Post in evidenza

C'è ancora qualcosa di Cattolico? Il rosario ecologico in Cattedrale a Reggio Calabria

  Si recita il quinto mistero petaloso trattenendo il fiato per diminuire la quantità emessa di CO2. Natalino

domenica 28 aprile 2019

Né ucciso né martire, beatificazione comunista in argentina?


+

"Domani [ieri 27 aprile, l'articolo è del 26 aprile] la Chiesa argentina beatifica per martirio in odium fidei il vescovo Angelelli e i suoi 3 collaboratori. Ma è una beatificazione che divide i fedeli: non ci sono prove che si sia trattato di un omicidio. Un nuovo studio ricostruisce anni di indagini e smonta le tesi del martirio. A cominciare dalla vicinanza del vescovo de La Rioja ai gruppi armati marxisti che fece arrabbiare i fedeli. Si delinea il quadro di una beatificazione politica che non a caso abbraccia la Sinistra e il kirchnerismo."
Una bella inchiesta della Bussola Quotidiana (QUI) a firma dell'amico Andrea Zambrano.
Non è però possibile che, anche nelle beatificazioni di questi tempi, ci possa essere il sospetto di inquinamenti politici neomarxisti.
Dove andremo a finire?
Luigi

PS: vedere sotto la foto di Vatican Insider  del 27 aprile come viene rappresentata la beatificazione, il martire del Concilio:



Andrea Zambrano, 25 e 26 aprile 2019

Contrariamente agli echi che arriveranno in Italia e che lo presentano già come un evento memorabile, la beatificazione del vescovo Enrique Angelelli sta dividendo l’Argentina. È la prova che quello che avverrà nella diocesi argentina di La Rioja il 27 aprile prossimo, alla presenza del prefetto per le cause dei santi, il cardinale Angelo Becciu, non è affatto un evento condiviso né pacificato.
Il messaggio che questa beatificazione vuole lanciare è che la Chiesa in Argentina, durante la dittatura militare, è stata perseguitata in odium fidei. Il nemico sarebbe rappresentato dal regime al potere che governò dittatorialmente tra il 1976 e il 1982. E le vittime sarebbero quei preti e nel caso di Angelelli, un vescovo, che si opposero al regime perché avevano - come recita il claim di questa beatificazione - “un orecchio al Vangelo e uno al popolo”.

Ad essere beatificati in odium fidei infatti non sarà solo Angelelli, che quando morì nel 1976 (ucciso o vittima di un incidente stradale? È il punto decisivo di questa storia) era vescovo titolare di La Rioja, ma anche tre suoi collaboratori, questi invece sicuramente uccisi, anche se i colpevoli non sono mai stati trovati: i sacerdoti Carlos Murias e Gabriel Longueville e il laico Wenceslao Pedernera.

Dopo l’annuncio della beatificazione, la Nuova BQ si è occupata più volte della figura di Angelelli, soprattutto percorrendo due linee critiche emerse in Argentina per bocca di buona parte della società civile e di vescovi (QUI e QUI): la prima puntualizza che le prove dell’omicidio non siano mai state accertate, la seconda è inerente alla figura di Angelelli, che viene accusato di essere un vescovo che percorreva la linea terzomondista della Chiesa, la quale aveva una contiguità con i gruppi sovversivi di estrazione marxista e quindi molto vicina al terrorismo dell’epoca. In estate un gruppo di laici, ex giudici e avvocati ha scritto alla Santa Sede contestando le risultanze giuridIche. Il contesto di questa beatificazione dunque è fortemente divisivo all’interno dello stesso mondo cattolico andino.

A rispondere pubblicamente a queste opposizioni, si è incaricato nell'autunno scorso il portale Vatican Insider con tre articoli che, utilizzando come fonte anche le carte provenienti dal processo di beatificazione, ha smontato le critiche, con lo scopo di promuovere non solo l’assassinio ma anche il martirio in odium fidei: ad esempio, sminuendo la portata della Messa celebrata con alle spalle il manifesto dei Montoneros (considerati innocui come la “Cenerentola della liturgia peronista”), o dando valore ai testimoni - spuntati molti anni dopo - del presunto delitto stradale, resi credibili nell’ultimo giudizio, ma soprattutto presentando due lettere inedite e considerate decisive dalla Congregazione per le cause dei Santi: una è quella del vescovo successore di Angelelli a La Rioja, monsignor Bernardo Witte, nella quale sembra accreditarsi, contrariamente a tutte le sue comunicazioni precedenti, ma anche successive, la tesi dell’omicidio; e la seconda quella che lo stesso Angelelli scrisse al nunzio apostolico Pio Laghi nella quale parlava apertamente di minacce e di temere per la sua stessa vita dopo l’uccisione - attestata, ma impunita - dei suoi collaboratori.

In questi mesi il dibattito è continuato in Argentina ed è facile ipotizzare che anche in questi giorni in cui ci si prepara all’“evento memorabile” si continui con le prese di posizione. Una in particolare, recente e molto argomentata, uscita per ricostruire la storia dimenticata di un “presunto martirio” è ad opera di Maria Lilia Genta. Si tratta di un corposo dossier che cerca di ricostruire sia gli aspetti giudiziali che quelli pastorali di Angelelli, ma che si incarica esplicitamente di rispondere alla ricostruzione di Vatican Insider.

UNA CHIESA CLANDESTINA
Lo studio è molto articolato ed è scritto appunto da Maria Lilia Genta, figlia di Jordan B. Genta, intellettuale e filosofo cattolico argentino che venne ucciso nel 1974 dall’Esercito Rivoluzionario del Popolo. Ebbe la stessa sorte anche Carlos Sacheri, anch’egli filosofo cattolico che venne freddato da una scarica di pallottole all’uscita da Messa con moglie e figli. Il suo omicidio venne rivendicato anche in questo caso dall’ERP. Perché i due vennero uccisi? In una lettera pubblicata nel 1975, gli autori dichiararono di averli uccisi perché “soldati di Cristo Re”. L’attività di Genta si orientava sul versante politico e culturale, quella di Sacheri, studioso di Dottrina sociale della Chiesa, sul versante ecclesiale. È lui che conìo l’espressione Chiesa clandestina. Non si tratta della Chiesa perseguitata dai regimi comunisti, ma al contrario, di quella fetta di clero post conciliare che viveva di terzomondismo, teologia della liberazione e – con la scusa del popolo – sperimentava tutte le storture possibili della dottrina e della morale. Per buona parte della critica argentina sono loro i veri martiri in odio alla fede che andrebbero promossi, come lo stesso vescovo emerito di La Plata, Hector Aguer, ha detto in una conferenza pubblica.

In questo contesto di Chiesa clandestina si inserisce l’opera pastorale di Angelelli. La Genta nel suo studio ricorda ad esempio che i tre collaboratori di Angelelli erano “seriamente compromessi con la predica rivoluzionaria e liberazionista e strettamente legati al peronismo rivoluzionario”. Insomma: Teologia della liberazione e anche della più spinta e “armata”. Anche la loro vicinanza al partito radicale è da inserire in un contesto in cui si appoggiava la guerriglia trotskista rappresentata dallo stesso ERP.

UN OMICIDIO IMPOSSIBILE DA DIMOSTRARE
Circa la Messa di Angelelli con alle spalle il manifesto dei Montoneros, Vatican Insider aveva provato a disinnescarne la portata dicendo che in realtà, nell’anno in cui era stata scattata la foto, non si erano ancora dati alla lotta armata. La Genta smentisce questa ricostruzione retrodatando i primi omicidi politici a firma Montoneros al 1970, quando un commando assassinò il generale Aramburu. E due mesi prima di quella foto, nel settembre 1973, uccisero il leader sindacale Josè Iniacio Rucci.

Circa poi la lettera del vescovo Witte, la Genta inquadra quelle parole, apparentemente di via libera al martirio, come la semplice registrazione della nuova testimonianza dell’ex sacerdote che viaggiava con Angelelli in auto. Arturo Pinto, il quale, ben 12 anni dopo quell’incidente e a regime dei colonnelli già finito, improvvisamente riacquistò la memoria e dichiarò di aver visto un’auto bianca o grigia, forse una Peugeot 404, che li speronava. Bene, Witte non fece altro che raccogliere quella testimonianza e consegnarla alle autorità, dandole dunque un anticipo di credito in vista di ulteriori indagini. Ma non fece altro. Per tutta la sua vita, e questo emerge anche dai suoi scritti poco prima della morte, Witte non credette mai alla tesi dell’omicidio e si limitò ad ammettere che non solo mancassero le prove che si trattò di uno speronamento volontario, ma anche che le indagini hanno sempre confermato la tesi che l’auto a bordo della quale viaggiava Angelelli fece tutto da sola andando a sbattere in località Punta de Llanos.

Il Colonnello Eduardo de Casas, che indagò più di ogni altro su quell’episodio, ha fornito diverse lettere di Witte, scritte nel dicembre ’99 e anche nel 2001 nel messaggio di congedo dalla Diocesi e perfino nel 2011, un mese prima di morire: il vescovo confermava la tesi dell’incidente e si rammaricava con amarezza della presenza di membri dell’episcopato e del clero di sinistra che stavano facendo invece pressioni per affermare la tesi dell’assassinio.

Tesi che fino al 1983, non era mai emersa. Saltò fuori, in occasione di un ricordo pubblico di Angelelli da parte di un ambiguo e oscuro frate Cappuccino di nome Antonio Puigjanè, affiliato a organizzazioni paraterroristiche. Fu lui a lanciare pubblicamente la versione dell’omicidio stradale. Ma la riapertura dell’inchiesta nel 1983 da parte del Tribunale di Neuquèn terminò nel 1990 con una sentenza precisa: Angelelli morì in un tragico, ma normale, incidente automobilistico.

Eppure, la tesi dell'omicidio politico continuò a propagarsi pur senza riscontri, fino a che, con l'arrivo al potere dei Kirchner potè arrivare una sponda istituzionale decisiva. 


LA GUERRA ALL’ESERCITO
Successivamente, nel 2010 venne riaperto un nuovo processo, che culminò nella sentenza di condanna di due ex militari, di stanza all’epoca nella base di Chamical e quindi considerati i mandanti occulti del delitto, il generale Luciano Benjamín Menéndez (morto nel febbraio 2018, un gerarca, al quale la Giustizia imputò 140 delitti condannandolo a 14 ergastoli) e il commodoro Luis Estrella, un comprovato cattolico dalla fede solida invece, che si dichiarò sempre innocente definendosi vittima del sistema giudiziario argentino. Dal nuovo processo non emersero fatti nuovi che ribaltassero le risultanze precedenti, come testimoniò successivamente un ex giudice nel 2018, Silvia E. Marcotullio, la quale fece notare che non sono stati trovati gli autori materiali del supposto delitto, i due indiziati vennero condannati senza prove, le due indagini precedenti, una durante il regime dei colonnelli, l’altra in pieno governo costituzionale, arrivarono alle medesime conclusioni. Per tutte queste ragioni, concluse che quel processo era stata un’“aberrazione giuridica”.

ODIUM FIDEI ASSENTE
Ma la sentenza, stando almeno a chi l’ha studiata attentamente non arriva a parlare di odio religioso, pur riconoscendo il delitto. “L’aggravante dell’odio religioso è esclusa dai giudici e questo non è compatibile con la dichiarazione di martirio in odium fidei data dalla Chiesa”, fa notare su La Prensa Jorge Ocantos ricordando come questa beatificazione abbia provocato una grande divisione tra i fedeli della Chiesa.

Eppure, quel processo bastò. E bastò anche alla Chiesa, che, prima, nel 2006, quando Jorge Mario Bergoglio era a capo della Conferenza Episcopale Argentina ordinò una commissione speciale guidata da monsignor Carmelo Juan Giaquinta. I lavori si conclusero con un nulla di fatto: non fu possibile accertare con certezza se si trattò di un incidente o di un attentato. Lo stesso Giaquinta, confidò privatamente a Maria Genta – il fatto però è riferito soltanto da lei – che le evidenze di un attentato erano completamente assenti.

La Giustizia civile arrivò solo nel 2014, quando in Argentina si era nel pieno del governo dei Kirchner, prima con Nèstor e poi con la moglie Cristina. Anni, nota la studiosa, in cui si scatenò una violenta campagna contro i vertici dell’esercito, considerato l’autore di tutti i mali. “In quegli anni – ha aggiunto – si mise in marcia un piano sistematico di vendetta contro le Forze Armate che negli anni ’70 combatterono le organizzazioni guerrigliere e terroriste. (…) Anni in cui vennero commesse numerose irregolarità per condannare giudici, spesso con metodi contrari ai fondamenti del diritto e animati da parzialità ideologica”.


UNA BEATIFICAZIONE COSTRUITA
E’ in questo contesto, dunque, che matura la condanna dei presunti assassini di Angelelli. I coniugi presidenti si fecero anche ritrarre mentre guardavano il ritratto del vescovo, come in adorazione. Viene così il via libera per la Chiesa per la sua beatificazione, suggellata – stando a quanto riferito da Vatican Insider – dalla lettera in cui Angelelli denunciava al nunzio di allora la sua situazione e l’opposizione del regime ai suoi piani pastorali.

E’ questo un punto indispensabile per comprendere il clima dell’epoca: la Genta mostra come Angelelli fosse ampiamente compromesso con “settori ecclesiali che soccombevano all’ideologia e alla prassi della sovversione marxista in favore di un cristianesimo adulterato”. E riporta diversi episodi che delineano la linea pastorale di Angelelli: “Si circondò di collaboratori deprecabili, coinvolti nella teologia della liberazione e nel terzomondismo, compromessi con l’azione di gruppi sovversivi. Fatto che creò numerose frizioni e scontri con grande scandalo dei fedeli”.

La Genta, ad esempio, riporta quanto accadde nella località di Annillaco, quando il vecchio parroco venne messo sotto attacco da sovversivi perché non si adattava ai piani programmatici del terzomonidismo. Angelelli ottenne la sua rinuncia, ma questo scatenò la ribellione del popolo, quello vero, affezionato al proprio parroco che protestò con in testa proprio dei senza terra, a conferma che spesso le battaglie ideologiche che si fanno per i poveri, sono proprio contro di loro. Risultato? I ribelli proclamarono Anillaco Città della fede e Angelelli comminò la pena canonica dell’interdetto.

La donna fa notare che il sentimento genuino del popolo si mescolò, come spesso accade, anche a interessi politici, ma tutto questo era giocoforza inevitabile, vista l’azione disgregatrice di Angelelli. Il quale, appena arrivato a la Rioja stilò una sorta di manifesto licenziato dal consiglio presbiterale della diocesi, nel dicembre 1972 e nel quale al punto numero 1 si sanciva: “La Chiesa de La Rioja assume ufficialmente il pensiero e la azione del Movimento dei sacerdoti per il Terzo Mondo” e al punto 2: “Si considerano traditori quei sacerdoti della diocesi che non aderiscono a questa pastorale”. In pratica – conclude in un articolo Horacio Ricardo Palma – una nuova Chiesa alla quale però il popolo dava le spalle anche per la presenza, tra i preti provenienti da altre diocesi e accolti da Angelelli, di sacerdoti che vivevano con donne, religiose che avevano relazioni con sacerdoti, preti con figli, seminaristi ordinati senza aver terminato gli studi e numerose violazioni della dottrina liturgica e nella celebrazione dei sacramenti”.
Per questo nuovo spirito terzomondista, Angelelli fu “attenzonato” anche dal regime precedente, nel 1973, quello di Domingo Peron. Un suo emissario nella zona annota diversi episodi che delineano una azione pastorale che si ripercuoteva sui preti che non si piegavano a certi diktat ideologici. E concludeva con il consigliare un attacco sulla stampa per obbligare la Santa Sede a rimuoverlo. Ovviamente non se ne fece nulla. Angelelli morì tre anni dopo, però con un regime diverso da quello del general. Ciononostante, le prove che si sia trattato di un omicidio e men che meno di un martirio in odio alla fede, non sono mai state trovate. Eppure, al solo dirlo, al solo mettere in discussione questa beatificazione dall'alto valore politico, il vescovo di La Rioja Colombo, nei mesi scorsi, parlava di "fomentatori d'odio" contribunendo ad avvelenare il clima. 

Nessun commento:

Posta un commento