
Come ho già detto, nei decreti statali viene esplicitamente sottolineato che non c’era intezione di intervenire nelle questioni della prassi ecclesiastica. Questo aspetto è sancito anche dalla Costituzione approvata nel 2011. Ovviamente allora nessuno avrebbe pensato che quel principio potesse riguardare anche casi di pandemia come questo. Comunque prima di disporre le nostre indicazioni per le comunità greco-cattoliche ho consultato i funzionari statali che mi hanno incoraggiato, dicendomi che ”ciò che non è vietato nei decreti, è permesso”.

In Italia si è parlato a lungo dei poteri emergenziali accordati temporaneamente - e revocati dopo due mesi e mezzo - ad Orban per gestire l'epidemia e c'è chi è arrivato a chiedere l'espulsione dell'Ungheria dall'Ue. In che modo gli ungheresi hanno vissuto le critiche di politici e giornali europei sulla legge speciale votata lo scorso 30 marzo dal vostro Parlamento?
Ne ho sentito parlare anch’io. Il Parlamento ungherese, e personalmente Viktor Orbán sono stati accusati di sfruttare la situazione epidemica per impossessarsi di pieni poteri. Questa accusa è completamente infondata. Secondo la mia opinione il Parlamento ha agito con molta attenzione e delicatezza e la trasmissione e la chiarezza delle informazioni è stata continua. All’inizio il primo ministro ha annunciato l'istituzione di, se ricordo bene, dieci commissioni. Queste hanno formulato le necessarie prescrizioni, e hanno sorvegliato la loro attuazione. Tra di esse c'era anche l’esigenza di garantire il più possibile le necessità spirituali del popolo e nello stesso sollecitare una piena consapevolezza della gravità della pandemia. Penso che gli ungheresi siano stati sorprendentemente disciplinati, e questo mi ha colpito, perché non sempre lo siamo stati. L'epidemia in Ungheria ha fatto relativamente poche vittime e ha avuto poche altre conseguenze negative. Suppongo che ciò sia stato possibile anche grazie alle attente prescrizioni e al modo con cui sono state amministrate. Viktor Orbán si è impegnato a ricreare lo stesso numero di posti lavoro che il virus ha fatto perdere. Quindi, ha prestato attenzione anche alle difficoltà economiche causate dal virus nella vita della gente comune. Quando Orbán ha annunciato che le commissioni avrebbero restituito i poteri straordinari, ha aggiunto scherzosamente che da quel momento in poi avrebbe accolto le scuse da parte dei suoi accusatori malfondati.

Secondo lei fa bene il Governo ungherese – e il Parlamento che ha votato in tal senso – a non voler ratificare la Convenzione di Istanbul? Se sì, perché?
Confesso che anch'io ho fatto una campagna contro la firma di questa Convenzione che ritengo vergognosa. Per quelli che la conoscono bene, è chiaro che questa Convenzione non è altro che una propaganda nascosta diretta a promuovere le teorie del gender. In Ungheria la respingiamo completamente. La parte del documento che descrive la protezione e i diritti delle donne è già compresa nella Legge fondamentale d’Ungheria. Queste sono cose naturali. Però noi proteggiamo la famiglia, l'identità sessuale delle donne e degli uomini, la loro sana relazione, in cui la dignità dei due generi è ovviamente uguale. Sì, dignità uguale, ma i generi non sono uguali, e soprattutto non intercambiabili. I bambini con la mentalità sana crescono tra le braccia delle famiglie sane. Oggi questa è l’opinione della maggioranza della nostra società e, grazie a Dio, anche il governo la sostiene.

In Ungheria c'è stata una grande attenzione per gli anziani e si è creato attorno a loro uno “scudo” familiare. Un approccio diverso da quello che si è registrato in altre parti d'Europa dove la maggior parte dei decessi si è registrata nelle case di riposo. Come se lo spiega?
Da un lato, lo attribuisco anche alla disciplina, alle disposizioni appropriate e al rispetto di esse. In campo sanitario io ne so quanto un laico. Infatti, quando ho visto le regole severe imposte a scopo di prevenzione nelle nostre case di cura greco-cattoliche, all’inizio ho pensato che fossero un po’ esagerate. Più tardi, tuttavia, ho capito che era necessaria tutta questa cautela e alla fine sono molto grato di averle adottate. Inoltre, il nostro Servizio Caritativo Greco-cattolico ha preparato anche un film educativo sulla prevenzione del virus che è stato trasmesso in molte altre case di riposo in tutto il Paese. Ma oltre tutto ciò vi è un altro aspetto interessante: le persone anziane che vivono in famiglia, circondate dai bambini, hanno un sistema immunitario più forte. Anche perché in famiglia passano anche le infezioni più piccole e più grandi portate a casa dai bambini, le quali generalmente, una volta superate, rendono l'organismo dei nonni più forte e sano. Per non parlare del loro stato mentale e spirituale, che è molto più allegro, più fiducioso di quello degli anziani che sono circondati solo dai loro stessi coetanei. Durante il comunismo, abbiamo sofferto molto per il tentativo dello Stato che voleva distruggere per forza le famiglie pluriparentali. Distribuirono volutamente gli appartamenti a buon prezzo, nei quali non vi era più spazio per i nonni. Ciò ha causato danni incredibili. L’attuale governo è cristiano e sta ricostruendo l’immagine giusta della famiglia in modo molto consapevole. Fanno una quantità immensa di provvedimenti per le famiglie, sostenendo le famiglie numerose. Forse, anche il fatto che lo stesso primo ministro ha una grande famiglia di 5 figli, gioca un ruolo in questo.