di Enrico Salvi.
Il fatto è che nel momento in cui nasciamo in questo mondo entriamo nella bolla dell’ignoranza, vale a dire in una dimensione in cui la Vita, di per se stessa, s’impone quale Mistero. “Venire alla luce” è una frase stupenda e suggestiva, ma, occorre dirlo, significa soprattutto entrare nella bolla dell’ignoranza in cui regna il buio.
Il Mistero (dal verbo mýein “chiudere, serrare”) è ciò che si ignora poiché sigillato nella sua trascendenza, di fronte alla quale la facoltà discriminante della mente umana, per quanto geniale, resta del tutto all’oscuro e impotente. È di fede (ma oggi più che mai evidente!) che fu il peccato originale a provocare la caduta nella bolla dell’ignoranza, nella quale l’umanità dovette iniziare la sua esistenza mortale e conflittuale data la preclusione a mangiare dell’albero della Vita: «Dio scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della Vita (Genesi 3, 24). Dalla Luce dell’Eden all’oscurità della bolla dell’ignoranza.
La Vita di per se stessa, cioè nella sua semplice immediatezza, ci si presenta – adesso – e ci possiede – adesso – prima di ogni ermeneutica: nessun intreccio di concetti può davvero spiegare la Vita così come essa ci anima, ed anzi la occulta rivestendola e appesantendola di sostanza concettuale. L’ermeneutica, cioè l’interpretazione, cerca di tradurre in termini intelligibili qualcosa di oscuro, nascosto, non chiaro, ma nessuna traduzione, proprio perché tale, potrà mai cogliere immediatamente la Vita in se stessa, e dovrà limitarsi a dirne qualcosa che, per quanto sottile e penetrante, resterà conchiusa nel suo vano tentativo. Tradurre, da trans al di là e ducere condurre, significa far passare un’opera da una lingua in un’altra, ma la Vita non è una lingua e quindi, a rigore, parlarne e scriverne non ha alcun senso. Ovvero: il pensiero non può cogliere la Vita in se stessa, ragion per cui, se l’anima, o, se si vuole, la coscienza, deve unirsi immediatamente alla Vita, esso deve estinguersi nel SILENTIUM.
Del resto noi non viviamo perché pensiamo e parliamo bensì pensiamo e parliamo perché viviamo. «Penso dunque sono» è un abbaglio, dato che per pensare occorre prima essere, cioè posseduti dalla Vita: «Sono dunque penso». Ed anzi qualcuno direbbe: «Non penso dunque sono», come a dire: «Il pensiero mi distrae dall’essere». Possiamo vivere senza pensare e parlare (anche se difficilissimo!), ma non possiamo pensare e parlare senza vivere. La Vita precede il pensiero. Le interpretazioni concernenti la Vita sono come vestiti cuciti intorno a nessun corpo e quindi essenzialmente inutili. L’analisi non può cogliere la sintesi, come nessuna parola può catturare la Luce.
La Vita è il Soggetto Unico che misteriosamente ci possiede, non un oggetto che possediamo. Dire “la mia vita” è improprio. Nessuno è proprietario della vita, sia della propria che degli altri. La Vita è il Mistero che ci possiede perché ci trascende, è oltre la portata della nostra piccola mente umana, e per questo la nostra vita non può mai dirsi davvero nostra. Prima di essere nostra, la vita è della Vita. Non siamo noi a prendere la Vita e a lasciarla, è Lei che ci prende e ci lascia, o sembra lasciarci, quando vuole: questo è ciò che possiamo onestamente constatare dall’interno della bolla dell’ignoranza. Dice la Vita: «Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?» (Matteo 6,27). Dice «per quanto si affanni», ossia per quanto sia dia a speculare, definire, interpretare, ma anche, in riferimento allo scientismo, all’analizzare, allo scomporre, allo scoprire.
La Vita non ha nessun proprietario ed è causa sui: «Io sono la Vita» (Giovanni 14, 6) e solo la Vita può decidere di Sé: «Io do la mia vita per riprenderla di nuovo … Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Giovanni 10, 17-18). Pertanto, lo si nota per inciso, l’aborto e l’eutanasia sono due diaboliche macchinazioni concepite dalla piccola e malata mente umana, perversamente paludata di “umanità” e perfino di “amore”, che si arroga il diritto di decidere quando e a chi togliere la Vita, e per di più con metodi ripugnanti.
Noi siamo vivi indipendentemente da ogni ermeneutica e nonostante ogni ermeneutica. Anzi le interpretazioni sono delle aggiunte irrimediabilmente successive alla Vita e facilmente aggravano l’ignoranza poiché, con il loro incessante scorrere oggettivante e complicato, ci distraggono dalla semplicità della Vita che ci possiede immediatamente, adesso, e a Sua totale discrezione. L’infante, il bambino che non parla, è vivo: semplicemente la Vita lo anima prima dei concetti e delle parole, prima di ogni intrigo parolaio, prima di ogni indagine, analisi e scoperta.
Se restiamo nel SILENTIUM, ovvero se torniamo bambini, come esorta la Luce della Vita penetrante nella bolla dell’ignoranza ed inafferrabile da ogni ermeneutica, ci accorgiamo di essere immediatamente vivi, cioè senza la mediazione ingombrante di qualsivoglia interpretazione. Dice infatti la Vita: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli» (Matteo 18, 3): quindi, per evadere dalla bolla dell’ignoranza ed entrare nel Regno dei cieli non serve l’ermeneutica, non serve la cultura, non serve essere filosofi, teologi e scienziati, non serve essere colti, non servono raffinate esegesi, non serve una sequela infinita di spaccamenti di capello in quattro, non serve un oceano di concetti e parole in cui il bambino, crescendo, viene indotto a smarrirsi. No: serve il convertirsi in bambini. Nel SILENTIUM il bambino, il parvulus, l’innocente, è già tutt’uno con il Mistero della Vita perché la sua coscienza non è oberata dal rumore di alcun sapere concettuale (quindi analitico e perciò dispersivo). Nessun arzigogolo di pensieri e parole si frappone fra lui e la Vita, e, vale la pena di ripeterlo, ancora nessuna rumorosa valanga di informazioni lo travolge per “emanciparlo”, per “formare la sua coscienza”. Ci troviamo così di fronte a due antitetiche ignoranze: quella condizionante che impera nella bolla oscura e chiassosa in cui l’uomo nasce e si smarrisce, e quella silente e santa dell’uomo tornato bambino grazie alla quale egli conosce (quindi è) se stesso ed è unito immediatamente alla Vita.
Oltretutto, nulla nel Vangelo ci dice che la giovanissima Fanciulla di Nazareth fosse una sorta di teologa dedita all’esegesi minuziosa e acuta della Sacra Scrittura, eppure tale ignoranza non Le impedì di concepire la Vita nel SILENTIUM della sua modesta stanzetta, segno inequivocabile che l’ignoranza può benissimo combaciare con la santità più eccelsa.
E, ancora, «La liturgia natalizia contiene questi due versetti del libro della Sapienza: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte giungeva a metà del suo rapido corso, l’onnipotente tua Parola si lanciò dal cielo, dal tuo trono regale”. Queste parole parlano del mistero dell’incarnazione e il silenzio infinito, che vi opera dentro, trova in esse la più felice espressione. Le cose grandi maturano nel silenzio […]. Le forze che non fanno strepito sono quelle che realmente valgono» (Romano Guardini).
E senza dimenticare il SILENTIUM che imperava nella Grotta di Betlemme ed osservato dai Magi. I Magi erano dei saggi, e dovevano saperla lunga se ebbero la grazia e la capacità di riconoscere la Stella che li guidò, e tuttavia, davanti alla Vita, dimenticarono tutto il loro sapere e «prostratisi lo adorarono» (Matteo 2, 11). E infatti l’adorazione, che è ciò che conta (ed oggi quasi del tutto obliata) esige non il sapere, non la cultura, non l’esegesi, bensì il SILENTIUM. Di fronte al Divino Bambino, i Magi si fecero essi stessi bambini: nell’adorarLo trovarono la Verità: «Io sono la Verità» (Giovanni 14, 6), esattamente come La trovarono gli incolti e santamente ignoranti Pastori.
Nel SILENTIUM coscienza e Vita coincidono, quindi è soltanto esso che può farci evadere dalla bolla dell’ignoranza, nella quale, invece, le interpretazioni ci trattengono. Discutere per ore e ore per “illustrare” questo o quello, scrivere o leggere fiumi di parole per “approfondire” questo o quello, non ci fa avvicinare di un millimetro al Mistero della Vita ed anzi ce ne allontana; Mistero che proprio in quanto tale non può essere interpretato ma soltanto accettato, senza la pretesa fallita in partenza di ridurlo alla portata della piccola mente umana in preda al suo agitarsi confusionario e inconcludente.
Il SILENTIUM è … silenzio, e la parola “silenzio” è un segnale acustico che, seppur prezioso, mentre lo indica ce lo nasconde, ed anzi ce lo nasconde proprio perché ce lo indica. Fintantoché cercheremo e prenderemo in considerazione le interpretazioni, quali che siano, inerenti il Mistero della Vita, cioè del nostro vivere, non faremo altro che infrangere il silenzio e consolidare il nostro permanere nella bolla dell’ignoranza, nella quale fluttua la sterminata, burrascosa e ambigua mole di scritti filosofici e teologici prodotta attraverso i secoli, e che costituisce la prova dell’arrovellamento mentale che da sempre affligge l’uomo circa l’impossibile individuazione, da parte della piccola mente umana, del Mistero della Vita; bolla dell’ignoranza nella quale fluttuano anche le secolari, immense produzioni scientifiche, non esenti da contraddizioni reciproche e testimonianti il progredire verso una conoscenza che mai potrà evaderne: procedere, come fa la scienza, nello scandaglio dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, non fa che confermare la permanenza della scienza stessa nella bolla dell’ignoranza, e ciò per la semplice ragione che l’indagare illusorio nei confronti dell’Infinito (altro nome della Vita) soffre del limite irriducibile implicito nel suo metodo di ricerca: in nessun caso la piccola mente umana può afferrare e quindi ridurre ai propri angusti modi e limiti il Mistero della Vita.
D’altra parte, l’istinto insopprimibile nel conquistare nuove mète nello spazio non testimonia forse nell’uomo un inconscio desiderio di ritorno all’Eden? Ma come potrà egli farvi ritorno continuando a mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male? Come potrà ritornare nel Regno di Dio se non cesserà di farsi dio? E dove potrà trovare tale Regno seppur fosse in grado di esplorare l’immensità delle galassie? Come potrà, insomma, trovare il minuscolo Granello di senape che è nel suo cuore se il suo cuore si dissipa nello spazio delle esplorazioni esteriori?
Né la piccola mente umana né alcuno strumento, per quanto perfezionato e perfezionabile, potranno mai cogliere la Vita in se stessa, posto che ogni strumento è concepito e opera nella bolla dell’ignoranza che resta il suo invalicabile recinto di azione, o, dovremmo dire, di prometeica agitazione. La ricerche filosofiche, teologiche e scientifiche circa il Mistero della Vita, possono progredire soltanto per oggettivazione e analisi, e l’analisi, che produce una conoscenza tanto più lontana dal Mistero della Vita quanto più minuziosamente accumulata, è metodo diametralmente opposto alla sintesi che è propria del Mistero, che può essere avvicinato soltanto nel SILENTIUM, immediatamente vissuto e al più enunciato (con il minor numero possibile di parole), e senza che l’enunciazione ne possa minimamente svelare la sintesi essenziale che è oltre il limitatissimo raggio d’azione della piccola mente umana e del linguaggio.
Nel SILENTIUM il Mistero è accettato e quindi immediatamente vissuto. La Vita, come già notato, e causa sui. Nulla può darsi oltre la Vita. C’è solo la Vita da cui nasce ogni vita, mentre la morte quale negazione della Vita può essere concepita soltanto dalla piccola mente umana rinchiusa nella bolla dell’ignoranza. La piccola mente umana paventa e crede nella morte e, forse proprio perché ci crede, prima o poi incappa nella morte. Mai la piccola mente umana potrà penetrare il Mistero dell’«Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine» (Ap. 22, 13), poiché essa, nonostante i simboli del Cerchio e della Sfera glielo rivelino, non può che ghiacciarsi nel dualismo concettuale e quindi irriducibile di “alfa” e “omega”, “primo” e “ultimo”, “inizio” e “fine”, smarrendosi nelle innumerevoli, complicate e disomogenee vie ermeneutiche ed esegetiche, irrimediabilmente soffocate dalla congerie di affermazioni, negazioni ed aporie.
Sennonché, così proclama la Vita: «Le mie vie non sono le vostre vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, le mie vie sovrastano le vostre vie» (Isaia 55, 8-9). Sono parole sconvolgenti e salutari: cos’è la terra rispetto al cielo? E cos’è la mente umana rispetto alla (inconcepibile) Mente di Dio? E tuttavia, come l’immenso cielo contiene la minuscola terra così la Mente di Dio contiene la piccola mente umana, la quale, se sfiduciasse se stessa e rimanesse in SILENTIUM, troverebbe la Via: «Io sono la Via» (Giovanni 14, 6).
E allora, come gli ignoranti Pastori ed i sapienti Magi: SILENTIUM, VENITE, ADOREMUS!
Il ' silenzio' ci permette di ascoltare il Maestro interiore di agostiniana memoria. " Non uscire da te, rientra in te; nell'uomo interiore abita la Verità".
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