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domenica 10 maggio 2020

La nostra decadenza opulenta? L'Occidente più ottuso la nega

Una bella e profonda riflessione pubblicata da Il Giornale.
Quod Deus perdere vult, dementat prius (Euripide).
Luigi

Mettere la testa sotto la sabbia sulla crisi attuale, come fanno i progressisti a oltranza, ci conduce alla rovina
 21/03/2020 

«Epoca: protestare contro di essa. Lamentarsi che non è più poetica. Chiamarla epoca di transizione, di decadenza». Così scriveva nel Dictionnaire des idées reçues (1881) Gustave Flaubert. E, un trentennio prima, Charles Baudelaire irrideva la parola «decadenza», «una parola troppo comoda usata dai pedagoghi ignoranti, parola vaga dietro la quale si cela la nostra pigrizia».
E con queste due illustri citazioni si potrebbe chiudere la questione di cui dibatte Ross Douhtat, columnist conservatore del New York times nel libro The Decadent Society: How We Became the Victims of Our Own Success (Simon&Schuster), Siamo sempre stati ossessionati dalla decadenza, spiegano i nostri odierni Pangloss, gli Steven Pinker, gli Yuval Harari, e i loro emuli italiani, ma in realtà la società e l'umanità non decadono mai, anzi spingono sempre verso il meglio, e l'oggi è più bello dell'ieri ma non sarà mai bello come il domani.

Non sappiamo se le scene devastanti di questi giorni possano far cambiare idea a quelli, alla Harari, che ritengono l'uomo il nuovo Dio. Probabilmente no, perché il progressismo è un calco povero e misero della religione cristiana, e le religioni, si sa, non sono influenzate da ciò che accade nel mondo. E invece Douthat ha perfettamente ragione: l'Occidente sta decadendo, e tutti noi che vi viviamo, ci muoviamo in un'epoca di declino e di fine. Non hanno tuttavia torto i Pangloss progressisti a scrivere che la cultura occidentale ha spesso ritenuto di essere in decadenza, almeno dai tempi del Rinascimento (si pensi a Machiavelli). Il XVIII secolo e l'illuminismo erano ad esempio ossessionati dal declino, da Montesquieu a Gibbon. Se il modello di decadenza era per loro rappresentato dell'Impero romano, nel XIX secolo l'esempio concreto di come un grande impero possa finire fu preso dalla Cina. Non a caso la prima teoria della decadenza la propose, già nel 1855, un grande viaggiatore in Oriente come il conte Joseph Arthur de Gobineau, nel Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane. La Francia del Secondo impero è in realtà la vera incubatrice del moderno pensiero della decadenza, proprio con i due che abbiamo citato all'inizio, cioè Baudelaire e soprattutto Flaubert: il suo Salambò (1862) è considerato il primo romanzo del decadentismo, come si sarebbe poi chiamata, negli anni successivi al crollo della Francia nella guerra contro la Prussia, la tendenza letteraria ed estetica promossa da Jules Barbey d'Aurevilly e in particolare da Joris-Karl Huysmans. Quell'Huysmans studiato dal personaggio principale del romanzo di Michel Houllebecque, Sottomissione, da considerare il moderno manifesto della decadenza di oggi, almeno quanto A ritroso di Huysmans lo fu per la fine Ottocento. Ora notiamo due elementi: il pensiero della decadenza del XIX secolo temeva che l'Europa facesse la fine della Cina, prima potenza economica mondiale fino al Settecento, poi rapidamente decaduta. Mentre oggi in Cina si chiedono come evitare di fare la fine dell'Occidente. Secondo elemento: la convinzione di essere in decadenza percorreva un Occidente ricco, prospero, «progressivo», alla conquista del mondo. La Parigi «decadente» in cui passeggiava Baudelaire era in realtà la capitale della modernità, così come la Francia fin de siècle macinava tassi di crescita che oggi se li sogna, e cosi pure la Germania guglielmina di Nietzsche, il massimo filosofo della décadence (sia pure per superarla).

Oggi invece, che l'Occidente è in declino economico, pare convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili e che «non siamo mai stati cosi bene». Che è, esattamente, il centro del discorso di Douthat: è il declino economico il primo segno della decadenza, e pensiamo che l'autore scrive nella America trumpiana di generosi tassi di crescita. Ma è una crescita, secondo l'autore, retta su basi fragili e comunque non in grado di produrre una trasformazione della società. Sull'Europa il giudizio di Douthat è ancora più lapidario. L'Unione europea, con l'euro, è l'esempio classico del declino, un «laboratorio di come funziona un sistema decadente», scrive l'editorialista del New York Times. Douthat tuttavia non si limita al dato economico, la decadenza è nella società, sempre più individualizzata, in cui prevale il narcisismo, in cui lo spirito di comunità è quasi scomparso, assieme alla religione. Il timbro più oscuro è secondo l'autore fornito dalla crisi demografica che attanaglia tutto l'Occidente. E la decadenza è nella cultura: uno dei segni più chiari del declino è la ripetitività, e lo stesso postmoderno o post postmodernismo, come si dice oggi, con il suo citazionismo, altri non sarebbe che un'estetica della decadenza. Fin qui niente che, in parte, già Gobineau, Nietzsche o Oswald Spengler non avessero scritto, solo che ora la profezia pare si stia realizzando. Ma a metà del libro, Douthat compie una mossa del cavallo e ci spiega che in realtà la vita in decadenza non sarebbe poi così male, come dimostrano imperi declinanti del passato, da quello romano a quello bizantino a quello astro-ungarico. Si muore, ma lentamente e nel lusso, nell'agio e con la pancia piena.

Tanto è vero che i barbari (nel modello occidentale di decadenza a un certo punto dovrebbero arrivare loro a «rigenerare») non pare abbia nessuna intenzione di sconvolgere questo mondo; e Douthat reca l'esempio dell'islam interno, che sembra essersi facilmente adattato agli agi occidentali. E qui crolla la pars construens del giornalista americano, che finisce involontariamente per diventare panglossiano anche lui. L'Islam adagiato di cui scrive Douthat sarà quello americano, quello «europeo » non sembra proprio essere cosi, e lo invitiamo a un giro nelle periferie inglesi, francesi, belghe, svedesi e anche italiane. Poi c'è un invitato che manca alla tavola di Douthat, la Cina.

Proprio quella Cina, il cui declino nell'Ottocento fece nascere in Occidente il pensiero della decadenza, rischia oggi di essere, per molte élite occidentali e non solo, un esempio per la rinascita dell'Occidente. Che sarebbe un po' meno occidente, certo, ma sempre meglio che morire. E infine, la pandemia. Il libro è assai recente ma non abbastanza per avere preso in considerazione la crisi Covid-19. Che certo, non colpisce solo società in decadenza, anzi è nato proprio in Cina (bene specificarlo). Ma sulle società occidentali in decadenza rischia di svolgere un effetto di acceleratore della crisi e di distruzione di un ordine. Non dimentichiamo che molte volte nella storia le epidemie hanno portato alla tomba non solo migliaia di persone ma un sistema sociale (certamente la Morte nera del XIV secolo con il Medioevo). E che nelle società in decadenza il tempo sembra scorrere lentamente ma poi a un certo punto accelera, e i contemporanei, abituati alla mollezza dei costumi, neppure se ne rendono conto.

In fondo, ancora poco prima che i Turchi arrivassero a Costantinopoli, nel 1453, vi si banchettava allegramente. Ma in meno di due mesi Maometto II sfondò le mura, decimando l'intera popolazione.

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