Il prof. Peter Kwasniewski ci invia, in anteprima per l'Italia, la traduzione del primo capitolo del suo libro Nobile Bellezza, Trascendente Santità: perché il Mondo Moderno ha bisogno della Messa di Sempre. Mentre lo ringraziamo di cuore per averci regalato una tale primizia, che siamo lietissimi di presentare ai nostri lettori, segnaliamo agli amici anglofoni che l'edizione in lingua originale del volume, con prefazione di Martin Mosebach, è disponibile su Amazon.
Perché la nuova evangelizzazione ha bisogno della Messa Tradizionale:
Oltre il lungo inverno del razionalismo
Mi si permetta di incominciare con alcuni fatti. La partecipazione dei Cattolici alla Santa Messa ha conosciuto un costante declino – si potrebbe anche parlare di una caduta libera – a partire grosso modo dal 1965, anno in cui si è incominciato a mutare profondamente la maniera plurisecolare di dire Messa. D'altra parte, invece, da quando papa Giovanni Paolo
II nel 1984 ha per la prima volta richiesto ai vescovi di concedere generosamente ai sacerdoti la possibilità di celebrare secondo l'usus antiquior– secondo cioè la forma antica del Rito Romano – e specialmente a partire dal 2007, anno in cui il motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI ha soppresso le ultime tracce di restrizione, la quantità di Messe in latino disponibili ai fedeli ha conosciuto un costante aumento, così come anche il numero di sacerdoti disposti a celebrarle ed il numero dei fedeli che vi prendono parte. Stando ai dati disponibili per il 2013, oltre 1000 sacerdoti in America del Nord hanno completato un corso per imparare a celebrare secondo il Rito Romano classico. Nel 1988 vi erano, in tutti gli Stati Uniti, soltanto circa 20 luoghi nei quali era possibile trovare una Messa tradizionale domenicale; nel 2013, quasi 500. In risposta ad una ovvia richiesta da parte degli studenti, delle facoltà e dei suoi collaboratori, molti colleges ed università cattoliche offrono oggi, tra le diverse funzioni religiose, anche la forma straordinaria. Alcuni ordini religiosi hanno integrato l'usus antiquiornella propria pratica di vita, o addirittura l'hanno adottato in maniera esclusiva – ed ora, come risultato, sperimentano una crescita esponenziale nelle vocazioni. L'età media dei Cattolici che frequentano parrocchie o cappellanie che offrono la Messa tradizionale è inferiore alla media nazionale americana e, per converso, le famiglie ivi presenti sono più numerose della norma. Si tratta di un movimento giovane, vibrante, fiorente ed in crescita, come d'altronde faceva notare papa Benedetto XVI nel 2007:
II nel 1984 ha per la prima volta richiesto ai vescovi di concedere generosamente ai sacerdoti la possibilità di celebrare secondo l'usus antiquior– secondo cioè la forma antica del Rito Romano – e specialmente a partire dal 2007, anno in cui il motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI ha soppresso le ultime tracce di restrizione, la quantità di Messe in latino disponibili ai fedeli ha conosciuto un costante aumento, così come anche il numero di sacerdoti disposti a celebrarle ed il numero dei fedeli che vi prendono parte. Stando ai dati disponibili per il 2013, oltre 1000 sacerdoti in America del Nord hanno completato un corso per imparare a celebrare secondo il Rito Romano classico. Nel 1988 vi erano, in tutti gli Stati Uniti, soltanto circa 20 luoghi nei quali era possibile trovare una Messa tradizionale domenicale; nel 2013, quasi 500. In risposta ad una ovvia richiesta da parte degli studenti, delle facoltà e dei suoi collaboratori, molti colleges ed università cattoliche offrono oggi, tra le diverse funzioni religiose, anche la forma straordinaria. Alcuni ordini religiosi hanno integrato l'usus antiquiornella propria pratica di vita, o addirittura l'hanno adottato in maniera esclusiva – ed ora, come risultato, sperimentano una crescita esponenziale nelle vocazioni. L'età media dei Cattolici che frequentano parrocchie o cappellanie che offrono la Messa tradizionale è inferiore alla media nazionale americana e, per converso, le famiglie ivi presenti sono più numerose della norma. Si tratta di un movimento giovane, vibrante, fiorente ed in crescita, come d'altronde faceva notare papa Benedetto XVI nel 2007:
Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia.
Il Cardinale Antonio Cañizares Llovera ha scritto in maniera simile nel 2003, quando ancora era Prefetto della Congregazione per il Culto Divino:
Il motu proprio [Summorum Pontificum] ha generato un fenomeno per molti sorprendente. Si tratta di un vero e proprio “segno dei tempi”: l'interesse che la Forma Straordinaria del Rito Romano suscita specie tra i giovani che non lo hanno mai sperimentato come forma ordinaria; manifestazione di una sete per “linguaggi” che non siano “la solita solfa”, ma che anzi invitano a nuovi e, per molti pastori, inattesi orizzonti. L'apertura del patrimonio liturgico della Chiesa a tutti i fedeli ha reso possibile a chi non le conosceva la scoperta di tutte le ricchezze di questo patrimonio; e proprio tra costoro vengono sollecitate, più che non mai, numerose vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa, in tutto il mondo: gente disposta a donare la propria vita a servizio dell'evangelizzazione.
Per quale ragione tutto ciò? Perché la riforma liturgica degli anni '60 e '70 non è riuscita nell'intento di dar vita ad una nuova primavera nella Chiesa? E, per contro, qual è mai il fascino segreto che la Messa latina antica porta con sé – per quale ragione, o, piuttosto, per quali ragioni assistiamo ad una sorprendente rinascita della Messa tradizionale proprio ai giorni nostri, dal momento che la maggior parte di coloro che la celebrano o vi partecipano è nata dopo il 1970? Ed in che modo si tratta di un fenomeno positivo per la Chiesa e per la nuova evangelizzazione?
Per poter dare una prima risposta a questi quesiti è tuttavia necessario chiederci quale sia il corretto significato della cosiddetta nuova evangelizzazione, ed in che modo la liturgia abbia a che fare con essa. Si potrebbe offrire una buona manciata di definizioni valide, ma ritengo che quella data dal Vescovo Dominique Rey sia particolarmente pregnante:
La nuova evangelizzazione non è un'idea, né tantomeno un programma: è un fermo invito affinché ciascuno di noi arrivi ad una più profonda conoscenza della persona di Cristo e facendo ciò divenga più abile nel condurre altri a Lui. L'unico modo in cui ciò è possibile intraprendere questa strada è tramite la sacra liturgia; e se la liturgia non è come dovrebbe essere, o se io non sono preparato a dovere, l'incontro con Cristo ne sarà impedito, e la nuova evangelizzazione ne soffrirà. (...) La storia dell'evangelizzazione nel corso dei secoli ci mostra come i grandi missionari fossero grandi uomini di preghiera ed in particolare di autentica devozione. Essa ci mostra anche la correlazione tra qualità e profondità della vita liturgica da una parte e il dinamismo apostolico dall'altra. (…) La nuova evangelizzazione deve essere ancorata in un profondo rinnovamento eucaristico e liturgico.
Tra le proposizioni rilasciate dalla XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, tenutasi nell'ottobre 2012, troviamo un alto riconoscimento di queste verità:
La degna celebrazione della sacra liturgia, il più prezioso dono che Dio ci ha dato, è la fonte della più alta espressione della nostra vita in Cristo (cf. Sacrosantum Concilium, 10). Si tratta perciò della principale e più potente espressione della nuova evangelizzazione. Dio desidera manifestare l'incomparabile bellezza del Suo incommensurabile e sconfinato amore per noi attraverso la sacra liturgia e noi, per parte nostra, desideriamo adoperare ciò che è più bello nel nostro culto divino in risposta al Suo dono. Nel meraviglioso scambio della sacra liturgia, per mezzo del quale il cielo discende in terra, la salvezza è a portata di mano; essa invita al pentimento ed alla conversione del cuore (cf. Mt 4,17, Mc 1,15). L'evangelizzazione nella Chiesa esige una liturgia che sollevi i cuori degli uomini e delle donne a Dio. La liturgia non è solo un'azione umana, ma anche un incontro con Dio; un incontro che conduce alla contemplazione di Lui e ad una sempre più profonda amicizia con Lui. In questo senso la liturgia della Chiesa è la miglior scuola della Fede.
A questo punto siamo in grado, facendo uso delle parole del Vescovo Rey e del Sinodo, di formulare una tesi: se la Messa antica aiuta le persone ad arrivare “ad una più profonda conoscenza della persona di Cristo”, se ci aiuta a divenire “grandi uomini di preghiera e di autentica devozione”, se ci fornisce “qualità e profondità” superiori, se è in grado di “manifestare l'incomparabile bellezza” del Signore e “conduce alla contemplazione di Lui e ad una sempre più profonda amicizia con Lui”, allora essa è e continuerà ad essere uno dei principali elementi della nuova evangelizzazione.
Il nuovo incontro con la Messa antica
Se ci rivolgiamo ai fedeli e a quanto essi stessi affermano quando si chiede loro cosa li ha colpiti della Messa tradizionale la prima volta che vi hanno assistito – usando insomma un approccio sperimentale ed induttivo –, ne ricaveremo un notevole aiuto per la nostra ricerca. Testimonianze personali sono più che abbondanti; e noi vogliamo incominciare con quelle di alcuni giovani:
Prestavo maggiore attenzione a quanto il sacerdote faceva – cosa che mi sorprese. Il fatto che lui ci desse le spalle fu per me una ventata di freschezza: mi piaceva il fatto che lui fosse uno di noi, rivolto a Dio, uno che ci rappresentava. (...) L'odore dell'incenso, l'inginocchiarsi per ricevere la Comunione, l'indossare il velo, la preghiera silenziosa, (...) tutto, tutti rivolti a Dio, con riverenza ed umiltà, ed io che non ero distratta dal sacerdote o dai ministranti.
E qui un'altra esperienza:
Si trattò di una Messa cantata. Tutto quanto avevo conosciuto [prima] erano Messe folk, con gente che cantava “Kumbaya”, e perciò la prima cosa che mi colpì di questa Messa fu la sua serietà. (...) Ero semplicemente stupefatto dalla solennità dei fedeli e del sacerdote. (...) Per la prima volta sentii di essere veramente concentrato sulla Messa. (...) La cosa che mi piace più di tutto è il silenzio. (...) È un'opportunità per meditare e contemplare. Mi piace immaginarmi ai piedi della Croce.
E ancora una terza reazione:
È stato qui [ad Oxford] che ho fatto per la prima volta l'esperienza della Messa in latino. Fu una Messa solenne, forse la più bella esperienza che abbia mai avuto. Per quanto ora io conosca la liturgia, comprenda ciò che avviene sull'altare e conosca le risposte in latino, quel giorno felice a Oxford ho potuto, nella mia ignoranza, sperimentare la Messa come un bambino cieco la sperimenta – immaginavo angeli cantare dall'alto, ed ero troppo imbarazzato in quel luogo a me estraneo per girare la testa e gettare uno sguardo sulla cantoria. (...) Il "vecchio rito" porta con sé un'incomparabile solennità.
Una studentessa dell'università francescana di Steubenville, Mary Bonadies, racconta della propria esperienza come membro del coro nella prima Messa in forma straordinaria cui ha preso parte:
Si aprì un nuovo mondo per me. Alla fine della liturgia scoppiai in lacrime: non avevo mai sperimentato tanta bellezza.
Una giovane coppia che si stava preparando per il matrimonio nella chiesa di S. Valpurga a Preston, in Inghilterra, ha affermato a proposito del proprio cammino:
Noi, il mio fidanzato ed io, venendo da un ambiente ateistico, siamo stati attratti dalla fede cattolica durante quest'ultimo anno grazie alla bellezza della forma straordinaria della Messa. Siamo stati come trascinati dalla musica liturgica, dalla tradizione, dalla riverenza di ognuno dei presenti. Ne è scaturita una curiosità nei confronti della Fede che ci ha infine portati ad entrare nella Chiesa cattolica.
Per dimostrare che queste reazioni non sono limitate ai giovani, ecco ancora due testimonianze da persone anziane:
Rimasi concentrato per tutta la durata del servizio. Mi dava l'impressione di essere molto più spirituale, ed io mi sentii molto più in sintonia con la Messa per il fatto che non era in inglese. Mi diede l'impressione di essere molto più profonda (…); mancavano del tutto lo scambio della pace o altre cose del genere. Tutti noi eravamo concentrati sulla Messa piuttosto che sul sacerdote. Si dà il caso che spesso, a Messa, tutto ruoti attorno alla persona ed al carattere del sacerdote, ma lì non era così. (...) Mi accorsi di ascoltare intensamente. (...) Sentii la Messa come qualcosa di speciale, cosa cui non avevo mai pensato al riguardo in 40 anni.
Feci per caso la conoscenza del santuario dell'Istituto Cristo Re a New Brighton, e con esso della forma straordinaria della Messa. Fui immediatamente trasportato in un nuovo reame. L'evidente spiritualità, il rispetto, la devozione che potei vedere tra la gente ed il clero mi toccò a tal punto che fui come folgorato e compresi immediatamente che avevo trovato ciò che non avevo mai saputo di stare cercando. (...) Che io potessi, per questo stupefacente caso, avere modo di avvicinarmi a Dio per la prima volta in tanti anni, e di entrare con Lui in una relazione molto più profonda di quanto mai avessi creduto possibile, è un qualcosa che solo nella Messa tradizionale potevo trovare.
I fedeli scoprono qualcosa di speciale nella Messa tradizionale in latino, come queste testimonianze in prima persona dimostrano; qualcosa che forse non avrebbero potuto sperimentare o incontrare altrove. Tutti coloro di cui abbiamo letto le testimonianze, pur considerando alcune differenze nell'enfasi o nel vocabolario, sembrano dar voce ad una comune percezione, della quale si possono distinguere tre aspetti. In primo luogo la Messa antica è teocentrica, rivolta a Dio, “verticale”, ed evoca la trascendenza. In secondo luogo essa è cristocentrica, poiché manifesta il sacerdozio di Cristo ed il Suo Sacrificio supremo sul Calvario, e pone in particolare rilievo il fatto che il sacerdote agisce in persona Christi,mentre la sua persona idiosincratica viene messa sullo sfondo. In terzo luogo essa è agiocentrica, dal momento che mette in enfasi la santità del rituale, la pietà e la riverenza che devono caratterizzare il nostro approccio a Dio, che non sono altro che la maniera appropriata di avvicinarsi al tremendo, affascinante mistero che è Dio, con quieto stupore e santo timore, ed un'accresciuta coscienza della propria interiorità – della propria capacità per il raccoglimento, per la meditazione, per la contemplazione.
Per dirla in altre parole, la Messa secondo l'usus antiquiorsegue il grande principio sacramentale per cui si causa ciò che si significa e si significa ciò che si è. In linguaggio scolastico si dice che un sacramento effettua ciò che significa. L'acqua pulisce il corpo dallo sporco; perciò il Battesimo, che serve a lavare via il peccato dall'anima, è compiuto con acqua, e l'acqua, assieme alle parole pronunciate, pulisce veramente l'anima. Allo stesso modo pane e vino nutrono il corpo e portano gioia al cuore dell'uomo; perciò l'Eucaristia, che nutre l'anima di Dio, fonte della nostra gioia, ci viene data sotto le specie del pane e del vino. Dunque, dal momento che il Santo Sacrificio della Messa è veramente il mistero della Fede, una realtà tanto stupefacente e divina che non siamo affatto in grado di abbracciarla con le nostre menti limitate, ma solo possiamo come arrenderci ad essa e lasciarci trasportare, allora questo Sacrificio deve anche manifestarsia noi in questa maniera. Il nostro incontro col Dio trascendente deve apparire, sia ai sensi che ai sentimenti, tanto sacro quanto trascendente. Deve significare quello che è ed essere quello che significa. Giovanni Paolo II ha affermato questa verità con forza:
La celebrazione liturgica è un atto della virtù di religione che, coerentemente con la sua natura, deve caratterizzarsi per un profondo senso del sacro. In essa l’uomo e la comunità devono essere consapevoli di trovarsi in modo speciale dinanzi a Colui che è tre volte santo e trascendente. Di conseguenza l’atteggiamento richiesto non può che essere permeato dalla riverenza e dal senso dello stupore che scaturisce dal sapersi alla presenza della maestà di Dio. (...)[La Messa] ha come scopo primario quello di presentare alla divina Maestà il Sacrificio vivo, puro e santo, offerto sul Calvario una volta per sempre dal Signore Gesù, che si fa presente ogni volta che la Chiesa celebra la Santa Messa per esprimere il culto dovuto a Dio in spirito e verità.
Quando la liturgia compie a dovere il proprio compito, noi veniamo portati all'umiltà durante la Messa, invitati a pregare, incitati a cantare, costretti poi al silenzio, assorti in cose invisibili, spinti a rivolgerci alle profondità interiori dell'anima e, all'esterno, all'assoluto primato di Dio. Queste sono tutte cose che l'usus antiquior fa – e tutto estremamente bene. Al che sorge spontanea una domanda: Perchéesso è così efficace? Come “funziona”?
Una obiezione comune ma fallace
Per poter dare una risposta a questo quesito dobbiamo prendere in considerazione una delle più comuni obiezioni al risorgimento della Messa tradizionale in latino: “È una Messa celebrata in una lingua antica che non viene parlata più da nessuno. In diversi momenti è molto silenziosa, tanto che non si può sentire quello che il prete dice. Le cerimonie sono complesse, difficili da seguire. I canti sono in uno stile strano, che non ha niente in comune con la cultura popolare odierna. Per tutte queste ragioni l'uomo moderno ha difficoltà a familiarizzare con la Messa antica e a penetrarla. La Messa era diventata, all'altezza del Concilio Vaticano II, inaccessibile al popolo, ed era perciò necessario tradurla nel vernacolo, semplificarla, renderla adatta ai modi moderni di pensare ed agire”.
Questa è un'obiezione che si sente assai di frequente; essa serve anche da giustificazione per la maggior parte dei cambiamenti introdotti. Gli autori del Rito Romano moderno, influenzati da un pensiero razionalistico, hanno fatto di tutto per rendere la liturgia più intelligibile, trasparente ed accessibile (secondo il loro modo di vedere) – e tutto ciò ha, per somma ironia, tremendamente diminuito il potere della liturgia di trasmettere e comunicare il mistero del Dio Eterno ed Infinito, ed i misteri di Cristo nella Sua divina umanità. La “misteriosità” della Messa – secondo quello che quasi tutti hanno potuto osservare negli ultimi cinquant'anni, chi prima e chi poi – è evaporata. Non si tratta di un problema di second'ordine, ma anzi di un problema che concerne l'essenza e la ragione stessa della liturgia in qualità di culto divino. “Senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb. 11,6). E, secondo le parole di mons. Ronald Knox: “La fede è il primo dovere del Cristiano, ed il mistero è il cibo della fede”.
La questione fondamentale della nostra esistenza è il fatto che noi abbiamo bisogno di Dio – non un dio da noi prodotto, che risponde alle nostre categorie mentali, ma un Dio che trascende tutto quanto noi possiamo mai pensare o immaginare. La liturgia deve introdurci a questoDio, il Dio vero, in modo che noi possiamo saziare il nostro bisogno di Lui. “Tu mi hai toccato”, dice S. Agostino, “ed arsi di desiderio della Tua pace”. Se la liturgia ci deve portare dinanzi alla presenza reale del mistero sovrano di Dio, cui è possibile accedere tramite la sola Fede, essa dovrà allora, in nome di Dio, esigere molto da noi; fedele alla logica della Croce, essa ci testerà come oro al fuoco, per vedere se siamo degni, e per renderci via via meno indegni. Il credente ha bisogno, per il proprio stesso bene, di una liturgia densa, elusiva ed affascinante. Lo “spessore” della liturgia antica esprime al meglio i misteri della Fede; esso, inoltre, li inculca anche meglio; i diversi strati di preghiera, simbolismo, cerimonie, canti, pur nella loro apparente estraneità, sono in grado di parlare più direttamente all'anima e di provocare una risposta interiore. E questa risposta interiore è l'elemento primariodi una partecipazione attiva (actuosa participatio) – la più caratteristica attività dell'uomo. Se la risposta interiore è vivamente presente, avrà bisogno di ben poco per esprimersi esteriormente, anche se spesso ne beneficerà. Quando questa, invece, manchi, tutte le azioni ed i gesti esteriori non riusciranno a fornire un sostituto.
Trasparenza ed opacità
Le liturgie tradizionali, sia d'Oriente che d'Occidente, possiedono una certa intrinseca densità di contenuto e significato che richiede da noi una risposta, che pure non sarà mai completamente adeguata, soddisfacente od esauriente: sempre potremmo pregare meglio, e sempre veniamo come sorpassati dalla realtà. Non toccheremo mai il fondo, al punto da poter scrollare le spalle e dire: “Beh, non male; ed ora, cosa viene?” Una liturgia che, per contro, tenti di essere totalmente “intellegibile”, tanto da non possedere alcuna opacità, impenetrabilità o alterità, è mal adatta all'essere umano in quanto essere intellettuale, e si dimostra tutt'altro che accattivante. Essa non offre all'uomo niente su cui egli possa affondare i denti; delude le sue più alte facoltà, ed anche alle sue facoltà inferiori offre poco esercizio.
La realtà è ben diversa da quanto i riformatori della liturgia credevano. Per essi la liturgia avrebbe dovuto essere trasparente, di modo che ci si potesse vedere attraverso. Un'assoluta trasparenza equivale tuttavia ad un'assoluta invisibilità. Una finestra perfettamente pulita e chiara è una finestra contro cui gli uccelli vanno a sbattere e morire, proprio perché essa ha cessato di essere evidente in quantofinestra, cioè come una paradossale barriera che purtuttavia permette il passaggio della luce. Noi non abbiamo, in questa vita, pieno possesso della luce divina, che tuttavia ci purifica, illumina ed unifica attraverso le preghiere, le cerimonie ed i simboli della liturgia. A voler comparare la liturgia ad una finestra, si tratterà allora di una vetrata, i cui colori e forme, così come le storie rappresentatevi, i misteri evocativi, costituiscono ad un tempo ciò che viene visto e ciò attraverso cui la luce viene vista.
Cristo appare in mezzo a noi per il tramite della liturgia. È allora di vitale importanza che noi prendiamo la liturgia sul serio, per poter sperimentare in maniera palpabile la Sua fisicalità, la Sua resistenza alla nostra pressione e la Sua alterità – tutto ciò proprio come condizione per la nostra unione con Lui. Non è possibile sposare un'idea o un concetto, ma solo è possibile sposare una persona in carne ed ossa, altra da sé. La pre-condizione per l'unità è l'alterità. Ecco perché è estremamente pericoloso per noi esseri umani ritenerci i creatori o riformatori della liturgia, ed agire di conseguenza – sia che ciò avvenga prima o dopo la venuta di Cristo.
Parlando del vitello d'oro, la colpa collettiva del popolo di Israele, paragonabile alla caduta di Adamo, così si esprime Joseph Ratzinger:
Il popolo non può sostenere il Dio misterioso, remoto ed invisibile, ma Lo fa scendere al proprio livello, riducendoLo a ciò che è evidente e comprensibile. In questo modo il culto non è più un salire verso di Lui, ma un tirare giù Dio, facendolo entrare nella dimensione propria dell'uomo. Dio dovrà allora esserci quando ce n'è bisogno, e dovrà essere il tipo di dio di cui si ha bisogno. L'uomo usa Dio ed in verità, anche se ciò non appare evidente, si pone al di sopra di Dio. Tutto ciò ci offre una chiave per affrontare un secondo punto. Il culto del vitello d'oro è un culto che si è generato da sé. Nel momento in cui Mosé rimane assente troppo a lungo e Dio, così, diventa inaccessibile, il popolo semplicemente se Lo riprende a forza. Il culto diviene allora una festa che la comunità celebra in proprio onore, un festival di autoaffermazione. Invece di una celebrazione di Dio, il culto si trasforma in un circolo chiuso in se stesso: mangiare, bere, far festa. (…) Ed ecco che la liturgia diviene qualcosa di insensato, un gioco, uno scherzo. O, peggio ancora, essa si trasforma in apostasia dal Dio vivente, un'apostasia sotto specie sacre.
Nella misura in cui noi pensiamo ed agiamo in maniera simile, corriamo il serio rischio di correre ad abbracciarci a vicenda piuttosto che di incontrare Cristo, di specchiarci in una pozza, proprio come Narciso, ed innamorarci della nostra stessa immagine riflessa. Non si può rimanere veramente obbedienti a qualcosa che si è istituito da se stessi, poiché questo proviene dalla propria stessa volontà e rimane perciò nella propria sfera di potere. L'insegnante non risponde docilmente a se stesso, così come il re non è sottomesso alla propria volontà. Secondo quanto Ratzinger afferma costantemente, la vera liturgia giunge a noi tramite la corrente della tradizione, che ci impone la nostra posizione relativa, ci plasma secondo la sua stessa forma e ci forma secondo il proprio spirito – lo spirito della Chiesa nel suo intero, non di un comitato particolare, e neanche di un papa in particolare.
Una porta per il Sacro
Ecco un altro esempio. Una porta è un qualcosa di utile, in quanto ci permette di transitare da uno spazio ad un altro, pur mantenendo esterno l'esteriore ed interno l'interiore. E perciò una porta può ben essere ignorata, se non si tiene conto della sua funzionalità: non siamo soliti soffermarci a considerare le porte comuni, quelle di cui facciamo uso ogni giorno, tra casa e lavoro. Si può ben dire che rivolgiamo loro un'attenzione solo periferica, e cioè quanto basta per passare attraverso di esse, meccanicamente.
Ma in almeno due circostanze la nostra esperienza con una porta sarà differente. Innanzitutto se stiamo andando in un qualche posto importante per la prima volta – l'ufficio di una persona di rilievo come un vescovo o un presidente, o la casa della famiglia del fidanzato o della fidanzata. Questaporta può essere molto intimidatoria, dal momento che rappresenta qualcosa per noi: una barriera, una soglia, una prova, un punto di non ritorno. Una tale porta sembra possedere una personalità propria: essa ci mette alla prova, ci sfida ad entrare, magari ci sussurra che non siamo ancora pronti, che faremmo bene a tornare indietro. Questa porta diventa qualcosa di piùche non una porta; è il simbolo dell'ignoto, il segno di una persona sconosciuta. Un'altra occasione si avrà invece quando noi ci troviamo di fronte ad una porta od un portale imponente, riccamente e minuziosamente decorato, come quelli che si trovano nelle grandi cattedrali e persino in molte umili chiese dei tempi che furono. Proviamo a vedere cosa vi sia di particolare in questo caso. La porta, in origine un oggetto dal carattere puramente utilitario, è divenuta una realtà a sé stante: si tratta di nient'altro che di Cristo, laporta, il portale, l'ingresso. La porta è allora qualcosa di più che non una semplice porta; è un qualcosa pregno di significato, qualcosa di bello in sé. In modo magnifico ed al contempo inconsueto, non è più una cosa attraversocui passiamo, ma qualcosa che facciamo nostro mentre l'attraversiamo, qualcosa a cui ci abbandoniamo nel momento in cui essa ci riceve. Se, come nei grandi ingressi delle chiese medievali, l'immagine di Cristo è scolpita o incisa sul portale, Egli ci abbraccia e noi abbracciamo Lui. Qui è divenuto impossibile dire che la porta non è nient'altro che una porta. Si tratta di un segno e di una realtà che trascende la propria utilità, così come un vero amico non è solo utile, bensì anche piacevole e virtuoso.
In che modo tutto ciò ha a che fare con la liturgia? La liturgia non è solamente un mezzo rivolto ad un fine, bensì un fine in sé e per sé: un segno ed una realtà che, come il portale di una chiesa, vuole e richiede che le prestiamo devotamente attenzione e che, nel momento in cui la attraversiamo, diretti verso la Gerusalemme Celeste, ci arrendiamo al suo linguaggio. Quando passiamo attraverso la liturgia, non la lasciamo alle nostre spalle, né ce ne dimentichiamo, e ancor meno la denigriamo; no, noi la facciamo nostra, ed essa ugualmente si impossessa di noi. La seguente considerazione può anche sembrare una semplice fantasia, però possiamo benissimo rappresentarci la Chiesa, nella sua interezza, come un'unica grande porta per il Paradiso e, in questo senso, noi non terminiamo mai di passare attraverso questa porta, poiché la stiamo attraversando costantemente. A proposito della liturgia vale la stessa considerazione, ed è per questa ragione che anche la liturgia, come gli splendidi, antichi portali delle chiese, dovrebbe essere imponente, riccamente e minuziosamente decorata. Essa non cerca di “togliersi di mezzo”, ma piuttosto di mettersi in mezzo, poiché essa è il mezzo, la via. Non è un caso, secondo me, che noi siamo soliti dire “andiamo a Messa”, come se l'obiettivo del nostro andare fosse la Messa. In effetti è proprio vero: noi dovremmo andare alla Messae, una volta che ci troviamo a Messa, essere congiunti ai misteri che essa porta con sé e comunica. Essa non deve essere trasparente, se vuole servire come mezzo per l'unione con Dio. Inteso in questo modo, il portale di una chiesa è come una vetrata, e la liturgia a sua volta è paragonabile ad entrambe queste cose – non come una porta moderna e minimalistica di fattura industriale, né come il vetro piano di una finestra senza alcuna particolarità.
L'espressione “guardareattraversoqualcosa” si usa per indicare la scoperta di come quel qualcosa sia vuoto, o di come si tratti di un'impostura. Se siamo in grado di “vedere attraverso” la liturgia, se essa non pone tra sé e noi segni e simboli, come la vetrata o il grande portone, significa che cessiamo di contemplarla; incominciamo allora a darla per scontato, e ben presto saremo noiad occupare il centro della scena, come nell'analisi che Ratzinger fa riguardo il vitello d'oro. Nel vuoto che ne segue sentiamo allora la necessità di inventare qualcosa di creativo per tenere occupati noi stessi e l'uditorio; o altrimenti abbiamo il bisogno di sottolineare con forza le emozioni, dal momento che non siamo avvolti nella pienezza e nello spessore della liturgia tradizionale, che è teocentrica. Allora il messaggio comunicatoci da testi e cerimonie unidimensionali appare superficiale. Che poi esso sia superficiale o no è un altro discorso; quel che conta è il modoin cui viene trasmesso: “il mediumè il messaggio”. La reazione naturale dell'essere umano dinanzi alla superficialità in occasioni in cui è invece richiesta serietà è di tentare di suscitare o introdurre più contenuto, più significato, più sentimento, più serietà. Proprio in situazioni del genere ci troviamo a contatto con un assalto di pratiche estranee alla liturgia, come ad esempio l'improvvisazione cronica, letture secolari, danze liturgiche, musica pop o rock, luci speciali, installazioni video e tutta una pseudo-simbologia (come in certi matrimoni in cui si sperimentano bizzarrie come la pseudo-cerimonia dell'unione della sabbia), il tutto inframezzato a mezzi più o meno invasivi volti a suscitare una partecipazione attiva. Nessuna di queste esagerazioni sarebbe necessaria se la liturgia facesse bene il proprio lavoro, e portasse i fedeli alla presenza di Dio, aiutandoli poi a rimanervi.
Certo come il fatto che la notte segue il giorno, questi riempitivi di spazi vuoti e morti non sono in grado di intrattenere la gente. La gente se ne andrà via, magari per non tornare mai più. Ai pianificatori ed attivisti della liturgia, pieni di buone speranze eppure disorientati, si possono applicare le parole della Bibbia: “Restate confusi, contadini, alzate lamenti, vignaioli, per il grano e per l'orzo, perché il raccolto dei campi è perduto” (Gioele 1,11). Non avrebbe mai dovuto essere il nostroraccolto, lavoro delle nostremani, bensì quello del Signore, secondo i Suoi tempi e la Sua maniera – la maniera della tradizione. Egli permette, nella Sua giustizia, che noi siamo privati di quei frutti che ci eravamo audacemente ripromessi. Questa è la tragica conseguenza che segue al mancato rispetto nei confronti dello splendore, dell'estraneità e unicità della liturgia tràdita, ed al tentativo di spingerla verso categorie più familiari, nondimeno estranee alla liturgia stessa.
Accessibilità ed elusività
Consideriamo poi la questione della noia. Non è difficile comprendere come un'assoluta accessibilità porti al tedio. Una delle ragioni per cui l'uomo occidentale è così infelice al giorno d'oggi è il fatto che egli ha troppo di tutto – e tutto troppo facilmente accessibile. Siamo immersi in cibo e bevande, pieni di vestiti, e viviamo nel comfort; stimoli sessuali sono onnipresenti in maniera soffocante; siamo in grado di arrivare alla nostra destinazione velocemente ed agevolmente, ma senza sapere in realtà dove stiamo andando, né perché. Per cosa dobbiamo batterci, in cosa dobbiamo riporre le nostre speranze, per cosa dobbiamo soffrire, per cosa sacrificarci? Il valore dei nostri obiettivi decresce in proporzione alla loro trivialità ed alla facilità con cui essi sono raggiungibili. L'uomo moderno ha forse un Altro trascendente cui possa abbandonarsi, una preda elusiva ed affascinante, che lo sproni ad avvicinarsi, e sempre sia proprio dietro l'angolo eppure mai a portata di mano? No. Tutt'altro, l'uomo moderno è intrappolato nel quotidiano, nel pedestre (o, potremmo anche dire, nell'automobilistico), nel prevedibile, nell'infinita eccitazione e soddisfazione di necessità finite. Tutto è estremamente gravoso. Non sorprende allora che la noia cronica sia diventata un'epidemia psicologica. Assistiamo a quel che avviene quando una creatura, creata da un'idea eterna, destinata all'eternità, creata dall'Infinito per l'infinito, si sia legata per mezzo di catene a ciò che è finito e temporaneo.
Quali sono le implicazioni liturgiche di queste considerazioni? Una liturgia che voglia essere fedele a Dio e fedele all'uomo, in quanto essere creato ad immagine di Dio, non può essere del tutto “accessibile” – il tentativo di renderla tale non porterà infine ad altro che ad una sua degradazione. A voler rendere la liturgia ovvia, facile e semplice, avviene che essa cessa di essere liturgia. Se essa diventa proporzionata all'uomo nel suo carattere di essere temporale e finito, essa diverrà anche, nella stessa misura, sproporzionata a Dio e all'anima intellettiva ed immortale dell'uomo, creata ad immagine di Dio. Questo principio riguarda ogniaspetto della liturgia.
La musica sacra, ad esempio, non dovrebbe accentuare né la temporalità per mezzo di un forte battito regolare, né la finitudine tramite frasi melodiche accattivanti e semplicistiche. Il canto gregoriano è adatto in modo stupefacente alla liturgia e serve inoltre come modello supremo della musica sacra proprio per il fatto che manca della camicia di forza di un metro accentuato, e per il suo ritmo fluttuante ed aggraziato, per le sue sinuose melodie, intimamente congiunte alle parole nell'unione di una sola carne, perché abbandona le prevedibili costanti di questo mondo e ci trasporta nel regno celeste, nel mondo della bellezza soprannaturale. Le vesti indossate dai ministri nondevono far pensare a dei panni di poliestere che potrebbero essere usati come tende appese ad un'asta in una casa progettata da Frank Lloyd Wright. I paramenti liturgici dovrebbero invece, coi loro ricchi colori e simboli ricamati, col loro splendore, distinti da tutto quanto è comune, arrivare al limite di ciò che delle vesti possono rappresentare – segni della veste invisibile della bellezza della Grazia santificante. I vasi sacri posti sull'altare del Sacrificio dovrebbero essere fatti di metalli preziosi e splendenti, il calice dovrebbe essere ornato di gemme, di incisioni, filigrane e tutto ciò che lo metta in risalto come “questo glorioso calice” che il Signore prende nelle Sue mani sante e venerabili per riempirlo del Suo preziosissimo Sangue, “del quale una sola goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato” (“cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere”). Tutto ciò che fa parte della liturgia deve manifestare sacre, trascendenti, sante, belle, nobili offerte di amore e ringraziamento.
Si sente talora dire che la perdita di tutti questi tesori evocatori del mistero sia semplicemente stata il risultato di una sfortunata serie di incomprensioni, un rimestamento ostile della lettera del Concilio Vaticano II, unito all'interferenza della cultura degli anni '60 e '70, tutte cose che avrebbero impedito il successo nell'esecuzione del nascente Novus Ordo. Simili tentativi, ben intenzionati, di diffondere la colpa del disastro liturgico non corrispondono purtroppo alla dura realtà storica. Gli ingegneri della novità sapevano bene cosa volevano; di rado le loro menti o le loro mani furono trattenute dalla riverenza verso i riti allora esistenti; la loro ricerca di una liturgia moderna e razionale abbracciò ogni aspetto e fu spietata. La visione di fondo venne eloquentemente espressa in una lettera pastorale del 1958 da nient'altro che Giovanni Battista Montini, l'allora Arcivescovo di Milano e futuro Paolo VI:
Il latino non è l'unico ostacolo [alla partecipazione dell'uomo moderno]. Le difficoltà sorgono specie dalla maniera in cui la liturgia esprime la preghiera della Chiesa ed i sacri misterii. La varietà delle sue forme, la progressione drammatica dei suoi riti, il linguaggio dal modo ieratico, l'uso costante di segni e simboli, la profondità teologica delle parole e delle azioni che vi vengono realizzate – tutto sembra cospirare per impedire la comprensione della liturgia, specie per l'uomo moderno, uso com'è a tutto ridurre fino ad una massima intellegibilità. (…) [I fedeli] si troveranno esclusi dai suoi interiori precinti spirituali, mentre per converso la cultura odierna li ha abituati a tutto comprendere e sapere di ogni cosa che li circonda e di cui si interessano. Dobbiamo trasformare le difficoltà presentateci dalla liturgia in un aiuto alla penetrazione del senso nascosto che il culto cattolico contiene.
Tutte le aperture pastorali di Montini si basavano sulla convinzione che le circostanze moderne necessitassero una radicale semplificazione delle espressioni esteriori della Fede, cosa che avrebbe richiesto lo strappo di interi strati di cultura accumulata, alla stessa maniera di chi raschia ruggine e cirripedi dalla carena di una nave. Secondo le parole di Henry Sire:
Nella sua lettera pastorale per la Quaresima del 1962, il Cardinale Montini presentò ai fedeli milanesi quella che egli riteneva essere la nuova direzione del cattolicesimo, indicata dal suo amico Giovanni XXIII: “[La Chiesa] vedrà di 'aggiornarsi' spogliandosi, se occorre, di qualche vecchio mantello regale rimasto sulle sue spalle sovrane, per rivestirsi di più semplici forme reclamate dal gusto moderno”.
G. K. Chesterton aveva già fornito la risposta ad una simile deriva: “[Il cattolicesimo] è l'unica cosa in grado di liberare l'uomo dalla degradante schiavitù costituita dall'essere figlio del proprio tempo”. “Noi non vogliamo una Chiesa che si muove col mondo, come dicono i giornali. Noi vogliamo una Chiesa che muova il mondo”. Robert Speaight, che inizialmente supportò entusiasticamente il Concilio Vaticano II, echeggia G. K. Chesterton nella propria sobria considerazione della situazione della Chiesa nel 1970:
Eravamo spinti dal desiderio di sacralizzare il mondo, non di secolarizzare la Chiesa. Può darsi che volessimo rendere l'altare più semplice, per quanto ci interessassimo di queste cose; certo non volevamo sostituirlo con una tavola da cucina. Il latino della Messa non solo era familiare, ma anche numinoso, e non avevamo alcun desiderio di barattarlo con un vernacolare che ha giustificato le nostre peggiori paure. Non volevamo che i preti si vestissero come i parrocchiani – come neanche avremmo potuto volere che i giudici si vestissero come i giurati. Eravamo anti-modernisti e forse, eccettuate questioni di estetica, anti-modernes; eravamo radicali solo nel senso che volevamo scendere fino alle radici, non nel senso che volevamo estirparle. Ci preoccupavamo di preservare i valori di una civiltà antica piuttosto che di intraprendere la costruzione di una nuova.
Le civiltà antiche da cui sono emerse le liturgie tradizionali della Chiesa non furono né primitive né semplicistiche; esse, anzi, tendevano all'intricato ed al lussureggiante in arte, al grandioso in architettura, ad una notevole profondità di pensiero che si esprimeva nel paradosso e nella poesia. Non a caso è da queste culture che il Signore ha generato la Sacra Scrittura e la sostanza della Sacra Tradizione. A proposito delle “innumerevoli oscurità ed ambiguità” della Scrittura S. Agostino ha notato come la Divina Provvidenza abbia permesso che il testo fosse, in alcuni passaggi, “denso ed oscuro (…), in modo tale da domare l'orgoglio per il tramite di una dura fatica e preservare l'intelligenza dalla noia, poiché essa, di norma, tiene per vile ciò può investigare con facilità”. S. Agostino nota come la Scrittura preferisca esprimersi in una maniera poetica o per parabole piuttosto che non in un semplice linguaggio esplicativo, e che noi stessi proviamo più diletto ad ascoltare e mandare a memoria una poesia che non una lezione. Il grande santo poi adorna le precedenti considerazioni come segue: “Magnifica e salutare è la maniera in cui lo Spirito Santo ha modellato le Sacre Scritture, di modo che esse ovviassero alla fame nei passaggi più chiari, e scacciassero la noia nei più oscuri”.
Lo stesso ragionamento deve essere applicato alla liturgia e, per certo, alla nostra Fede nel suo intero. Spesso sentiamo ripetere che la nostra religione deve essere “moderna”, incontrarci lì dove siamo, rispondere ai quesiti della modernità. Certo, la vera religione deve essere rilevante e deve offrire reali risposte ai nostri reali problemi. Ma, in un senso più profondo, la vera religione deve spesso essere irrilevante, tanto da frustrarci, e questo perché essa è immutabilmente vera, dal momento che ha a che fare col Dio trascendente, l'Eterno e l'Infinito, completamente al di là rispetto a noi ed alla nostra persona ferita dal peccato. Un segno della verità della religione è che essa ci sembra estranea; e noi allora, dinanzi ad essa, saremo degli estranei, straniati da questa realtà ultima – disperatamente bisognosi di salvezza, affinché noi siamo fattinuovi e siamo salvati dal nostro tempo, dalla nostra epoca, dalla nostra chiusura in noi stessi. Cristo è venuto nel mondo non per fondersi col mondo, ma per aprirlo, per spalancarlo al divino, lavorandone la materia in una nuova maniera, traendone i Suoi capolavori di Grazie, come un vasaio prepara i suoi vasi a partire dalla densa argilla, lavorandola continuamente per poterla distruggere e ricreare. Il mondo, così com'è, e noi coi nostri problemi siamo così piccoli in confronto a Lui, e Lui è così stranamente bello, aldilà di tutte le nostre dotte elucubrazioni. La religione non è una forma di deismo terapeutico, né un corso di auto-aiuto.
Mi si permetta, ora, di presentare in estrema sintesi la mia posizione contro il razionalismo liturgico. Una liturgia che sia totalmente intelligibile è irrilevante, dal momento che non richiede da noi la tranquilla fatica della risposta più intima e piena che possiamo dare, coi nostri sensi, la nostra immaginazione, la nostra memoria, intelligenza, volontà. Una liturgia del tutto trasparente è invisibile e perciò viene anche ignorata, dal momento che non richiama la nostra attenzione a quel preciso momento e luogo in cui il Dio invisibile diventa visibile in segni e simboli ultraterreni, così come nelle vetrate la luce si trasforma in una narrazione. Una liturgia del tutto accessibile è noiosa, dal momento che è troppo facile. Dio, come ci insegnano i mistici, è il nostro sovrano Amante, ed Egli corteggia l'umanità in una lunga, fragile corte. Noi, in risposta, Lo inseguiamo con sospiri, gemiti, pianti, sempre sulle Sue tracce, catturando qua e là uno sguardo che incendia i nostri cuori. Se abbiamo una pur minima idea di ciò che stiamo facendo, non vi sarà niente che sia troppo immediato, niente di facile o di noioso in essa: la liturgia è come un corteggiamento lungo una vita, un eccitante inseguimento, la scoperta di un nuovo mondo di cui non siamo i conquistatori bensì i vinti; la liturgia è la nostra festa nuziale, anticipata eppure, in qualche modo, già presente. Tutte queste metafore esprimono tanto poco la realtà da tendere i limiti del linguaggio, da cozzare eppure fondersi. Anche questo dovrebbe far parte di ciò che sperimentiamo nella liturgia: essa è un mistero che tende i limiti del nostro linguaggio, dei nostri pensieri e sentimenti, che ci invita ad andare “sempre più in alto e sempre più addentro”.
Le liturgie tradizionali orientali ed occidentali esprimono e soddisfanno questi bisogni umani nella misura più perfetta. Esse non sono facilmente intelligibili, bensì opache e disposte su più strati; abbracciano l'intero cosmo, sono ricche di paradossi, proclamano l'ineffabile Sacrificio divino; non sono trasparenti, ma, come uno jubéo una iconostasi, si ergono dinanzi a noi e tra di noi, mediando la Luce inavvicinabile; esse non sono facilmente accessibili, ma laboriose, in quanto richiedono disciplina, vogliono la nostra conversione a qualcosa di oggettivo e che si trova aldilà di noi, a noi precedente e superiore, quel qualcosa di normativo per noi. Una liturgia tradizionale dètta i termini del nostro rapporto con essa; non siamo noi a dirle come essa debba essere o cosa debba fare. Per il tramite di tutti questi mezzi le grandi liturgie della tradizione cristiana (la Messa di S. Gregorio codificata da S. Pio V, il Rito Ambrosiano, il Rito Mozarabico, le Liturgie Divine di S. Giovanni Crisostomo o di S. Basilio) sono doni supremi elargiti in terra da Dio alla Sua Chiesa, attraverso i quali la nostra intima necessità di Dio viene incitata e soddisfatta, ed il misterioso “desiderio” di Dio per l'uomo scende su di noi e richiede da noi la risposta che Eglidesidera, una risposta semplice come Lui e complessa come noi.
È ben facile allora riconoscere la tragica pecca di una frase come la seguente: “Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative”. In primo luogo si tratta, semplicemente, di una constatazione errata: numerosissime sono le persone toccate dalle antiche tradizione, le quali, una volta reintrodotte, affascinano in maniera novella, da cui scaturisce una crescita spirituale. Ad un livello più profondo, tuttavia, le pratiche e forme tradizionali parlano a noi, ci risvegliano, ci nutrono proprio perchéesse non sono moderne, non sono “la solita solfa”. È il loro spirito radicalmente differente che cattura la nostra attenzione e la fissa sulla “estraneità” di Dio, sul Suo primato assoluto, sulla Sua bellezza soprannaturale, che sarà la nostra gioia imperitura il giorno in cui questa vita mortale sarà trascorsa.
Semplicità e complessità, rivisitate
In precedenza ho accennato al pericolo della semplicità ed all'attrazione della complessità; è tuttavia necessario essere più precisi, dal momento che esiste tanto una buona semplicità quanto una cattiva, così come pure vi sono una buona ed una cattiva complessità. Se, da come le cose vengono fatte, si è in grado di comprendere immediatamente che la Messa è un'azione sacrificale, nella quale il nostro Signore e Dio è presente affinché noi lo adoriamo, allora ci troveremo dinanzi ad una buona semplicità – qualcosa che anche il più piccolo dei bambini può percepire, di cui il più anziano tra i presenti può ancora estasiarsi, poiché si tratta veramente di uno stupefacente miracolo. Se, per contro, si crede che la Messa sia una sorta di gruppo di studio biblico con annessa Comunione, si può ben dire che si è stati esposti ad una cattiva semplificazione della Messa. Allo stesso modo, se ci si immerge e inebria un poco nella ricchezza della Messa, quando essa invade tutti i nostri sensi e pensieri, si sarà incontrata una buona complessità – nessuna analisi può infatti mai rendere giustizia alla Messa. Ma se durante di essa avvengono un sacco di cose disgiunte l'una dall'altra che distraggono, tanto che si riesce a stento a pregaree non si vede l'ora di uscire, allora si tratterà di una cattiva complessità.
La chiave che ci permette queste distinzioni va ricercata, nuovamente, nella differenza tra razionalismo, secondo il quale tutto si abbassa al nostro livello, e misticismo, per cui tutto viene elevato al divino. Il razionalismo tenta di esprimere l'intera realtà in linguaggio, in modo da poterla controllare; esso tenta di catturare il mistero trascendente tramite formule funzionali, e sproloquia senza fine, come se si potesse creare un'immagine dell'eternità per il semplice fatto di parlarne sufficientemente a lungo. La liturgia antica è ben più sapiente: il sacerdote prega presso l'altare, ed in primo luogo si rivolge a Dio in nome di tutti; la scholacanta antifone e salmi; l'incenso sale, i campanelli suonano; il popolo segue col messale o prega il Rosario, canta il Credo, o, semplicemente, osserva e lascia che l'anima sia guidata dalle immagini, dai suoni, dai moti – tutti sono uniti vicendevolmente dalla complessa semplicità, dalla semplice complessità dei divini misteri, che sono sempre ben aldilà delle nostre persone, eppure presenti proprio dinanzi a noi, in noi, ad un tempo trascendenti ed immanenti.
Molti cattolici sono però al giorno d'oggi assaliti da una semplicità semplicistica (la banalità di un attivismo umano, troppo umano, inetto, che richiama il mercato) combinata ad una complessa complessità (dal momento che il linguaggio, specie quando tenta di spiegare se stesso, può costituire una distrazione ed un muro che impedisce di acquisire il significato intrinseco di ciò che si vuole esprimere). Ed ecco che allora la prassi liturgica moderna restaura l'inintelligibilità con una troppo grande insistenza sull'intelligibile. La verbosità sopprime il Verbo ineffabile; “indisciplinati squadroni di emozioni” rannuvolano la luce divinizzante. Non sarà mai possibile ridurre la complessità ad una semplicità estetica e spirituale – contro le intenzioni dei riformatori del Rito (“semplificare, semplificare”). Ratzinger mette il dito nella piaga a proposito di questo problema:
Possiamo riconoscere sempre più chiaramente il tremendo impoverimento che sorge nel momento in cui si vuole fare a meno della bellezza, per dedicarsi esclusivamente a “ciò che è utile”. L'esperienza ha mostrato come il ricorso al principio dell’ “intelligibilità per tutti” come unico criterio non ha affatto reso le liturgie più intelligibili ed aperte, ma solo più povere. Una liturgia “semplice” non è una liturgia povera o di poco valore: vi è una semplicità del banale ed una semplicità che invece proviene da una ricchezza spirituale, culturale e storica.
O, secondo quanto osserva Dom Mark Kirby:
Vi è una religiosità fredda, razionale, nel suo insieme troppo “matura”, che però non è in grado di rivolgersi ai bisogni del cuore. Fredda, cerebrale, essa è estranea al Vangelo poiché è tanto lontana da ciò di cui i bambini hanno bisogno e che essi intendono. In molti luoghi si è assistito negli ultimi 50 anni ad un nuovo moto iconoclastico, una religione elitista priva di calore, una religione spoglia di immagini, priva di quei segni sacri che sono in grado di entrare fino in fondo a quei punti dell'uomo in cui il discorso, da sé, non può penetrare.
La liturgia classica è già semplice in una maniera ben profonda, una maniera che comprende una complessità di linguaggio, immagini, gesti, canto, silenzio; essa è semplice come un animale è semplice, nonostante l'inconcepibile moltitudine delle parti, poiché è un singolo, olistico corpo, articolato ed organico, un centro unitario di azione e passione.
La nuova evangelizzazione
Quanto detto può sembrare altamente speculativo, ma porta con sé conseguenze pratiche fondamentali per la vita e la missione quotidiana della Chiesa nel mondo moderno. “Il modo in cui si tratta la liturgia è decisivo per le sorti della Fede e della Chiesa”, disse l'allora Cardinale Ratzinger. L'umanesimo, il razionalismo, l'archeologismo, l'utilitarismo, il modernismo, assieme a tutti gli altri ismi sulla base dei quali i riformatori hanno compiuto la propria opera tra gli anni '60 e '70, hanno prodotto una liturgia inadeguata alla propria stessa essenza teologica, non all'altezza della propria vocazione mistico-ascetica, estraniata dalla propria eredità culturale. Questa liturgia moderna, nella maniera in cui è comunemente celebrata e vissuta oggigiorno, riflette ed inculca una visione antropocentrica del culto, una visione spiritualmente dannosa, dal momento che devia dal culto evidentemente teocentrico, cristocentrico ed agiocentrico tramandato dalla tradizione. E questo continuerà, a sua volta, ad indebolire la coerenza interiore della Chiesa, a deturpare la bellezza esteriore del suo volto, eliminare la sua fedeltà dottrinale, limitare l'estensione e l'intensità della sua santità e diminuire l'efficacia dei suoi sforzi missionari. Così infatti si lamenta il Cardinale Burke:
Se la sacra liturgia viene celebrata in una maniera antropocentrica ed orizzontale, nella quale non è più evidente il fatto che si tratta di un atto divino, essa diverrà niente più che un'attività sociale, da potersi relativizzare come qualsiasi altra cosa – essa non ha allora nessun impatto durevole nella vita delle persone.
Per contro, col recupero dei riti liturgici tradizionali e della loro spiritualità, grazie al fatto che essi occupano uno spazio sempre maggiore nelle vite dei fedeli sarà possibile – nella misura in cui questo recupero avviene – invertire il danno degli ultimi cinquant'anni, generare fortezza per le persecuzioni future, nonché alimentare e rilasciare straordinarie energie per l'evangelizzazione.
Il Vescovo Athanasius Schneider ha espresso con eloquenza le vere priorità della Chiesa al giorno d'oggi:
Soltanto sulla base dell'adorazione e glorificazione di Dio la Chiesa può proclamare adeguatamente parole di verità, può cioè evangelizzare. (...) Tutto nella liturgia della Santa Messa deve perciò servire ad esprimere chiaramente la realtà del Sacrificio di Cristo, e cioè le preghiere di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di impetrazione che l'eterno Sommo Sacerdote presenta al Padre. (...) Come possiamo noi chiamare gli altri alla conversione se nessuna convincente conversione a Dio, interiore o esteriore, è avvenuta tra noi, coloro che chiamano alla conversione?
Il Vescovo Dominique Rey, citato all'inizio del presente capitolo, ha ben espresso questo concetto: “Desidero affermare con grande chiarezza che la nuova evangelizzazione deve essere fondata su di una fedele e feconda celebrazione della sacra liturgia, come ci è stata data dalla Chiesa nella sua tradizione, sia occidentale che orientale”.
Si tratta di una buona notizia: Dio, che per primo ci ha amato, ci ha fatto dono, in differenti tradizioni, di ottime vie per risponderGli nell'amore – una cosa che ci è possibile, ma solo per Lui, con Lui ed in Lui. Questo è il grande dono della sacra liturgia. Questa è la ragione per cui la riscoperta della Messa tradizionale in latino, con tutte le sue qualità specifiche, è di vitale importanza siaper la re-evangelizzazione dei cattolici cheper l'apostolato nei confronti dei non-credenti: essa è di centrale importanza per la buona novella che intendiamo condividere, ed è, di per sé, un potente mezzo di conversione, senza il quale corriamo il pericolo di parlare dellabuona novella piuttosto che iniziare le persone in essa, in una viva comunione con Cristo.
Proviamo a immaginare il problema in questa maniera: un ateo entra, per curiosità, in una chiesa. Cosa vi troverà? Sarà scosso dal proprio autocompiacimento dallo “schoc della bellezza”? O, ancora, una ragazza protestante si chiede cosa mai sia la Messa cattolica e, una domenica, decide di assistervi. Sarà forse sopraffatta dal confronto con la maestà e col mistero di Cristo nel Suo santo santuario, da questo contatto esistenziale con una sacralità non diluita? È triste dire che, se questo ateo o questa donna protestante capitano in una chiesa cattolica qualsiasi, essi corrono il serio pericolo di essere respinti dalla banalità o di doversi chiedersi, disorientati, come una religione possa sopravvivere una simile agonia. O immaginiamoci ancora che abbiamo condiviso la parola di verità con il nostro vicino, che con l'aiuto di Dio abbiamo nuovamente attizzato una scintilla di fede in un cattolico allontanatosi dalla fede, o che abbiamo incominciato un dialogo promettente con un non-credente. Ma a condividere cosa, in fondo, li stiamo invitando? La nostra fede è molto più che non la fede in un libro o in un insieme di proposizioni, molto di più che non un piano di vita o un insieme di contatti sociali. Noi desideriamo che partecipino della vera vita in Gesù Cristo, il Verbo fatto carne; noi vogliamo che essi ammirino la gloria dell'unigenito Figlio di Dio, pieno di grazia e verità; noi vogliamo che essi sperimentino“i divini, santi, immacolati, immortali, celesti, vivificanti e straordinari misteri di Cristo”. Dove, come potrà avvenire ciò? Siamo in grado di invitarli a qualcosa di veramente magnifico, che veramente li appaga? Qualcosa che possa incendiare i loro cuori, elevare le loro menti fino al cielo, così come accade a noi? Se la liturgia non è come dovrebbe essere, allora l'evangelizzazione non ha nessun vero, serio obiettivo.
E allora?
Mons. Ignacio Barreiro ha scritto queste parole che spingono alla riflessione:
Solo l'uomo con delle radici ha un futuro. Buona parte dei problemi dell'uomo moderno risiede nel fatto che, avendo troncato le proprie radici nel passato, egli non è più in grado di proiettarsi nel futuro. L'uomo privo di un patrimonio ereditario di referenze non è neppure in grado di comprendere l'epoca in cui vive. Il tentativo di raggiungere la libertà attraverso la fuga dal fardello della tradizione risulta, di norma, in una nuova schiavitú, l'asservimento ad un presente caotico.
Eppure anche queste parole portano speranza, se solo siamo disposti a prenderle sul serio. “Solo l'uomo con delle radici ha un futuro”: dobbiamo riconquistare le nostre radici, tornare in armonia con esse, per poter portare molto frutto.
Il fatto che i prìncipi della Chiesa abbiano creato o permesso una situazione tanto disastrosa come quella che oggi ci circonda da ogni lato è un fatto evidentemente allarmante. Noi però ci renderemmo colpevoli di grande ingenuità se non volessimo riconoscere quanta confusione abbia afflitto la Chiesa in certi momenti del suo pellegrinaggio lungo 2000 anni: il tradimento dei vescovi durante la crisi ariana; la decadenza morale del papato nei Secoli Bui; la mondanità della Roma rinascimentale coi suoi pontefici principeschi; gli errori giganteschi compiuti durante la rivolta protestante; la resa alle seduzioni dell'illuminismo. Tutti questi cruciali episodi nella storia della Chiesa ci mostrano quanta ignoranza, quanti errori, quanti peccati Dio permette, in modo da testare i santi.
Grande confusione è possibile perfino tra i credenti, come possiamo vedere nel ben noto episodio riportato dagli Atti degli Apostoli, in cui S. Paolo interroga un gruppo di discepoli ad Efeso: “Avete ricevuto lo Spitiro Santo quando siete venuti alla fede?” Ed essi gli risposero: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”. Chiunque abbia predicato loro la Buona Novella, è ben chiaro, non ha offerto una catechesi granché accurata. Lo stesso vale anche per i nostri giorni: “Avete ricevuto la Santa Tradizione quando siete venuti alla fede?” “No, neppure abbiamo mai sentito dire che esista qualcosa come una tradizione cattolica – nessuno ce ne ha parlato. Non sapevamo ci fosse una grandiosa e ricca, solenne e pia forma della Messa precedente il Concilio Vaticano II. Nessuno ce l'ha mai neppure mostrata”. Còmpito degli apostoli odierni è quello di portare alle persone, credenti o non-credenti, tutte le ricchezze di Cristo e della lunga e fruttuosa vita della Chiesa in Cristo. Non dobbiamo metterci a giudicare l'errore degli ignoranti, ma anzi dobbiamo mostrare loro tanta misericordia amandoli al punto da preoccuparci perché essi sentano, tocchino, gustino, odorino e vedano la bellezza. Proprio come S. Agostino insegna, dobbiamo incominciare con le opere di carità vivendo la carità nei confronti di noi stessi. Noi siamo i poveri ed affamati, gli storpi, i ciechi e sordi, per il cui bene Cristo ha profuso sulla Sua Chiesa ampie riserve di nutrimenti spirituali. È perciò nostro dovere immergerci in queste riserve e, una volta rinforzati dal cibo dei re, dirigere gli altri allo stesso banchetto.
Chi già assiste alla Messa tradizionale in latino dovrebbe aver cura di conoscere meglio la liturgia. Dovremmo, quantomeno di tanto in tanto, seguire la Messa con un messale tascabile: quando si tratta della preghiera vocale o mentale, non è possibile trovare niente di più ricco o degno di essere oggetto di meditazione delle stesse preghiere della Messa, incluse quelle che il sacerdote recita a bassa voce, per sé. Chi conosce principalmente Messa Bassa, dovrà allora avere cura di trovare una Messa Alta o Solenne. Abbiamo bisogno sia della Messa Bassa, con la sua pace, sia della Messa Alta nella sua gloria – esse portano a compimento entrambi gli aspetti del coro degli angeli: “Gloriaa Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontá” – pure va detto che la liturgia romana è pienamente se stessa solo nella pienezza del proprio splendore cerimoniale e musicale. Dovremmo leggere buoni libri sulla Messa. Ci sono grandissimi autori da leggere: Ratzinger, Guardini, Fortescue, Davies, Mosebach, Dobszay, Mahrt, Lang, Reid. Noi che abbiamo ricevuto la Grazia dell'amore per la liturgia non dovremmo mai essere timidi nell'invitare amici e familiari all'usus antiquior, di modo che anch'essi possano venire a conoscenza del tesoro della propria fede.
La nuova evangelizzazione incomincia con la miaconversione e la tua conversione. Come dice l'Arcivescovo Alexander Sample di Portland: “Se veniamo trasformati dalla sacra liturgia, allora anche noi credenti possiamo contribuire a trasformare la cultura”. Mettiamoci allora ai piedi della Messa antica, per imparare da essa, scuola di innumerevoli santi, perché essa possa formare le nostre menti e i nostri cuori, nutrirci, attrezzarci per il lavoro cui Dio ci chiama. La Messa tradizionale in latino ha un potere irreprimibile di rendere Nostro Signore Rex et centrum omnium cordium, re e centro di tutti i cuori. Come ha fatto per tanti secoli, il venerabile culto della Chiesa crea una cultura di vita e di amore, nella quale la Fede cattolica fiorirà di nuovo nel mezzo della nostra terra desolata, la modernità.